domenica 28 settembre 2014

LA LEZIONE SCOZZESE - CON PIU' EUROPA SI REINVENTA LO STATO di Guido Rossi

trovato sul SOLE 24 ORE di domenica 21 settembre.
articolo di Guido Rossi sul referendum in Scozia.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-09-21/lo-stato-si-reinventa-solo-piu-europa-081110

stralcio finale:

" L'unica soluzione attuale alla crisi degli Stati e allo "status quo" del disordine mondiale, può essere dunque solamente, al di fuori di facili visione apocalittiche, con la legislatura appena aperta dell'Unione Europea il passaggio da un'unione monetaria ad un'unione politica, attraverso la costituzione di un governo federale democratico europeo, in cui la presenza dei singoli Stati membri ritrovi una sua nuova consistenza, di fronte all'attuale disgregazione delle istituzioni democratiche, rinnovando una politica basata sulla unità culturale dell'Europa del Rinascimento e dell'Illuminismo e non più su una imbelle e autodistruttiva politica orientata a devastanti e ambigui interessi personali e tribali senza futuro."

Meglio che niente. Non sono pienamente d'accordo, a mio avviso l'Europa dovrebbe essere un'unico stato centralizzato e gli Stati nazionali sciogliersi in essa, ma, come si dice dalle mie parti, piuttosto che niente, è meglio piuttosto.

domenica 21 settembre 2014

LE PAURE DEI TEDESCHI DI PAGARE I DEBITI ALTRUI - Carlo Bastansin (SOLE 24ORE del 6 settembre)

Uno stralcio dall'articolo di Carlo Bastasin sui timori tedeschi di pagare i debiti degli altri europei.

" Prima di liquidare come gretto lo scarso spirito cooperativo dei tedeschi, bisogna riconoscere che è stato il desiderio di non ripetere il passato ad ispirare nel dopo guerra la forte etica dell'autosufficienza economica in Germania: vivere entro i propri mezzi è tuttora un codice etico che vale sia a livello individuale sia a livello collettivo. Il timore di un passato di crimini contro l'umanità, guerre, povertà e inflazione è la ragione storica dell'Europa, ma per i tedeschi è anche la fonte primaria della cultura dell'austerità che essi desiderano esportare al resto d'Europa in un esercizio paradossale di autosufficienza collettiva".


sabato 20 settembre 2014

QUALCHE PENSIERO SU IL LIBRO "IL DESIDERIO DI ESSERE COME TUTTI" DI FRANCESCO PICCOLO

mah... si si... no no... non so. Non riesco ad avere una opinione chiara e condivisa (con me stesso) sul libro “il desiderio di essere come TUTTI" di Francesco Piccolo, con quel TUTTI scritto in rosso con i caratteri dell'edizione dell’Unità nel giorno dei funerali di Berlinguer.
E' un bel libro o un libro banale? Parla anche di me, mi riguarda oppure pretende di farlo senza riuscirci? E' un racconto personale che in realtà vuole rappresentare una categoria di italiani con arguzia e ironia oppure è un libro che con superficiale ironia sfrutta il filone di moda nella triste Italia di questo decennio, o di questo trentennio, ovvero sparare sulla (Croce Rossa) gente di sinistra?
Non sono riuscito a capirlo.


Non lo capisco e quindi non so esprimere un giudizio. Più onesto scrivere qualche pensiero sparso, a immagine di come sto “digerendo” il libro dentro di me, per successivi stimoli di riflessione, idee e opinioni che mi vengono così all’improvviso nel corso della giornata.

Questo depone a suo favore, non mi ha lasciato indifferente

C’è una premessa da fare. Non conoscevo Piccolo fino a che non l’ho visto da Fazio promuovere un suo libro (prego tenere presente: da Fazio (RAI3) a promuovere un suo libro. E’ un fatto significativo da tenere presente quando lo sentiremo pontificare sul popolo di sinistra come se fosse tutto composto dai partecipanti alle terrazze romane e non da poveri cristi che cercano di comportarsi bene e sperano per se, per i propri figli e per anche gli sconosciuti in un mondo migliore). Ora non conoscevo Piccolo e lo sento leggere l’aneddoto sul sistema di sicurezza che ha visto sui treni (tipo: rompere questo vetro con il martello che è posto dietro al vetro). Comincio a ridere, compero il libro e quando ritrovo il paragrafo riprendo a ridere. Purtroppo Piccolo nel mio immaginario è legato a questo fatto e così me lo rappresento anche quando leggo altro di lui.

