mercoledì 18 febbraio 2015

ZIO PODGER ATTACCA IL QUADRO

E' sicuramente una delle pagine più "imbarazzanti" della letteratura, particolarmente di quella umoristica. "Imbarazzante" perché, dovunque ci si trovi, non si può fare a meno di mettersi a ridere leggendo questo capitolo di TRE UOMINI IN BARCA (PER TACER DEL CANE) del grandissimo Jerome K. Jerome.
Per l'ennesima volta lo sto leggendo (grazie al prezioso sito www.liberliber.it ) e me lo sto gustando come la prima volta.
E ancora rido beato dello zio Podger che attacca il quadro (ricordo che mio padre invece apprezzava molto il viaggio da Liverpool con le due forme di cacio )



Egli mi fa venire sempre in mente il mio povero zio Podger. In vita mia non avevo visto mai tanto trambusto in una casa, come nel momento che mio zio Podger si accingeva a far qualche cosa. Un quadro era ritornato dal negoziante di cornici, ed era stato lasciato ritto contro una parete della sala da pranzo aspettando d’essere appeso. La zia domandava che cosa si doveva farne, e lo zio diceva:

— Lascia fare a me. Nessuno di voi s’impicci del quadro. Farò tutto io.

E allora si cavava la giacca, e cominciava. Mandava, la fantesca a comprare cinquanta centesimi di chiodi, e poi uno dei bambini che la raggiungesse per dirle di che dimensione dovevano essere, e dopo imprendeva gradatamente a mettere in moto tutta la casa.

— Ora, tu, Guglielmo, va a pigliarmi il martello — gridava — e tu Tommasino, va a pigliarmi la squadra; e m’occorrerà anche la scaletta, e forse sarà meglio una sedia di cucina. Tu, Gianni, fa due salti dal signor Goggles; digli: — Tanti saluti da parte di papà, e come state con le gambe? — e se mi vuol prestare il livello. E tu, Maria, non te ne andare, perchè ho bisogno che qualcuno mi tenga la candela; e quando ritorna la fantesca, deve andare a comprare un pezzo di cordone; e, Tommasino!… dov’è Tommasino?… Tommasino, vieni qui; piglia il quadro e dammelo!

E allora il quadro sollevato gli cadeva di mano, e saltava dalla cornice, ed egli, per salvare il vetro, si tagliava un dito; e allora si metteva a saltare per la stanza, cercando il fazzoletto. Non poteva trovare il fazzoletto, perchè l’aveva nella tasca della giacca, e non sapeva dove aveva lasciata la giacca, e tutti di casa dovevano interrompere la ricerca degli strumenti e cominciare a cercar la giacca, mentr’egli intanto seguitava a saltare in giro, impacciandoli.

— Sa nessuno in tutta la casa dov’è la mia giacca? Non m’è capitato mai di vedere gente simile! Siete in sei!… e non siete capaci di trovare una giacca che mi son cavata, cinque minuti fa!… Quant’è vero…

In quel momento era seduto, e scoprendo di star sopra la giacca, gridava:

— È inutile che andiate in giro. L’ho trovata da me. Rivolgermi a voi perchè troviate qualche cosa, è come dirlo al gatto.

E, dopo ch’aveva impiegato mezz’ora a legarsi l’indice, ed era stato trovato un altro vetro, e gli strumenti, e la scala, e la sedia e la candela erano lì pronti, cominciava un altro divertimento: chè tutta la famiglia, compresa la fantesca e la donna a giornata, doveva assistere in semicerchio, pronta a dare una mano. Due persone dovevano reggere la sedia, una terza doveva consegnargli un chiodo, una quarta passargli il martello; e lui, pigliando in consegna il chiodo, lo lasciava cadere.

— Ecco — diceva, in tono d’offesa — è caduto il chiodo!

E tutti dovevamo inginocchiarci a cercarlo, mentr’egli se ne stava ritto sulla sedia a brontolare, e a domandarsi se doveva rimaner lì tutta la sera.

Il chiodo veniva finalmente scovato, ma intanto lui aveva perduto il martello.

— Dov’è il martello? Che n’ho fatto del martello? Giusto cielo! Ve ne state lì in sette a bocca aperta, e non sapete che cosa n’ho fatto del martello!

Gli trovavamo il martello; e intanto aveva perso di vista il segno da lui fatto sulla parete, per configgervi il chiodo; e ciascuno doveva a turno salire accanto a lui sulla sedia per cercar di trovare il segno; e ciascuno lo scopriva in un punto diverso; e lui ci chiamava stupidi, l’uno dopo l’altro, ordinandoci di scendere. E prendeva la squadra, per prender le misure un’altra volta, e trovando che gli occorreva la metà di ottantuno centimetri e tre settimi di centimetro dall’angolo, tentava di fare il calcolo a memoria e gli pareva d’impazzire.

E tutti tentavamo a memoria, e tutti giungevamo a risultati diversi, e ci davamo l’un l’altro la beffa. Nel trambusto generale, era dimenticato il numero originale e zio Podger doveva rimettersi a prender le misure.

Questa volta egli usava un pezzo di corda, e, nel momento critico che lo zio era inclinato sulla sedia a un angolo di quarantacinque, provando di raggiungere un punto un decimetro più di quanto si potesse sporgere, gli scappava la corda, ed egli s’abbatteva sul pianoforte, con un effetto musicale veramente bello, prodotto dalla velocità con cui la testa e il corpo avevano colpito contemporaneamente tutte le note.

E zia Maria esclamava che non voleva che i bambini stessero lì presenti a sentire le espressioni di mio zio.

Finalmente, zio Podger fissava di nuovo il punto, mettendovi su l’estremità aguzza del chiodo con la sinistra, e prendeva il martello nella destra. E, al primo colpo, si schiacciava il pollice, e con un urlo, lasciava cascare il martello sui piedi del più vicino.

Zia Maria osservava con dolcezza che la prossima volta che zio Podger avrebbe dovuto ficcare un chiodo nel muro, le facesse la finezza di avvertirla in tempo, perchè essa potesse disporre le cose in modo da andare nel frattempo a passare una settimana con la madre.

— Oh! le donne fanno sempre un mondo di difficoltà per niente — rispondeva zio Podger, riprendendosi. — Ebbene, a me piace di lavorare un po’ a questo modo.

E allora ci si provava di nuovo, e, al secondo colpo, il chiodo entrava tutto quanto nell’intonaco, trascinandosi dietro mezzo martello, mentre zio Podger veniva proiettato contro la parete con forza quasi sufficiente da appiattirgli il naso.

Allora gli dovevamo trovar di nuovo la squadra e la corda, e si doveva fare un buco nuovo; e, verso mezzanotte, il quadro era appeso – storto e alquanto instabile, con la parete che per dei metri in giro sembrava grattata da un rastrello, e tutti stanchi morti e infelici – tranne lo zio Podger.



— Ecco qui — diceva, balzando pesantemente dalla sedia sui calli della donna a giornata, e dando uno sguardo a tutta quella confusione in giro con orgoglio evidente. — Molti avrebbero avuto bisogno d’un operaio per fare un lavoretto come questo.

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