mercoledì 31 dicembre 2014

PERCHE’ ESSERE RIGIDI NEL DIFENDERE LA LEGALITA’ è UTILE E POSITIVO



PERCHE’ ESSERE RIGIDI NEL DIFENDERE LA LEGALITA’ è UTILE E POSITIVO

In auto sull’A4 senza cinture Catturata la «banda delle ville»

Così titola l’Eco di Bergamo oggi. Qualche giorno fa, non ricordo se l’Eco o un altro giornale, pubblicava un articolo piuttosto umiliante nel quale si riferiva che fuorilegge albanesi telefonavano alle mogli per chiedere cosa gradissero come regalo rubato nelle case italiane, sottolineando che qui in Italia si poteva fare (nel senso di fuori legge ) di tutto.

Questo arresto , guarda caso di albanesi (come estremo contrappasso) e le modalità di svolgimento (sembra un thriller, il colpevole che stava per farla franca che cade su un dettaglio - io ricordo un film che credo si intitolasse Topkapi) è gratificante e istruttivo: l’attenzione delle forze dell’ordine all’infrazione minima – una giusta rigidità nel fare il proprio lavoro- il controllo accurato senza lasciare cadere la questione e poi la scoperta che qualcosa di più grosso emergeva quasi casualmente. Sono queste le forze dell’ordine che desideriamo (ovviamente anche quando sono rigide con noi, non solo con gli altri – cattiva abitudine nostrana). E questa rigidità, questa attenzione verso qualsiasi infrazione – e se posso dire anche verso qualsiasi reato (e non mi sembra che la decisione del Consiglio dei Ministri sui reati di tenue gravità , almeno relativamente alla confidenza del cittadino di essere sempre difeso dalla Stato, vada in questa direzione- ma potrei non capire io)- è ciò che penso sia desiderato dal cittadino semplice e mite, quello che trova nella applicazione della legge e nella difesa della legalità la sua unica forza.


http://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/in-auto-sulla4-senza-cinture-catturata-la-banda-delle-ville_1097203_11/

lunedì 29 dicembre 2014

NORBERTO BOBBIO. GOVERNO DEGLI UOMINI O GOVERNO DELLE LEGGI?

tratto da IL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA.

"lungo tutta la storia del pensiero politico ricorre con insistenza la domanda: Qual è il governo migliore, quello delle leggo o quello degli uomini?
(...)
Se (,...) mi si chiede di abbandonare l'abito dello studioso e di assumere quello dell'uomo impegnato nella vita politica del suo tempo, non ho alcuna esitazione a dire che la mia preferenza va la governo delle leggi, non a quello degli uomini. Il governo delle leggi celebra oggi il proprio trionfo nella democrazia. Che cosa è la democrazia se non un insieme di regole (le cosiddette regole del gioco) per la soluzione dei conflitti senza spargimento di sangue? e in che cosa consiste il buon governo democratico se non, anzitutto, nel rigoroso rispetto di queste regole? Personalmente, non ho dubbi sulla risposta a queste domande. e proprio perchè non ho dubbi, posso concludere tranquillamente  che la democrazia è il governo delle leggi per eccellenza. Nel momento stesso in cui un regime democratico perde di vista questo suo principio ispiratore, si rovescia rapidamente nel suo contrario, in una delle tante forme di governo autocratico, di cui sono piene le narrazioni degli storici e le riflessioni degli scrittori politici"

sabato 27 dicembre 2014

1984 - 2014

1984 - 2014
ORWELL: 1984

(riferendosi agli infiniti “teleschermi” –con la duplice funzione di proiettare e di riprendere - che osservano e spiano i comportamenti degli abitanti di Londra per smascherare i loro sentimenti non conformi al culto del Grande Fratello)