Sento un comune afflato nella ammirazione e nell'affetto per la persona di Enrico Berlinguer, mi chiedo se invece di un reazionario, come Piccolo lo definisce, politicamente, nel suo ultimo periodo (del referendum sulla scala mobile, dei fischi di Verona da parte dei socialisti italiani, in fondo della "questione morale") non fosse, lo dico sommessamente, invece un visionario. In fondo la "diversità'" dei comunisti non era una diversità acquisita o intrinseca, la storia politica e la cronaca giudiziaria ne sono testimoni dell’abbondante contrario, ma da conquistare giorno per giorno e da mantenere, ed era una diversità dalla diversità della norma. Cioè dall'abusato ed egoistico deviare dal normale comportamento del buon cittadino. (banalmente, secondo i detti popolari: non un predicare bene e razzolare male, non un fate come dico ma non fare ciò che faccio) Forse se tale diversità fosse stata vera, nel vissuto e nel comportamento soprattutto di chi ha in mano leve, grandi o piccole che siano, decisionali, ne avrebbe avuto giovamento l'Italia intera. Ecco la visionarietà di Berlinguer, “se devi proporre un certo modo di essere cittadino o politico, siilo prima tu in modo adamantino”; ed ecco perché viene rimpianto ma non seguito, portato ad esempio per crearne una immaginetta anestetizzando la durezza della richiesta etica.


“A noi della sinistra italiana, nella sostanza, non piacciono gli italiani che non fanno parte della sinistra italiana. Non li amiamo. Sentiamo di essere un’oasi abitata dai migliori, nel mezzo di un Paese estraneo. Di conseguenza sentiamo di non avere nessuna responsabilità. Se l’essere umano di sinistra sentisse una correità, non penserebbe di voler andare a vivere in un altro Paese, più degno di averlo come cittadino. Però, a questo Paese che non ci piace, che non possiamo amare, del quale non sentiamo di far parte, e che osserviamo inorriditi ed estranei, noi della sinistra italiana ad ogni elezione, siamo costretti a chiedere il voto. Vogliamo, cioè, che quella parte di Paese che disprezziamo, si affidi alle nostre cure. Ciò che puntualmente non avviene, proprio perché il resto del Paese sente questo senso di estraneità. E poiché non avviene, noi della sinistra italiana ci indigniamo di più, ci estraniamo di più e riteniamo di essere ancora meno responsabili di questo Paese di cui non sentiamo di far parte.” Che splendido paragrafo di banalità scritte bene, con tono lieve, ironico, autocritico (la prima persona plurale è la lingua espressa, la seconda persona plurale è la lingua dell’animo che si legge in trasparenza). Se confrontiamo questo incisivo e breve scritto con le centinaia o migliaia di scritti che ripetono ossessivamente questo mantra diventato ormai apodittico, possiamo vedere palesemente la rozzezza della scrittura o dell’eloquio di tanti altri sportivi (filosofi, politologi, opinionisti, predicatori, giornalisti… ) dediti al gioco di fine/inizio secolo: insultare chi umilmente ha ancora ideali che ritiene di sinistra e in ragione di questi ideali cerca di essere un cittadino mediamente onesto e mediamente per bene.

A un certo punto Piccolo scrive che non potrà mai perdonare i fischi e gli insulti che Craxi e i suoi scherani indirizzano verso Berlinguer al congresso del PSI di Verona. “Per me Craxi, da quel momento, rimarrà per sempre quello che dice che non ha fischiato solo perché non sa fischiare. Non c’era ancora il crescendo sfacciato del finanziamento ai partiti, il dilagare del potere senza controllo, Tangentopoli, l’esilio (esilio??? Piccolo ma che parole usa: si chiama LATITANZA!!! ) e tutto il resto. Tutto quello che è venuto dopo, e che riguarda Craxi e il suo disfacimento personale e politico, non mi ha più toccato nel profondo”

Questo è un punto che mi rende lontano da Piccolo. Si perdona o non si perdona chi ha qualche significato per noi. Io disprezzo al tal punto Craxi e la sua compagnia di nani e ballerine che non sento questa necessità.

