domenica 28 luglio 2013

SUL DISCORSO DI PAPA FRANCESCO ALL'EPISCOPATO BRASILIANO

Cercando di conoscere Papa Francesco un po’ più approfonditamente di quanto l’immagine che i media ci danno consenta (ma già questa è fonte di stupore e di gioia), per sfiducia verso la capacità dei media di essere veritieri e profondi, dal sito del Vaticano cerco di leggere i discorsi e i testi.
Ho iniziato con questo rivolto all’Episcopato Brasiliano (un po’ per caso un po’ perché rivolto all’apparato).
Ho trovato il primo capito semplicemente straordinario.
Mi chiedo: ma è una lezione alla sola Chiesa o è una lezione all’umanità, intesa come quella parte che in qualche modo si pone alla ricerca di risposte e soluzioni da proporre (non da imporre) ai propri “fratelli nel cammino” della storia dell’uomo? E’ un abuso, un “fuori contesto” leggere queste parole senza l’esperienza della trascendenza, senza “la Fede”?
Da una parte mi dico di no, se io ateo convinto e definitivo, ho letto con commossa partecipazione ed entusiasmo crescente queste semplici ma formidabili parole e mi ci sono ritrovato leggendo l’uomo e il mio ideale (a mia utopia) dove Francesco scrive Dio.
Dall’altra parte mi chiedo se non sia sintomatico dello smarrimento (mio e generale) di chi non crede che le uniche soluzioni alle domande degli uomini che “ partono sempre dai loro bisogni” sia quelle definite e imposte dai potenti (capitale, caste, malviventi…), ma non ne vede sorgere altre, se non fallimenti.
E quindi chi crede che solo nell’uomo sta la soluzione deve mangiare fino all’ultima oncia il sale e camminare sui sassi aguzzi senza appropriarsi di parole di altri.

Ma anche se così fosse, sapere di camminare sul sentiero accanto della Chiesa di Francesco è più piacevole. Non tutte le distanze saranno destinate a scomparire, ma sicuramente i muri a crollare sì, partendo da queste premesse.
Aparecida: chiave di lettura per la missione della Chiesa
In Aparecida, Dio ha offerto al Brasile la sua propria Madre. Ma, in Aparecida, Dio ha dato anche una lezione su Se stesso, circa il suo modo di essere e di agire. Una lezione sull’umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale, e che è nel DNA di Dio. C’è qualcosa di perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida; un insegnamento che né la Chiesa in Brasile, né il Brasile stesso devono dimenticare.
All’inizio dell’evento di Aparecida c’è la ricerca dei poveri pescatori. Tanta fame e poche risorse. La gente ha sempre bisogno di pane. Gli uomini partono sempre dei loro bisogni, anche oggi.
Hanno una barca fragile, inadatta; hanno reti scadenti, forse anche danneggiate, insufficienti.
Prima c’è la fatica, forse la stanchezza, per la pesca, e tuttavia il risultato è scarso: un fallimento, un insuccesso. Nonostante gli sforzi, le reti sono vuote.
Poi, quando vuole Dio, Egli stesso subentra nel suo Mistero. Le acque sono profonde e tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è arrivato di sorpresa, chissà quando non Lo si aspettava più. La pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché Dio è sorpresa: un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza.
Ecco allora l’immagine dell’Immacolata Concezione. Prima il corpo, poi la testa, poi il ricongiungimento di corpo e testa: unità. Quello che era spezzato riprende l’unità. Il Brasile coloniale era diviso dal muro vergognoso della schiavitù. La Madonna Aparecida si presenta con il volto negro, prima divisa, poi unita nelle mani dei pescatori.
C’è qui un insegnamento che Dio ci vuole offrire. La sua bellezza riflessa nella Madre, concepita senza peccato originale, emerge dall’oscurità del fiume. In Aparecida, sin dall’inizio, Dio dona un messaggio di ricomposizione di ciò che è fratturato, di compattazione di ciò che è diviso. Muri, abissi, distanze presenti anche oggi sono destinati a scomparire. La Chiesa non può trascurare questa lezione: essere strumento di riconciliazione.
I pescatori non disprezzano il mistero incontrato nel fiume, anche se è un mistero che appare incompleto. Non buttano via i pezzi del mistero. Attendono la pienezza. E questa non tarda ad arrivare. C’è qualcosa di saggio che dobbiamo imparare. Ci sono pezzi di un mistero, come parti di un mosaico, che andiamo incontrando. Noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano. Anche la Chiesa deve imparare questa attesa.
Poi, i pescatori portano a casa il mistero. La gente semplice ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto.
I pescatori “agasalham”: rivestono il mistero della Vergine pescata, come se lei avesse freddo e avesse bisogno di essere riscaldata. Dio chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore. Poi è Dio a sprigionare il calore di cui abbiamo bisogno, ma prima entra con l’astuzia di colui che mendica. I pescatori coprono quel mistero della Vergine con il manto povero della loro fede. Chiamano i vicini per vedere la bellezza trovata; si riuniscono intorno ad essa; raccontano le loro pene in sua presenza e le affidano le loro cause. Consentono così che le intenzioni di Dio si possano attuare: una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad un’altra; una grazia che prepara un’altra. Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza.
C’è da imparare tanto da questo atteggiamento dei pescatori. Una Chiesa che fa spazio al mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in modo che esso possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro. Parliamo di missione, di Chiesa missionaria. Penso ai pescatori che chiamano i loro vicini per vedere il mistero della Vergine. Senza la semplicità del loro atteggiamento, la nostra missione è destinata al fallimento.
La Chiesa ha sempre l’urgente bisogno di non disimparare la lezione di Aparecida, non la può dimenticare. Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. E tuttavia Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché sempre è Lui che agisce.
Cari Fratelli, il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti.
Un’altra lezione che la Chiesa deve ricordare sempre è che non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero, e, ovviamente, non riesce ad entrare in coloro che pretendono dalla Chiesa quello che non possono darsi da sé, cioè Dio. A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile “pescare” Dio nelle acque profonde del suo Mistero.
Un ultimo ricordo: Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio. La strada che univa Rio, la capitale, con San Paolo, la provincia intraprendente che stava nascendo, e Minas Gerais, le miniere molto ambite dalle Corti europee: un croceviadel Brasile Coloniale. Dio appare negli incroci. La Chiesa in Brasile non può dimenticare tale vocazione inscritta in sé fin dal suo primo respiro: essere capace di sistole e diastole, di raccogliere e diffondere.