… Il peggior nemico, rifletté (Winston Smith), è il proprio sistema nervoso. In qualsiasi momento la tensione poteva tradursi in un sintomo visibile. Si ricordò di un uomo che aveva incrociato per strada qualche settimana prima, una persona comunissima, membro del Partito, sui trentacinque-quarant’anni, piuttosto alto e sottile, con una cartella sotto il braccio. A pochi metri l’uno dall’altro, improvvisamente il volto dell’uomo di era contratto in una sorta di spasmo, e la cosa si era ripetuta quando si erano incrociati. Solo un tremito, una contrazione rapida come lo scatto dell’otturatore di una macchina fotografica, ma che in lui doveva essere abituale, senza alcun dubbio. Ricordava di aver pensato: Quel poveretto è spacciato. La cosa peggiore era che potevate compiere il gesto fatale in modo del tutto inconscio…

RAMPINI 2014 (RETE PADRONA)

Perdete ogni speranza voi che entrate in un supermercato o shopping mall. Varcata la soglia nuove tecnologie riconoscono e scompongono perfino la nostra dinamica espressiva, gli stati d’animo che traspaiono dal volto e dagli sguardi.
(…)
Una società come Realeyes ( che vuol dire “occhi veri”) installa nei negozi delle telecamere con funzioni di “facial recognition”, più perfezionate di quelle che analizzano le nostre pupille all’arrivo negli aeroporti americani. La tecnologia di ricognizione facciale studia le nostre reazioni e analizza le nostre emozioni, di fronte a ogni reparto, a ogni vetrina espositiva; queste informazioni vengono immagazzinate e digerite in tempo reale per lanciarci delle offerte su misura, ad personam.

venerdì 26 dicembre 2014

SIOWALL_WAHLOO. FUORICLASSE

SIOWALL_WAHLOO. FUORICLASSE
Non so spiegare, in termini di critica letteraria (del resto attitudine e capacità non proprio nelle mie corde), perchè questi due autori svedesi mi appassionino tanto.

Ma è stato sufficiente che, stimolato dal regalo di un loro romanzo fatto ad una cara amica, riprendessi in biblioteca un libro che riprendeva i primi tre "romanzi su un crimine" della serie di dieci, per farmi avviluppare dalla loro rete.
L'ultimo che ho letto è "L'uomo sul tetto" (non credo di riuscire a leggerli in sequenza, ma non importa, in fondo è come fare una visita a vecchi amici con i quali la sequenza temporale dei ricordi non ha importanza sapendoli comunque collocare nel giusto ordine).

E' pure strano perchè sono dei demolitori di una società che da scontento europeo meridionale io idealizzo (la civilissima Europa del Nord) pur da un punto di vista che mi è affine (la critica verso la propria società è una costante degli autori scandinavi).

La trama di quest'ultimo è semplicissima e le indagini sono ridotte al minimo, l'arco temporale è ridottissimo, la direzione verso la causa, addirittura banale, presa ben presto. Nonostante ciò il libro prende (abbastanza da alzarsi presto per leggere la parte finale avendo ceduto per stanchezza ieri sera), la storia avvince, e i personaggi diventano subito familiari. Ben altri critici possono spiegare perchè questi due (marito e moglie nella realtà) sono così bravi, Io mi accontento di esultare da lettore.

giovedì 25 dicembre 2014

HAKAN NESSER: "IL COMMISSARIO E IL SILENZIO" - un po' deludente

HAKAN NESSER: "IL COMMISSARIO E IL SILENZIO" - un po' deludente

Oggi ho letto questo romanzo giallo di Nesser. Non conoscevo l'autore ne avevo saputo della serie relativa al  Commissario Van Veeteren.
L'ho preso a caso nella bella biblioteca di Capriate san Gervasio per rimpolpare le scorte che mi aiuteranno a far passare questi giorni.
Nei lanci in quarta di copertina viene presentato come un erede di Maigret, e l'autore come un prosecutore dello stile di Simenon. (secondo Repubblica il presunto erede di Simenon viene dalla Svezia, ma se è vero che l'autore è Svedese, il nome del protagonista, dei comprimari e dei giornali citati mi portano a situare gli avvenimenti in Olanda).
Temo siano affermazioni un po' avventate.

