venerdì 31 luglio 2015

LA TESI DI GAIANI: RESPINGIMENTI ASSISTITI. QUALCHE DUBBIO

LA TESI DI GAIANI: RESPINGIMENTI ASSISTITI. QUALCHE DUBBIO

Ho letto due interventi di Gianandrea Gaiani, il primo su LIMES ( chi bussa alla nostra porta, dal titolo “la guerra ai trafficanti fa acqua da tutte le parti”) e il secondo sul suo sito “analisidifesa.it “ (http://www.analisidifesa.it/2015/07/eunavfor-med-meglio-non-perdere-altro-tempo/) nei quali, alla fine di motivati e critici ragionamenti sulle politiche di confronto sulla questione migranti, sosteneva quale dovrebbe essere, a suo avviso, l'atteggiamento italiano.
Gaiani, che appare lontano dai fomentatori strumentali di odio e dalle verdi bassezze, è fautore di una politica muscolare di respingimento a largo respiro ( a suo avviso tutti i migranti sono “migranti economici”, anche coloro che provengono da Siria ed Eritrea, per esempio). Il suo ragionamento mi appare voler essere scientifico, analitico. Più di una volta, nel suo argomentare, tiene a precisare di essere lontano dai ruspisti.
Le sue conclusioni, che riporto nella versione scritta su LIMES, per certi versi possono sembrare seducenti, me non riescono a convincermi, pur non dimenticando la lezione di Magris come apparsa sul Corriere qualche mese fa.

Ecco il testo di Gaiani
appare evidente che l'opzione più efficace per bloccare i flussi migratori e azzerare il giro d'affari dei trafficanti resti quelle dei respingimenti assistiti. L'indifferenza della UE a condividere i flussi di migranti e il disinteresse dell'ONU nei confronti dell'emergenza vissuta dall'Italia potrebbero indurre a prendere in esame questa eventualità. Che rientra nelle legittime prerogative di una Stato sovrano e che l'Italia potrebbe gestire in autonomia con i mezzi navali e arei già schierati nel Canale di Sicilia. Del resto, gli Stati Uniti attaccano in territorio libico gli esponenti di al Qaeda e gli egiziani hanno colpito con forze speciali lo Stato islamico a Derna senza chiedere il permesso alle Nazioni Unite ma in nome della sicurezza nazionale.
Sarebbero sufficienti una nave da sbarco classe San Giorgio e cinque fregate, corvette e apttugliatori e con elicotteri, droni, aerei da pattugliamento e qualche centinaio di fucilieri della marina: in pratica il dispositivo già attivo con l'operazione Mare sicuro. I migranti verrebbero raccolti in mare appena salpati, non sarebbero quindi provati da giornate di navigazione in condizioni disumane e non si rischierebbero i naufragi che hanno provocato migliaia di morti. Concentrati sulla nave da assalto anfibio, verrebbero identificati e riportati sulla costa libica in piccoli gruppi con i mezzi da sbarco e sotto la scorta dei fucilieri della marina. Sarebbe possibile trattenere feriti malati e fornire generi di prima necessità ai migranti prima di sbarcarli. Trattenendo così sul suolo libico le truppe italiane solo il tempo strettamente necessario all'operazione di sbarco, in un tratto di costa sotto la protezione del deterrente delle forze aeronavali navali, meglio ancora se con un accordo con qualche forza politica.

E poi? Il dubbio che tale scelta mi fa sorgere, al netto del non distinguere i migranti economici (che perdono ogni diritto di cercare di migliorare la loro condizione, quasi condannati al mal vivere come se fosse un loro peccato originale e non forse effetto di cause che meriterebbero di essere ricercate) da chi fugge da persecuzioni o guerre – e qui andiamo a toccare l'essenza stessa del nostro orgoglio occidentale – è: cosa succede quando i fucilieri di marina sono risaliti sulle navi d'assalto?