venerdì 26 luglio 2013

UTILITA' DEL GOVERNO DELLE LARGHE INTESE (DETTO ALTRIMENTI DEL TRADIMENTO STORICO)

Non si può dire che il governo delle "larghe intese" (detto altrimenti "del tradimento storico") non abbia i suoi effetti positivi.
Dopo tanto ascoltare trasmissioni radiofoniche politiche nelle quale sapienti e professori, politici e giornalisti saputi prospettavano itinerari di uscita dal baratro del disastro dove siamo precipitati, individuando e illustrando le evidenti cause, enumerando le cifre del disastro
mi ritrovo con l'Italia ostaggio del Caimano
venuto quindi a noia  tutte quelle dimostrate inutili trasmissioni, ormai catalogabili in due tipologie: pasquinate sfogatoio per imbelli ( e quindi motivo di sollazzo per la casta felice di farsi insultare ma mai toccare); ovvero ricerca parossistica dell'insulto, della volgarità, dello sfregio aprioristico e sterile di qualsiasi regola a fini di share
ho avuto il piacere di scoprire una radio precedentemente sconosciuta (radiomillenote) che senza pretese trasmette "canzonette", la musica leggera dei tempi della gioventù
un momento di liberazione intellettuale
la fine (forse) dell'illusione che qualcosa in questo Paese bloccato possa cambiare.
un sentito ringraziamento a Letta, Alfano, Grillo, Bersani ...i 101 vigliacchi tiratori...

giovedì 25 luglio 2013

SINDACO DI TREZZO: INDIVIDUARE DA CHE PARTE TIRA IL VENTO

Le frasi conclusive del comunicato stampa del comune di Trezzo sulla vicenda Tritium, con le parole del signor Sindaco Danilo Villa sono degne del miglior Alberto Sordi.
Quanto è "italico" il Sindaco "padano".

venerdì 19 luglio 2013

DIARIO DI UN INADEGUATO RAMINGO

Se veramente, sottolineo SE, i due sarti  Dolce e Gabbana hanno veramente evaso le tasse, il mio pensiero di inadeguato ramingo è che la reazione più consona e dignitosa sarebbe stata "SCUSATE, PROMETTIAMO DI NON FARLO PIU'".
Se sono innocenti, affermino con forza la loro innocenza.
Tutto il resto potrebbe apparire prepotenza e marketing.
Sto perdendo le coordinate di questo mondo.

lunedì 1 luglio 2013

BARUCH DE SPINOZA: TRATTATO TEOLOGICO-POLITICO

prefazione:
1. Origine della superstizione dalla paura e dall'ignoranza
Se gli uomini potessero dirigere tutte le loro cose con sagge e certe decisioni, oppure se la fortuna fosse loro sempre favorevole, non sarebbero soggetti ad alcuna superstizione. Ma, poiché spesso si trovano in difficoltà tali che non sanno prendere alcuna decisione, e poiché di solito, a causa degli incerti beni della fortuna che essi desiderano smoderatamente, fluttuano miseramente tra la speranza e la paura, il loro animo è quanto mai incline a credere a qualsiasi cosa: quando è preso dal dubbio, esso è facilmente sospinto or qua or là, e tanto più quando esita agitato dalla speranza e dalla paura, mentre nei momenti di fiducia è pieno di vanità e presunzione.
...
Chiunque sia vissuto tra gli uomini, infatti, non può non aver osservato che la maggior parte di loro, nelle circostanze favorevoli, ancorché ignorantissimi, sono così tronfi di sapienza da ritenersi offesi se qualcuno voglia dar loro consigli; mentre nelle avversità non sanno da che parte voltarsi e implorano consiglio al primo che capita,e non c'è consiglio così insulso, così assurdo o inutile ch'essi non seguano...