Non ho dubbi che Nesser si sia ispirato a Simenon, ma, se posso usare un detto che conosco, è un po' come confrontare il brodo di dado con il brodo di gallina.
Non che il libro sia illeggibile, questo sarebbe ingiusto, ma le atmosfere e le sensazioni che da Simenon non sono neppure sfiorate da questo autore e Van Veeteren non sarà mail, credo, un personaggio leggendario come Maigret.
Se leggendo Simenon schiocchi la lingua come se veramente tra i denti avessi il cannello di una pipa, o ti sembra di sentire il profumo di choucroute o il gusto di calvados, con Nesser non hai voglia di andarti ad aprire una birra.
Certo, ambientare le avventure a Parigi, una città che fa parte dell'immaginario collettivo, può essere più facile, ma la nebbia dei porti del nord della Francia o l'umidità attorno alle chiuse olandesi le senti veramente.
Nel romanzo che ho letto di Nesser non ho sentito nessuna di queste sensazioni. La lettura rimane più fredda, meno partecipe, la soluzione della trama è nascosta. Il libro si può leggere, non è brutto, ma sicuramente un po' deludente.

lunedì 22 dicembre 2014

Che scrittrice questa P.D.JAMES!

Che scrittrice questa P.D.JAMES che ho scoperto solo dopo aver letto della sua morte recente!

Ho trovato i suoi libri, che qualche benemerito ha smaltito in ottime condizioni, nella piacevole libreria della Coop Castello. Forse non dovrei dirlo visto che non ho esaurito la fornitura e ho lasciato qualche copia ancora in attesa di essere accaparrata.

Dall’8 dicembre, quando ho preso i primi tomi, con i libri di questa scrittrice sto avendo lo stesso rapporto che ho con il cioccolato. Con questo riesco a smettere di abusarne tra un viaggio e l’altro in cucina per staccare una abbondante razione dalla stecca, con quelli riesco a non leggere un suo libro, e quindi a dedicarmi ad altri altrettanto interessanti ma meno eccitanti, tra l’ultima pagina del primo e la prima del secondo. Oppure quando prendo un Siowall/Wahloo dei quali sto rileggendo la serie in 10 romanzi dedicata al commissario Beck.

L’ultimo che ho letto di P.D.James è questo “una certa giustizia”, libro di un realismo crudele, o di una crudeltà realistica, che è immaginabile e rimane sottotraccia per tutto l’avvincente svolgimento e che emerge come uno schiaffo nelle ultime due pagine (non leggete le ultime due pagine fino alla fine, in questo romanzo vale la pena più che in altri).

Credo che anche per questa serie, essendo seriale e con l’evoluzione dei personaggi nel corso delle vicende, sarebbe meglio leggerli in sequenza, ma forse, azzardo, con minore necessità degli autori citati sopra o di un Mankell.


Non che la crudeltà e il senso di profonda ingiustizia delle vicende umane mancasse anche negli altri romanzi di P.D.James che ho letto, ma in questo mi sembra ancor più profonda e marcata.

Ho l’impressione che P.D.James si prenda tutto il tempo necessario per dipanare la sua trama, che a me sembra svolta con stringente logica (in quest’ultimo ho individuato il colpevole collegando una deposizione con la descrizione di un’azione, è stato abbastanza semplice, ma non pregiudicante la piacevolezza della lettura – del resto non mi sembra che sia una che imbroglia il lettore, anche nel precedente… cogliendo la contraddizione tra due deposizioni è stato abbastanza agevole scoprire il colpevole), con descrizioni ambientali e umane che rendono il plot giallo un accessorio che aiuta a coinvolgere nella lettura senza essere l’unico fine.

Non so come scriva in inglese P.D.James, devo dire che in italiano è resa molto bene, quindi merito al traduttore.

E’ presente una sottile ironia tutta britannica, soprattutto quando, e lo ripete nei romanzi, celia con la funzione taumaturgica attribuita al tè dagli inglesi.

La stessa ironia nelle postfazioni viene usata per giustificare le variazioni toponomastiche inserite in Londra, amata e rimpianta – se ho ben capito ha qualche critica sulle trasformazioni urbanistiche della città.