Ho trovato invece una grande sintonia con Piccolo quanto narra del terremoto in Irpinia

“ Leggevamo i giornali e guardavamo immagini terribili alla televisione. Si parlava di aiuti, di disorganizzazione, di lentezza. Per questo c’erano volontari che partivano da tutta Italia per andare nei paesi distrutti, in molti partivano anche dalla mia città, e noi ci dicevamo continuamente che dovevamo andare, che sarebbe stato giusto, in intanto non andavamo”. In questo un po’ pigro un po’ vile mi ci ritrovo. Anche da Trezzo sono partiti dei giovani e degli uomini, credo coordinati da quella grande persona che è don Giovanni Afker, e io non sono andato. Mi sento come se arrivassi sempre un minuto dopo che il treno è partito, non posso fare quel viaggio, dico che mi sarebbe piaciuto prendere quel treno, ma ho trovato sempre mille motivi per non arrivare in orario. Spero ardentemente che i miei figli prendano tutti i treni con coraggio, dedizione e altruismo.

Ho come la sensazione di essere sfiorato da questo libro, che si legge volentieri, come se iniziassi a dire, parla anche di me e dopo qualche paragrafo mi accorgo che racconta di uno stereotipo o di un ambiente che non mi appartiene o al quale non appartengo pur avendo tante cose in comune.

Una ultima, per ora, annotazione sul personaggio di Chesaramai, la moglie, la compagna di Piccolo che con una apparente superficialità nel modo di affrontare i casi della vita, riesce a calmierare il naturale catastrofismo pessimista e la infinità problematicità dell’autore. Ho trovato molta similitudine nel rapporto tra me e Antonella, solo che in questo caso, nel catastrofismo pessimista, nella infinità problematicità, nei miei confronti, Piccolo lo è di nome e di fatto.



(forse continua)

domenica 14 settembre 2014

NORBERTO BOBBIO. LA DEMOCRAZIA E' IL GOVERNO DELLE REGOLE

Sto iniziando a leggere uno di quei libricini che il Corriere della Sera vendeva nella collana "I classici del pensiero libero".
Si tratta di Norberto Bobbio: il futuro della democrazia.
Ho trovato all'inizio questa definizione che mi sembra si inserisca nell'ipotetico dibattito iniziato con l'articolo di Galli della Loggia di qualche tempo fa che si intitolava (vado a memoria) "la debolezza delle regole" e continuava con l'articolo di Buccini che ho postato qualche giorno orsono.

Bobbio:
" Se poi, a conclusione dell'analisi, mi si chiede di abbandonare l'abito dello studioso e di assumere quello dell'uomo impegnato nella vita politica del suo tempo, non ho alcuna esitazione a dire che la mia preferenza va al governo delle leggi, non a quello degli uomini. Il governo delle leggi celebra oggi il proprio trionfo nella democrazia. Che cosa è la democrazia se non un insieme di regole (le cosiddette regole del gioco) per la soluzione dei conflitti senza spargimento di sangue? E in che cosa consiste il buongoverno democratico se non, anzitutto, nel rigoroso rispetto di queste regole? Personalmente, non ho dubbi nella risposta a queste domande. E proprio perchè non ho dubbi, posso concludere tranquillamente che la democrazia è il governo delle leggi per eccellenza".

Concordo. 
Però ho alcune domande.
Come si rapportano diverse culture alla controprova della democrazia?
Quanto forti possono essere le regole nei confronti delle consuetudini?
La maggioranza, democraticamente, può imporre qualsiasi regola?
Le regole della democrazia sono ancorate a valori universali?