Perchè i viveri che possiamo aver fornito velocemente finiscono. Abbiamo visto che i trafficanti di uomini non tengono in nessuna considerazione il valore delle vite dei migranti. Già quando sono a bordo dei barconi, e hanno pagato la traversata, e quindi non sono più un “assegno all'incasso”, l'interesse per la loro vita scema velocemente. Una volta respinti sulla costa libica, senza più risorse e con un valore economico pari a zero, quale sarebbe il destino di queste persone? Se prima i trafficanti avevano un qualche interesse a fornire quel minimo di cibo che li tenesse in vita fino alla conclusione dell'affare, ora queste persone (che non va dimenticato, non sono una massa informe, ma ciascuno di essi un esemplare unico, preziosissimo ed irripetibile dell'umanità) non diverrebbero un peso antieconomico? E che destino avrebbero? A meno che, non lo si dice per ipocrisia, proprio in una ecatombe dei migranti respinti sulle coste libiche si spera, a monito delle altre persone che vorrebbero cercare possibilità di vita migliore. Un bel monito da dare con la possibilità anche di dare la colpa a quei cattivissimi dei libici. Sbaglierò, forse Gaiani è molto più esperto di me e avrà molte ragioni, ma la sua tesi non mi convince pienamente.

sabato 18 luglio 2015

IL LETTORE STOLTO. i conflitti più tremendi sono non di rado quelli che scoppiano tra due perseguitati.

Nella vita degli individui e anche dei popoli, i conflitti più tremendi sono non di rado quelli che scoppiano tra due perseguitati. Solo nella pia illusione di alcuni cenacoli romantici i perseguitati e gli oppressi di ogni sorta si uniscono spinti da un moto di solidarietà e procedono schierati insieme per combattere contro il crudele tiranno.

AMOS OZ. UNA STORIA DI AMORE E DI TENEBRA.

“nella guerra del 1948 quasi tutti questi villaggi ebraici, insieme al quartiere ebraico fra le mura della Città Vecchia di Gerusalemme, furono conquistati dalla Legione Araba della Transgiordania. Tutti gli abitanti ebraici che durante la guerra d'Indipendenza finirono in mani arabe furono cancellati dalla faccia della terra – tutti senza alcuna eccezione – e tutti i loro abitanti, dal primo all'ultimo, furono uccisi o messi in fuga o fatti prigionieri, ma a nessuno di loro gli eserciti arabi permisero di tornare a casa dopo la guerra. Nei territori che conquistarono, gli arabi procedettero a una “pulizia etnica” ben più radicale di quella praticata dagli ebrei, nella stessa guerra: dai confini dello stato d'Israele fuggirono o furono cacciati centinaia di migliaia di arabi, ma più di centomila rimasero dov'erano. Per contro, in Cisgiordania e nella striscia di Gaza sotto la Giordania e l'Egitto non rimase nessun ebreo. Nemmeno uno. I villaggi furono cancellati, sinagoghe e cimiteri vennero distrutti.”
Questo brano mi ha fatto venire voglia di leggere qualche libro di storia delle guerre Arabo-Israeliane e in particolare delle vicende contemporanee e successive alla dichiarazione di indipendenza di Israele.

Subito dopo trovo, nello stesso ottimo libro, anche questi tre paragrafi, sicuramente collegati al precedente, e che da esso partono per una riflessione di più ampia portata, che mi sembra attuale ancor oggi, in altri tempi e in altri luoghi.

Nella vita degli individui e anche dei popoli, i conflitti più tremendi sono non di rado quelli che scoppiano tra due perseguitati. Solo nella pia illusione di alcuni cenacoli romantici i perseguitati e gli oppressi di ogni sorta si uniscono spinti da un moto di solidarietà e procedono schierati insieme per combattere contro il crudele tiranno. In verità, due figli di un padre padrone non sono necessariamente solidali fra loro e non sempre la comunanza di destino li avvicina. Capita non di rado, infatti, che l'uno scorga nell'altro non un fratello di sorte bensì proprio l'immagine terrificante del comune persecutore.
Forse stanno proprio così le cose fra ebrei e arabi, da un centinaio di anni.
L'Europa che ha infierito sugli arabi, che li ha umiliati infliggendo loro l'imperialismo, il colonialismo, lo sfruttamento e l'oppressione è la stessa Europa che ha perseguitato e oppresso anche gli ebrei, e alla fine ha permesso, quando non collaborato, che i tedeschi li eliminassero dal continente e li sterminassero quasi tutti. E invece gli arabi quando ci guardano non vedono un gruppo sparuto di sopravvissuti mezzi isterici, bensì un nuovo , supponente emissario dell'Europa colonialista, sofisticata e sfruttatrice, tornata con astuzia in Oriente – questa volta sotto mentite spoglie sioniste – per riprendere a sfruttare, opprimere, infliggere. Mentre noi, dal canto nostro, quando li guardiamo, non vediamo delle vittime come noi, non dei compagni di malasorte, bensì dei cosacchi bramosi di pogrom, degli antisemiti assetati di sangue, dei nazisti mascherati: come se i nostri persecutori europei fossero arrivati qui in terra d'Israele, avessero indossato la kefijah, si fossero lasciati crescere i baffi ma fossero pure sempre loro, i nostri assassini, sempre e solo ansiosi di sgozzare ebrei per puro diletto.”