Mi piacciono i personaggi, il protagonista, come ho letto è l’ispettore Dalgliesh (poliziotto e poeta), anche se nei romanzi che ho finora letto a me la protagonista, forse la preferita da P.D.James?, è Kate Miskin.


martedì 16 dicembre 2014

DIAMO CREDITO A CONCETTI MOLTO EVOCATIVI MA CHE, DOPO UN'ANALISI DI BUON SENSO, RISULTANO VUOTI

DIAMO CREDITO A CONCETTI MOLTO EVOCATIVI MA CHE, DOPO UN'ANALISI DI BUON SENSO, RISULTANO VUOTI

Antonio Pascale in un articolo su IL SOLE24 ORE DOMENICA

"Spesso in questo complesso mondo moderno, stimolante, interconnesso e veloce, abbiamo poco tempo per approfondire alcuni temi seri. Vorremmo essere slow, capire, riflettere, ma in realtà siamo fast, cerchiamo cioè soluzioni sbrigative e senza tanti conflitti, e allora - e questo capita soprattutto nei momenti di crisi -  preferiamo quelle narrazioni assolutorie (il male è altro da noi) oppure diamo credito a concetti molto evocativi ma che, dopo un'analisi di buon senso, risultano vuoti."

LO PENSO SOLO IO?

La demagogia e lo sciacallaggio mediatico hanno generalmente una buona resa.
Funzionano politicamente.
Però a volte l'eccessiva sicurezza di conoscere la strada per la pancia altrui può far fare passi falsi, eccedere con l'ipocrisia, rendere scoperto il gioco peloso, mostrare la propria piccolezza e lo scopo puramente strumentale delle proprie parole.
Lo penso solo io?

sabato 13 dicembre 2014

QUALI SONO I REATI CHE IMPATTANO Più DIRETTAMENTE SUI CITTADINI- DUBBI SUI “REATI DI LIEVE ENTITA’” NON E’ IL CASO CHE IL GOVERNO CI RIPENSI SULLA DEPENALIZZAZIONE DEI “REATI TENUI”?

QUALI SONO I REATI CHE IMPATTANO Più DIRETTAMENTE SUI CITTADINI- DUBBI SUI “REAT IDI LIEVE ENTITA’”

NON E’ IL CASO CHE IL GOVERNO CI RIPENSI SULLA DEPENALIZZAZIONE DEI “REATI TENUI”?

Sono consapevole della mia ignoranza giuridica e del rischio che scriva senza fare una analisi razionale e sull’onda emotiva, però non posso evitare di percepire una certa contraddizione tra la volontà espressa dal Presidente del Consiglio di inasprire le pene sui reati legati alla corruzione http://youtu.be/7rFDC9T0Aps

e agli omicidi per incidenti stradali http://youtu.be/aRzCedYLAKk?list=UUp8W1bzofvzB8MfZSkYW2xw

e la approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri del giorno 1 dicembre, dello schema di decreto delegato con il fine di “sancire la non punibilità del fatto” per i cosiddetti reati di lieve entità.

Dal sito http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio

NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO
Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto (decreto legislativo – esame preliminare)

Su proposta del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pietro Carlo Padoan, il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto delegato che recepisce le proposte elaborate dalla commissione ministeriale nominata con D.M. 27 maggio 2014 e presieduta dal prof. Francesco Palazzo con l’obiettivo di rivedere il sistema sanzionatorio e dare attuazione alla legge delega 67/2014 in materia di pene detentive non carcerarie e depenalizzazione.
L’istituto, costruito quale causa di non punibilità, consentirà una più rapida definizione, con decreto di archiviazione o con sentenza di assoluzione, dei procedimenti iniziati nei confronti di soggetti che abbiano commesso fatti di penale rilievo caratterizzati da una complessiva tenuità del fatto, evitando l’avvio di giudizi complessi e dispendiosi laddove la sanzione penale non risulti necessaria. Resta ferma la possibilità, per le persone offese, di ottenere serio ed adeguato ristoro nella competente sede civile. L’attuazione della delega consentirà ragionevolmente, nel breve periodo, di deflazionare il carico giudiziario restituendo alla giustizia la possibilità di affrontare con nuove energie indagini e processi complessi, la cui definizione possa essere ritardata o ostacolata dalla pendenza di processi relativi a fatti di particolare tenuità.