TRENTADUE SECONDI PER IMBUSTARE UN VESTITO

INTERNAZIONALE, numero 1059 del 11 luglio 2014.
"La settimana" di Giovanni de Mauro
(letture domenicali di arretrati, riviste prese in biblioteca e tutto quello accantonato in settimana)

BORSA
"Devi scegliere tra me, dio e lo stipendio, perchè lo stipendio te lo do io e io sono il tuo dio. Qui Allah non esiste". Trentadue secondi per imbustare un vestito. Centodieci pezzi all'ora, altrimenti urla e insulti. "Voi qui dovete sputare sangue". Magazzini roventi d'estate e gelidi d'inverno. Seicento euro al mese, senza pause e con straordinari non pagati. "Mi hanno messo da sola a cucire in una stanza senza finestre". Sembrano storie dell'altro mondo, ma vengono da un magazzino di Bologna. "Voi marocchine siete tutte porche, soprattutto quelle di 18 anni come te." Il 17 giugno dodici lavoratrici hanno presentato una denuncia " per una serie di condotte di sfruttamento lavorativo che vanno dalle offese al credo religioso a un caso di molestie sessuali", spiega l'avvocata Marina Prosperi, che assiste le ragazze, quasi tutte provenienti dal Marocco. "Una situazione che durava dal 2011, una totale mancanza di tutele lavorative", aggiunge Prosperi. La storia è stata denunciata da InfoAut e Radio Città del Capo, e poi è uscita sull'Huffington Post e sull'Unità. " Se i fatti dovessero essere accertati la cooperativa non mostrerà alcuna tolleranza nei confronti dei responsabili", ha fatto sapere la società cooperativa per cui lavorano le donne. Si chiama MrJob e ha un contratto di appalto con Yoox, uno dei marchi di moda più importanti d'Italia. "Qualora dovessero emergere inadempienze non in linea con il codice etico adottato dalla società, Yoox metterà in atto tutti i provvedimenti del caso e di propria competenza". Dal 2009 Yoox è quotata in borsa, nel 2013 è cresciuta del 25% con ricavi netti per mezzo miliardo di euro.

sabato 13 settembre 2014

ARTICOLO DI GOFFREDO BUCCINI: I LAICI SMARRITI DI FRONTE AI CONFLITTI E LA VIA PER LA PACE INDICATA DAL PAPA.

CORRIERE DELLA SERA DEL GIORNO 11 SETTEMBRE 2014
ARTICOLO DI GOFFREDO BUCCINI: I LAICI SMARRITI DI FRONTE AI CONFLITTI E LA VIA PER LA PACE INDICATA DAL PAPA.

Non conosco Buccini. Trovo l’articolo scritto per il Corriere estremamente valido. Suggerisco di andare a ricercarlo e leggerlo tutto.

Per esempio a questo link

http://www.selpress.com/istitutotreccani/esr_visualizza.asp?chkIm=27

posto solo alcuni stralci.

1 stralcio: il Papa. Francesco si richiama alla povertà, «il cuore del Vangelo», ma alla povertà da battaglia, sui barconi che arrivano a Lampedusa come nelle favelas del mondo. Tanto da dover spiegare l'ovvio a cinque ragazzi fiamminghi che lo intervistavano: di non essere comunista. «La povertà è una bandiera senza ideologia». Da antico e saggio prete di strada il Santo Padre pare perfino divertirsi con i superstiti seguaci del materialismo storico: «Ci hanno rubato la bandiera dei poveri. Parlando con loro si potrebbe dire: ma voi siete cristiani!»

2° stralcio Il Pil pro capite racconta la parte del mondo che ci terrorizza molto meglio delle farneticazioni di John, il boia dell'Isis. Se in America è di 48 mila dollari e in Italia di 29 mila dollari l'anno, in Iraq scende a 2.500 dollari, che diventano 1.700 in Siria, 806 in Pakistan, 424 in Afghanistan e 600 in quel Burundi dove tre suore italiane sono appena state martirizzate. Ci sono Paesi arabi in cui il tasso di analfabetismo è del 60 per cento a fronte del 3 per cento dell'Occidente.