Mi piace l'incipit di questo paragrafo. Lo trovo, nel suo valore assoluto, un insegnamento e una riflessione sempre attuale. Ma particolarmente in questi tempi bui, nei quali i porgrom stanno iniziando e presto, sono sconsolatamente convinto, cominceremo a contare le vittime reali.

Per il resto, condivido molto dell'intera riflessione, ripete meglio concetti che già avevo intuito. Forse, il libro è del 2002, ora si contestualizza maggiormente la peculiarità etnica propria delle parti in lotta. Ora Israele è potente e fa paura, e in parte opprime le popolazioni arabe soggiacenti individuandosi per sé stesso e non più visto come longa manus dell'Europa (di questa Europa la cui divisione interna va marginalizzando) o degli stessi USA. Però Oz sicuramente conosce dal di dentro la situazione e ha maggior voce in capitolo.

giovedì 16 luglio 2015

IL LETTORE STOLTO. TANTO IL RISULTATO NON CAMBIA... CAMBIAMO ALMENO LE CONDIZIONI

La zolla è dura, il terreno improduttivo, il seme sterile, il raccolto magro... ma anche sotto il cielo afoso e asfittico di Trezzo il risultato sarebbe stato uguale... e allora vogliamo mettere... !?! ;-)

Comunque, per conservare un minimo di dignità, vorrei proporre un altro brano che mi ha toccato di Natalia Ginzburg (LE PICCOLE VIRTU')
I rapporti umani

È la storia dei rapporti umani non é mai finita in noi: perché a poco a poco succede che ci diventano fin troppo facili, fin troppo naturali e spontanei i rapporti umani: così spontanei, così senza fatica che in sono più ricchezza, né scoperta, né scelta: sono solo abituri e e compiacimento, ubriacamento di naturalezza. Noi crediamo sempre di poter tornare a quel nostro momento segreto, di poter sempre attingerci giuste parole: ma non é vero che ci possiamo sempre tornare, tante volte i nostri sono falsi ritorni: accendiamo di falsa luce i nostri occhi, simuliamo sollecitudine e calore al prossimo e siamo in realtà di nuovo contratti, rannicchiati e gelati sul buio del nostro cuore. I rapporti umani si devono riscoprire e reinventare ogni giorno. Ci dobbiamo sempre ricordare che ogni specie di incontro col prossimo, é un'azione umana e dunque sempre male o bene, verità o menzogna, carità o peccato.

Intanto OZ (UNA STORIA DI AMORE E DI TENEBRA) intriga sempre di più. C'è un motivo che non ho realizzato ma nel quale mi crogiolo per il quale le storie ebraiche mi affascinano. Oz sa raccontare saltando nel tempo tra il suo presente bambino e i suoi avi con leggerezza e con sapienza, comincio a comprendere e a sistemare nel loro tempo e nel loro ruoli i personaggi, contemporaneamente mi interessano gli squarci di vita comune di una famiglia immigrata nell'Israele del mandato britannico e immagino nelle prossime pagine della costituzione dello stato. Non dimentico cosa ha significato per gli Arabi quella catastrofe. Ma non dimentico neppure la costanza di un popolo che per 2000 ha celebrato la Pasqua dicendosi "l'anno prossimo a Gerusalemme". La storia e le vicende umane non sono mai lineari.

A proposito di personaggi, fortunatamente ho insistito. Anche il libro di STEFANSSON (LUCE D'ESTATE ED  E' SUBITO NOTTE) mi sta piacendo, ora che riesco ad individuare meglio i personaggi e sono entrato in sintonia con lo stile dell'autore


Mi aspetto molto da Roberta de Monticelli con il suo (LA NOVITA' DI OGNUNO. PERSONA E LIBERTA').  "L'intuizione soggiacente (al libro) è che questo "potere di portare il nuovo al mondo" sia la caratteristica essenziale che ci distingue come persone, enti nuovi noi stessi -ontologicamente non riducibili alla nostra identità biologica". Chi ben parte è a metà del cammino, ma con un libro non è sempre detto. Valuteremo.

martedì 14 luglio 2015

IL LETTORE STOLTO. LA STORIA SI RIPETE? SI IMPARA DALLA STORIA?

IL LETTORE STOLTO. LA STORIA SI RIPETE? SI IMPARA DALLA STORIA?