Sono  pure consapevole che, anche se indiretti, i costi e i danni che sopportiamo per la diffusa corruzione, anche quando siamo parti coinvolte come ungitori e unti (perché se è così diffusa non è possibile che sia sempre “opera di altri” come appare dall’indignazione diffusa – ma qui ciascuno risponde di sé) e quindi pensiamo di averne beneficio diretto, sono molto maggiori del furto o della piccola truffa subita. Ne paghiamo le spese quando i nostri figli non trovano lavoro, hanno le porte sbarrate nel cercare una formazione di qualità, non siamo ben curati o ben assistiti in caso di necessità, subiamo trasporti carenti o danni per infrastrutture non funzionanti.

E’ vero.

Credo anche che togliere la punibilità non vuol dire che non si attivi il processo di resa giustizia per chi ha subito il reato (anche perché ci sono casistiche che rendono necessaria, a parità di reato, la sanzione penale, e comunque il risarcimento del danno è previsto) ragione per cui non accade che a fronte di una denuncia di un reato (lieve) subito ci si senta rispondere: ma è tenue, lasciamo perdere (almeno non dovrebbe essere così, ma il linguaggio è ancora oscuro e burocratico – nonostante le promesse).

Però. Però è una brutta sensazione quella di sentirsi poco importanti agli occhi dello Stato. Perché credo sia questa la sensazione, almeno la mia. Perché non credo che lo Stato possa avere una visione puramente funzionale del cittadino, non considerarlo più il fine della sua azione. Non è piacevole sentirsi considerato meritevole di scarsa attenzione perché il baraccone della giustizia non funziona, come se fossimo noi, con la nostra giusta rivendicazione di una punizione per colui che ha infranto il patto sociale e ha violentato la nostra tranquillità, a non farlo funzionare. Sia compito dello Stato far funzionare a tutto tondo la giustizia.

Cosa vuol dire tenue? E’ tenue farsi sottrarre con la violenza, l’inganno o la scaltrezza qualcosa che possediamo? Cosa ne sa lo Stato di che cosa significa per noi quanto ci è stato rubato? Se un ladro ci ruba la catenina d’oro che è il ricordo di nostra nonna, o il camper con cui trascorro momenti felici con la mia famiglia, o il quadro che mi ha regalato un caro amico per un anniversario, al di la del valore economico, cosa ne sa il giudice se il danno che ho subito è tenue?

E la paura, l’ansia, il timore con cui devo vivere quotidianamente, il tempo vita e la qualità della vita che mi sono rubati o deteriorati?

E’ forse una piccola vendetta quella che desideriamo verso chi è entrato non invitato nelle nostre vite per procurarci danno a suo beneficio (senza che questo beneficio discenda dall’onesto sudore della sua fronte?). Può darsi.

Si può dire che non è il timore della condanna che ferma il ladro, quando lo è per indole o anche per una serie di cause che possono trasformare una persona che non lo sarebbe naturalmente ( non è il caso di discutere qui della guerra del penultimo contro l’ultimo che la situazione odierna e gli interessi partitici di alcuni – o perché utili idioti - stanno fomentando per distrarci da ben altri soprusi che subiamo quotidianamente), però non si può neanche dare la sensazione che lo stato distolga lo sguardo (anche se non lo fa, in un momento di crisi e di disorientamento come questo, la cura deve aumentare non dare l’impressione di diminuire).

Invece.

A mio avviso c’è un’altra sensazione altrettanto pericolosa che mina la nostra fiducia. Ancor prima della decisione del giudice (il reato è tenue, non c’è reiterazione, io vittima vengo rimborsato del danno…) occorre che il ladro sia preso.