3° stralcio (un po’ lungo ma ne vale la pena) Bush, recordman di condanne capitali in Texas, apriva le riunioni di governo con una preghiera al Padreterno misericordioso. Come i mullah che combatteva. Il multiculturalismo è probabilmente una chimera e può essere un grave equivoco se pretende di rimpiazzare le leggi del Paese ospitante. Il proselitismo fondamentalista va stroncato, da noi e ovunque si manifesti. Ma è difficile negare che libertà dalla fame e dalla paura, dignità e integrità della persona siano i soli valori universali a tutti comprensibili. ( cfr Galli della Loggia che pochi giorni prima sul Corriere diceva esattamente il contrario. Io credo che abbia ragione Buccini – nota mia ) Che una ragazza afghana preferirà di gran lunga togliere il burqa e sciogliere i capelli sul prato di un campus se solo avrà la possibilità di scegliere. Che un piccolo martire palestinese indosserà più volentieri una maglietta del Barcellona che una cintura di dinamite se sarà libero di optare. Libero davvero: dal bisogno e dall'ignoranza. Si diventa fondamentalisti per vuoto d'anima o di stomaco. Non esistono culture o religioni superiori, solo stagioni diverse. Fino a trecento anni fa torturavamo gli innocenti in nome di quello stesso Dio che adesso Francesco rende accogliente persino ai non credenti con la sua voce teneramente paterna. Il Malleus Maleficamm, il codice di procedura penale contro le streghe scritto da due domenicani nel 1487, è in effetti una buona prova dell'esistenza del demonio solo se assumiamo che il demonio, in quel periodo lungo più di due secoli, trovò un comodo cantuccio in seno alla Chiesa. Nulla è semplice. E l'idea di leggere la geopolitica con Feuerbach (siamo ciò che mangiamo) può essere naif. Ma ricostruire il ponte che Osama distrusse e che Obama non ha la forza di progettare daccapo sarà alla fine l'unica strada. Faticosa, ma la sola. Per ora ce la indica un prete venuto dall'altra parte del mondo, per dirci che non esiste un Cristianesimo identitario e senza Gesù: e per prendere a scapaccioni (amorevoli) noi laici smarriti, rifluiti nelle guerre di civiltà, immemori di quanto ci sia costato scoprire che l'unica civiltà è la pace. ^gt @GoffredoB

venerdì 12 settembre 2014

LE REGOLE E I DIVIETI DEL REGOLAMENTO DI POLIZIA DI PADOVA, UN TENTATIVO DI RIFLESSIONE NON PREGIUDIZIALE



LE REGOLE E I DIVIETI DEL REGOLAMENTO DI POLIZIA DI PADOVA, UN TENTATIVO DI RIFLESSIONE NON PREGIUDIZIALE


Premessa: non ho alcuna simpatia per i leghisti e per il pensiero leghista, verso il quale mi sento agli antipodi e così spero di essere considerato.
Premetto questo perché mi prendo la libertà di condividere alcune riflessioni sorte dalla lettura dell'articolo di E.S. sul Corriere di ieri a proposito delle ordinanze del sindaco di Padova. L'articolo cercava di essere ironico. Non conosco nel dettaglio le varie ordinanze o i vari articoli del regolamento di polizia urbana padovani che vietano vari comportamenti.
Le possibile sciocchezze esito delle mie riflessioni sono farina del mio sacco quindi, conseguenza del diventare vecchio e quindi più timoroso, più infastidito, più intollerante, più attratto dal grigio ordine che dal multicolore e rumoroso disordine (creativo? ... Mah!)
Mi chiedo se l'ansia normativa del sindaco di Padova non sia un tentativo un po' di retroguardia di ovviare alla diffusa e generalizzata mancanza di limite e di misura, di sapienza nella convivenza civile, di rispetto reciproco e di attenzione a non urtare con il nostro diritto, agitato come arma contundente, il diritto dell'altro.
La perdita di qualunque freno inibitore, lo svaporare di quella forma di controllo sociale e calmieratore dell'eccesso che era il timore della cattiva opinione altrui, il decadere dello scandalo da motore di innovazione (per la sua eccezionalità e per il costo pagato da chi lo provocava) a banale reiterazione un po’ noiosa - Salvini é un perfetto esempio del noioso pseudoscandalizzatore - vacua e fastidiosa, probabilmente fanno emergere l'ansia di ricercare con norme e divieti il rispetto delle regole di convivenza ormai non ci appartengono più culturalmente (chissà cosa ne pensa Galli della Loggia). Forse si é persa la misura, la comprensione che la convivenza civile é composta per la maggior parte da un limitare la nostra visione egoistica della realtà che vede gli altri obbligati ad accettare le esuberanze mie e del mio gruppo, e da un contenere l'espandersi all'infinito della mia libertà che può soverchiare chi mi sta attorno (e puntualmente soverchia i deboli, non i forti). In questo ambiente stressato ogni atto, sia esso di disattenzione colposa o doloso disinteresse delle conseguenze, piccole o grandi che siano, sugli altri, provoca risentimento, sensazione di disordine, di decadimento civico e soprattutto ci rende giudici inflessibili nostalgici dei tempi andati, censori dei tempi moderni e catalogatori di razze ed etnie. L'autocritica non si pone neanche per scherzo, incapaci di vedere quando noi usiamo male la nostra libertà
In questo ambito mi sembra si possa porre l'attivismo sanzionatorio e interdittorio di un amministratore come il sindaco di Padova. Ovviamente si coglierà l'occasione, probabilmente, si calcare la mano contro quelle categorie sociali più avversate per ideologia. Alla fine è una lotta tra deboli, da una parte il mite cittadino qualunque ligio e rispettoso delle regole (per timore o per scelta etica o per l’una mascherata dall’altra) che ha la legalità come unica arma di difesa, dall’altra asociali immaturi che cercano nel frantumare le regole minime la copertura mimetica della loro sconfitta, o sconfitti toutcourt che non hanno conosciuto regole se non quelle della sopraffazione.