Quando sono arrivato al brano che ora trascrivo di seguito, nel corso della lettura del libro di Oz UNA STORIA DI AMORE E DI TENEBRA, ho avuto la sensazione di aver già letto questo passo.
Di averlo appena letto (altrimenti con la memoria che ho, come mi sarei potuto ricordare), e sono riuscito a ritrovare facilmente il collegamento.
E’ un breve stralcio dell’editoriale di LIMES dedicato alle migrazioni CHI BUSSA ALLA NOSTRA PORTA.
Non so, io propongo questa connessione. Forse è la suggestione di ritrovare parole simili in due brani letti a breve distanza, forse invece c’è proprio un profondo rimando storico e un monito su un pericolo che palesemente non viene colto in questi anni di “cupio dissolvi” del più importante, profondo, giusto, grande progetto che questo nostro continente, che tanto ha dato, in termini di civiltà e di lutto, a tutto il mondo e a tutti i popoli, abbia iniziato.

Amos Oz
Una storia di amore e di tenebra
Mio padre e i suoi genitori furono gli ultimi a giungere a Gerusalemme: il fratello di papà, lo zio David, insieme alla moglie Malka e al piccolo Daniel, nato un anno e mezzo prima di me, rimasero a Vilna.: mio zio David, malgrado la sua appartenenza ebraica, in giovane età era stato nominato docente di letteratura all'università locale.
Era un europeo consapevole, in un'epoca in cui nessuno in Europa si sentiva ancora europeo, a parte i membri della mia famiglia e altri ebrei come loro tutti gli altri erano panslavi, la germanici, o semplicemente patrioti lituani, bulgari, irlandesi, slovacchi. Gli unici europei di tutta l'Europa, negli anni venti e trenta, erano gli ebrei. Mio padre diceva sempre: in Cecoslovacchia vivono tre nazionalità - cechi, slovacchi e cecoslovacchi cioè gli ebrei. In Iugoslavia ci sono i serbi, i croati, gli sloveni e i montenegrini, ma anche lì vive una manciata di iugoslavi smaccati, e persino con Stalin, ci sono russi e ucraini e uzbeki e ceceni e tatari, ma fra tutti vivono anche dei nostri fratelli, membri del popolo sovietico.

Editoriale di Limes. Chi bussa alla nostra porta.
Trattare con distanza analitica un tema sconvolgente (le migrazioni) fuggendo la retorica (con annessa industria) dell'umanità riamo e le scorciatoie securitarie che speculano sulla paura dell'altro, può apparire velleitario. Eppure é uno sforzo che dobbiamo a noi stessi dopo che lo straniero in fuga da molti Sud in miseria o in fiamme che affacciano sul già mare nostrum ci ha strappato la maschera. Perché una certezza l'abbiamo: l'ordine europeo non é più.
(...)
Non abbiamo retto alla prova del migrante. Sotto la maschera che lo straniero ci ha strappato scopriamo mille identità, dalle nazionali alle locali, opportunamente inflazionate dalla paura del diverso. Tanti volti sfigurati dalla paura. Ne manca uno:l'europeo. Gli extraeuropei ci svelano ex europei.

lunedì 13 luglio 2015

Il lettore stolto (in campeggio)

Il lettore stolto (in campeggio)

Alzare gli occhi dal libro e vedere, oltre la instabile torre degli altri in attesa, la veranda della propria caravan montata proprio benino (beh, non benissimo, conosco amici che troverebbero mille difetti), con la VS alzata a sufficienza perché i lati della veranda spiovano con il giusto grado in modo sia da non aiutare la formazione di sacche in caso di pioggia sia di mantenere una corretta altezza per non girare piegati, è una bella soddisfazione, e si torna volentieri alle amate pagine (e non sudate carte perché si legge con leggerezza e aiutati da un costante brezza che gli ultimi giorni a Trezzo ce la sognavamo).

Qualche tempo fa avevo trascritto una citazione da Natalia Ginzburg “Le piccole virtù” che mi aveva colpito. Per curiosità ho cercato il libro nel nostro stupendo sistema bibliotecario e ovviamente l’ho trovato. Fausta curiosità, il libro è un gioiello che si legge in un giorno ma che dovrebbe fare parte della biblioteca personale per sempre. E’ composto da una serie di saggi. Il più intenso, a mio avviso, ma so di essere condizionato dalle esperienze personali, è proprio quello intitolato “piccole virtù”, che nella edizione che ho preso è messo per ultimo. Ben oltre la citazione di qualche settimana fa è opportuno andare. Non posso trascrivere l’intero saggio, lo consiglio per intero

Dedico a me questa frase: “Se il meglio del loro ingegno (i figli) non hanno l’aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti”

Del resto vorrò condivide con chi ha tempo da perdere per leggere queste righe altri brani, espunti a fatica perché l’anelito era di trascrivere il libro, dagli altri saggi

Lo farò un po’ per volta.