Occorre che la prima risposta da parte dello stato (sulla prevenzione si sprecano tante parole, ma non possiamo pensare a un poliziotto dietro ad ogni angolo… ci sono sicuramente mezzi e metodi, ma non illudiamoci più di tanto) sia una risposta pronta e che ci dia la sensazione che il nostro problema diventa un suo problema. Che venga colta con piena considerazione la gravità percepita del danno subito (furto, truffa, violenza). E questo possono farlo le Forze dell’Ordine.



Non è che forse allora, piuttosto che cercare di risolvere il problema giustizia agendo per diminuzione sarebbe invece il caso di agire per incremento, sia quantitativo sia qualitativo e soprattutto di “attenzione al cittadino”. E poiché chi si mette tanto in gioco per la nostra sicurezza sono anch’essi cittadini, con politiche di “attenzione ai cittadini della polizia , dei carabinieri e delle altre forze”. Se ne esce solo insieme.

domenica 7 dicembre 2014

TANTA FIDUCIA DAGLI ITALIANI SENZA L’ONERE DI SAPER FARE QUALCOSA, QUESTO PUO’ ESSERE UNO DEI MOTIVI.

TANTA FIDUCIA DAGLI ITALIANI SENZA L’ONERE DI SAPER FARE QUALCOSA, QUESTO PUO’ ESSERE UNO DEI MOTIVI.

Ci sono molti motivi per cui alcune persone, oggi, sulla scena politica, senza aver avuto necessità di dimostrare di essere in grado di fare qualcosa di concreto, riscuotono tanta fiducia.

Senza riferirsi direttamente a questi fenomeni, probabilmente transitori ma certamente dannosi, Pascale, con questa breve frase, individua uno di essi.

Leggo anche una seconda spiegazione in questa breve ma incisiva frase, una delle motivazioni per cui la Sinistra, che non si adegua alla moda corrente e non accetta che a fronte di problemi complessi ci siano soluzioni semplici, sia così poco considerata nella società italiana (per carità, ci sono anche molte altre motivazioni per cui la Sinistra deve dare colpa solo a se stessa)

Antonio Pascale in un articolo su ILSOLE24ORE LA DOMENICA.

"Spesso in questo complesso mondo moderno, stimolante, interconnesso e veloce, abbiamo poco tempo per approfondire alcuni temi seri. Vorremmo essere slow, capire, riflettere, ma in realtà siamo fast, cerchiamo cioè soluzioni sbrigative e senza tanti conflitti, e allora - e questo capita soprattutto nei momenti di crisi - preferiamo quelle narrazioni assolutorie (il male é altro da noi) oppure diamo credito a concetti molto evocativi ma che, dopo un'analisi di buon senso, risultano vuoti."

sabato 6 dicembre 2014

LA TRUFFA AI DANNI DI UN ANZIANO E' UN REATO DI "LIEVE ENTITA'?"

LA TRUFFA AI DANNI DI UN ANZIANO E' UN REATO DI "LIEVE ENTITA'?"
c'è qualcosa che non capisco.
Secondo lo schema di decreto legislativo approvato nell'ultimo Consiglio dei Ministri, la truffa rientra nei "reati lievi" che possono essere compresi nella nuova archiviazione (fonte SOLE24ORE), a discrezione del giudice e purchè il truffatore non sia uno che abbia reiterato il reato (insomma non sia un pregiudicato e un truffatore seriale).
Probabilmente la truffa è, tecnicamente, un reato lieve. Ma umanamente?
La parte lesa ha diritto al risarcimento in sede civile. Ma chi e cosa potrà mai risarcire un vecchio truffato, chi lo risolleverà dall'umiliazione di sentirsi inadeguato di fronte al mondo, dalla paura di sentirsi indifeso e incapace di difendersi di fronte alle cattiverie di chi vuole approfittarsi della sua debolezza?
Le leggi forse, non ho cultura giuridica, devono avere un carattere di astrattezza, altrimenti cadiamo nelle "leggi ad personam" che hanno macchiato la storia recente. Però non riesco a convincermi che lo Stato ( i suoi ministri, i suoi parlamentari) possano ignorare l'invito che poco tempo fa una grande persona ha rivolto ai loro colleghi europei, di "prendersi cura della fragilità delle persone".
Forse in certi casi, per proteggere i più deboli, lo Stato non dovrebbe far paura ai delinquenti che compiono soprusi  contro di loro, con il rigore della persecuzione e la durezza della punizione? E forse trovare altri metodi, che tocchino i diritti dei chi debole non è, per liberare i tribunali dai carichi processuali?