Ho quindi qualche remora nel valutare ideologicamente e aprioristicamente il comportamento del sindaco di Padova, come sempre ogni valutazione merita un approfondimento. Mi chiedo piuttosto se e come sia possibile implementare una rinascita culturale che nel ricreare uno spirito di comunità consenta di vivere in città dove il rispetto minimo delle regole e della civile convivenza non debba essere costretta da mille divieti e da mille regole.

lunedì 1 settembre 2014

Il mondo postcoloniale è perciò quasi interamente diviso dalle frontiere dell’imperialismo.

ERIC HORSBAWN. IL SECOLO BREVE
Capitolo “LA FINE DEGLI IMPERI”
Il mondo coloniale dopo il 1945 è stato a tal punto trasformato globalmente in un insieme di stati formalmente sovrani che oggi si potrebbe credere che quella soluzione non solo fosse inevitabile, ma corrispondesse a ciò che i popoli coloniali avevano sempre voluto. Ciò è quasi sicuramente vero in quei paesi che si rifacevano alla propria lunga storia di entità politiche autonome, cioè i grandi imperi asiatici ( la Cina, la Persia, l’Impero Ottomano) e forse a uno o due altri paesi, come l’Egitto; specialmente quando queste entità politiche furono costruite su un grande staatsvolk o “popolo-stato” come il popolo Han nell’impero cinese o in Iran i credenti nella fede islamica scita, che era virtualmente una religione nazionale. In tali paesi il sentimento popolare contro gli stranieri poteva essere facilmente politicizzato. Non a caso la Cina, la Turchia e l’Iran sono stati tutti e tre teatro di importanti rivoluzioni autoctone. Comunque este erano eccezioni. Più spesso, proprio il concetto di un’entità politica permanente con una precisa unità territoriale e con frontiere fisse che la separavano da altre entità consimili, soggetta esclusivamente a una autorità stabile, cioè l’idea di uno stato sovrano indipendente che noi diamo per scontata, non aveva alcun significato per i popoli coloniali i quali (perfino in zone di agricoltura stanziale) non riconoscevano alcunché al di sopra dell’unità del proprio villaggio. Infatti, anche dove esisteva un “popolo” riconosciuto e consapevole di sé – ossia ciò che gli europei amavano definire una “tribù”- l’idea che lo si potesse separare territorialmente da altri popoli con i quali coesisteva, mescolandosi e dividendo con essi svariati compiti, è difficile da afferrare, perché aveva poco senso. In tali regioni l’unico fondamento per la creazione di stati indipendenti di tipo novecentesco furono i territori in cui esse erano state divise in seguito alle conquiste e alle rivalità imperiali, generalmente senza alcun riferimento alle strutture locali. Il  mondo postcoloniale è perciò quasi interamente diviso dalle frontiere dell’imperialismo.

Hobsbawn… mica Di Battista