Ecco il primo

inverno in Abruzzo
C'è una certa monotona uniformità nei destini degli uomini. Le nostre esistenze si svolgono secondo leggi antiche e immutabili, secondo una loro cadenza uniforme ed antica. I sogni non si avverano mai e non appena li vediamo spezzati, comprendiamo a un tratto che le gioie maggiori della nostra vita sono fuori dalla realtà. Non appena li vediamo spezzati, ci struggiamo di nostalgia per il tempo che fervevano in noi. La nostra sorte trascorre in questa vicenda di speranze e nostalgie.
Mio marito morì a Roma nelle carceri di Regina Coeli, pochi mesi dopo che avevamo lasciato il paese. Davanti al l'orrore della sua morte solitaria, davanti alle angosciose alternative che precedettero la sua morte, io mi chiedo se questo é accaduto a noi (...) Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita è solo adesso che m'é sfuggito per sempre, solo adesso lo so.


Sto leggendo anche AMOS OZ: “Una storia di amore e di tenebra”, sorta di autobiografia dell’autore che non può che intrecciarsi con la storia della diaspora ebraica e della formazione dello stato di Israele. Per ora sono circa a pagina 160, e il romanzo, son la sua sottotraccia di umorismo ebraico, mi sta piacendo molto. C’è sempre qualcosa, nella cultura ebraica, che mi sembra sottointendere un richiamo arcaico.

JON KALMAN STEFANSSON invece ha scritto un romanzo LUCE D’ESTATE ED è SUBITO NOTTE ambientato nel fiordi occidentali d’Islanda. La prossima volta che visiterò l’Islanda, spero guidando la mia LAND ROVER DEFENDER con 2 air- camping sul tetto, non mancherò di visitare i fiordi occidentali, che sono remoti anche per l’Islanda stessa (infatti nella precedente visita ho dovuto saltarli per mancanza di tempo). Forse è questo il motivo che mi fa procedere nella lettura, visto che non riesco a entrare nel pathos della storia. Continuo a dirmi, adesso sospendo, e poi continuo. Meglio un libro letto in più che uno in meno.

CHI BUSSA ALLA NOSTRA PORTA è l’ultimo numero di LIMES. L’ho comprato qui a Cavallino. Mi sento un po’ confuso da una cacofonia di voci sul dramma della migrazione (dramma per i migranti, ché penso fossi io a dover abbandonare la mia casa e la mia famiglia lo vivrei come un dramma). Mi spaventa la nazificazione del linguaggio che cerca di spersonalizzare queste persone, nella massificazione o nella classificazione (“chiamiamoli clandestini”!) E infatti nell’editoriale Caracciolo evidenzia questo aspetto “Rimuoverlo. Almeno restringerlo in un ghetto che ce lo renda invisibile, E configgerlo in una definizione di specie – il marocchino, l’afghano, il somalo – a certificare che di fronte non abbiamo una persona, con la sua storia di vita, ma una molecola di un mondo inferiore che non vogliamo conoscere. Una razza, non un individuo. Un oggetto, non un umano. Cui imponiamo una maschera, mentre lui ce la toglie”.

Limes è una rivista intelligente e interessante. Profonda nell’analisi che richiede un po’ di sforzo nella comprensione e nella lettura. Una boccata di ossigeno dai 140 caratteri verdi, non perché vi si debbano trovare consolatorie conferme di ciò che si vorrebbe forse la realtà, ma perché fonda l’analisi su dati e ragionamenti.

Infine sto leggendo SALLY O’REILLY “IL CORPO NELL’ARTE CONTEMPORANEA”. Come tutto (beh, molto, moltissimo) dell’arte contemporanea, non sto capendo praticamente nulla. Mi lasciano molto perplesso le analisi e le valutazioni critiche proposte delle diverse forme d’arte (dai quadri, alle foto, alle performance) presentate. Però il corpo umano è un argomento che mi affascina moltissimo. In particolare il corpo femminile. E anche in queste forme d’arte per me incomprensibili, vedo che la preminenza dell’attenzione, dell’uso, della presentazione, riguarda il corpo femminile. Lo leggo d’inerzia, quasi divertendomi della mia ignoranza e della mia grettezza artistica. E mi stupisco di cosa facciano gli artisti e di cosa sia considerata arte.