giovedì 4 dicembre 2014

NELSON ROLIHLAHLA MANDELA - UN ANNO DALLA MORTE

Per me la figura più esemplare, l'uomo più importante e significativo del XX secolo (limitando l'ampiezza temporale)
5 dicembre 2013 - 5 dicembre 2014




lunedì 1 dicembre 2014

A PROPOSITO DI UN POSTO DI FEDERICA CHE SCRIVE: “IL MATRIMONIO OMOSESSUALE MINACCIA IL FUTURO DELL’UMANITA’ (BENEDETTO XI) AL QUALE REPLICA: PENSAVO CHE A MINACCIARE IL FUTURO DELL’UMANITà FOSSERO FAME, GUERRE E POVERTA’



A PROPOSITO DI UN POSTO DI FEDERICA CHE SCRIVE: “IL MATRIMONIO OMOSESSUALE MINACCIA IL FUTURO DELL’UMANITA’ (BENEDETTO XI) AL QUALE REPLICA: PENSAVO CHE A MINACCIARE IL FUTURO DELL’UMANITà FOSSERO FAME, GUERRE E POVERTA’


Un ragionamento stolto:

Pensavo, Federica, che a rigor di logica, estremizzando fino al paradosso la possibilità che tutte le persone viventi sulla terra fossero omosessuali, questa unione, naturalmente sterile, porterebbe veramente alla estinzione della vita umana.

Al contrario fame, guerre e povertà non minacciano realmente questo esito paventato da Benedetto XVI (che per il ruolo che ricopriva dubito parlasse a titolo personale).

Prendi per esempio gli stupri sistematici della guerra civile Jugoslava, piuttosto che quelli della guerra del 1971 (credo ) per l’indipendenza del Bangladesh, quanti bambini hanno fatto nascere (proprio ieri sera Antonella ha visto il film VENUTO AL MONDO tratto dal libro della Mazzantini)

I tassi di natalità più alta, per compensare le morti nei primi anni, sono propri delle aree più povere.

Quindi a rigore di logica, non sono minacce per il futuro della umanità, al limite sono condizioni necessarie affinché (abbozzo sulle percentuali) il 10% di questa umanità possieda il 40 o 50% delle ricchezze ( o di più).

Del resto, ragionando sempre per assurdo, anche se tutte le persone fossero prese da vocazione religiosa e diventassero tutti preti e suore (integerrimi, eh!) l’umanità sarebbe minacciata. Diciamo che la vocazione religiosa è una minaccia per il futuro dell’umanità tanto quanto il matrimonio omossessuale (facendo ovviamente finta di non sapere che si tratta di concedere dei diritti a una minoranza e non realisticamente di prevedere che tutti saranno omosessuali)

Però mi sento stimolato ad avventurarmi in un ragionamento che probabilmente sarà motivo di qualche bacchettata da pensatori ben più attrezzati di me.



Premesso che siamo padroni di noi stessi e della nostra vita senza dovere nulla a nessuno (fatto salvo rapporti affettivi e il dovere di provvedere ai figli una volta messi al mondo e ai genitori finchè non lasciano questo mondo) e che non esiste un’ “idea” di bambino che aspetta solo in modo deterministico che quello spermatozoo fecondi quell’ovulo, se anche tutti gli abitanti del mondo dovessero coniugarsi con persone dello stesso sesso, quindi senza procreare, e questo portasse per libera scelta all’estinzione della razza umana, questo fatto sarebbe una colpa verso qualcuno? Il genere umano ha un dovere di continuare ad esistere o potrebbe (ragiono per paradosso) decidere autonomamente di estinguersi per mancata procreazione? Avere un bambino non è un diritto, ma procreare, oltre che un mezzo per far continuare l'esistenza dell' essere umano sulla terra, è un dovere?