sabato 28 febbraio 2015

IL LETTORE STOLTO (6): AGGIORNAMENTO DELLA LISTA DEI DESIDERI

IL LETTORE STOLTO (6): AGGIORNAMENTO DELLA LISTA DEI DESIDERI

Ho inserito nella lista dei desideri un po' di libri consigliati dal settimanale LA DOMENICA del Sole 24 ore..
Mi attira il libro della croata Dasa Drndic “Trieste” sulle vicende umane nel periodo di occupazione e annessione nazista del Kustenland verso la fine della Guerra. Penso che ordinerò questo libro nelle librerie online, mi vien da ridere a pensare alla mia ordinazione vocale a Marco e a quanto possa capire lui.
In tema di “Gialli”, mai sopita passione, ho trascritto i tre libri di Antonio Manzini dedicati alla serie sul vicequestore Rocco Schiavone, romano trapiantato in Valle d'Aosta per punizione. Sono editi da Sellerio, mi sembra una garanzia.
Poi Roberto Casati, con la sua profondamente ironica e apparentemente leggera  (non è una buona politica comunicativa essere più tetri degli oscurantisti quando li si confuta) presentazione del libro di Nicla Vassallo “Il matrimonio omosessuale è contro natura. Falso!”, mi ha fatto venire voglia leggere questo libro.
Il fermo e pacato ragionamento di Casati merita una citazione:

"Il titolo del libro premette già qualche semplice riflessione. Chissà, forse basterebbe far notare che il matrimonio di per sé – samesex o othersex – è un'istituzione culturale tale si oppone alla natura, e proprio a quella cui si pensa quando si dice “contro natura”. Non è che anche le formiche nel loro piccolo si sposano. Il matrimonio è contro natura, e per fortuna, vien fatto di dire, nel senso che non è questione di accoppiamento e di riproduzione, quanto piuttosto di riconoscimento sociale, di impegno morale, di progetto a lungo termine e di adesione culturale"

mercoledì 25 febbraio 2015

IL LETTORE STOLTO (5) : SI SALUTANO NICK HORNBY E JEROME K. JEROME

IL LETTORE STOLTO (5) : SI SALUTANO NICK HORNBY E JEROME K. JEROME

Ho concluso a breve distanza di tempo due libri che mi hanno tenuto una piacevolissima compagni in questi ultimi giorni: UNA VITA DA LETTORE di Nick Hornby e TRE UOMINI IN BARCA (PER TACER DEL CANE ) di Jerome K. Jerome.

Il libro di Hornby, beh, lo dovrò acquistare perchè anche se trascrivessi l'enorme bibliografia proposta, come potrei ricordare gli appunti e le annotazioni che in questo travolgente libro il supertifoso dell'Arsenal ci ha consegnato? Fortunatamente il capolavoro di Jerome è sul Kobo e potrò riprenderlo ogni volta che avrò voglia.

Saluto per ora questi due libri con due stralci.

Hornby ci insegna che i libri non muoiono mai, neanche quelli acquistati e non letti da 10 e più anni, siamo noi a non saper bene sentire il loro polso

“Sopra il mio letto (prendi nota Antonella! Mia nota) c'è uno scaffale dove tengo i Libri Letti e altri che sono davvero intenzionato a leggere, un giorno o l'altro. E inevitabilmente, con il tempo, alcuni di questi ultimi vengono dichiarati morti e traslati con delicatezza e rispetto al piano di sotto: nella libreria in soggiorno, se sono volumi rilegati, o in quella degli economici, appena fuori dalla porta della camera da letto. Lì hanno modo di riposa in pace (abbiamo una parola per indicare qualcosa che un tempo sembrava una buona idea? Lo spero.) Sono sicuro che lo sapevate già tutti, ma in realtà i libri non muoiono mai, solo che evidentemente non sono molto bravo a sentir loro il polso. L'ho imparato dai miei due figli più piccoli, che hanno preso l'abitudine di tirarli fuori dagli scaffali che riescono a raggiungere e farli cadere per terra. Ovviamente, cerco di non accorgermene, in quanto, se lo facessi poi forse sarei anche costretto a raccoglierli. Ma quando infine, a malincuore, ho concluso che nessun altro lo farà, spesso il libro o i libri che mi trovo in mano hanno un aspetto appetitoso – appetitoso e intonso – e così vengono rimessi sullo scaffale sopra il letto. E' un ottimo sistema, anche se vizioso, un po' come il ciclo della pioggia convettiva: l'interesse evapora e i libri si riducono ad aria calda, per cui si sollevano, sapete, obliquamente, o addirittura precipitano al pino terra ma poi bla bla bla e cadono sul pavimento... Forse non è proprio così, ma qualcosa del genere. E' proprio in questo modo che di recente è stato riscoperto Aria di Famiglia di Michael Ondaatje... ho cominciato a leggerlo appena l'ho raccolto dal pavimento, e non come se fosse pioggia, ma un frutto maturo e succoso."

Il secondo stralcio, per prendere commiato da “J.K.J.” è tratto da due capitoli , il 13° e il 16°. E' il collegamento che facciamo noi a rendere irresistibile il racconto, senza che l'autore faccia un richiamo. Alla fine del primo brano il risultato umoristico sembrerebbe raggiunto e compiuto, invece non che è il primo tempo (mimetizzato) di un sagace ritratto umano che non ci giunge nuovo. Ridiamo compassionevoli di noi stessi.

Cap 13

Avemmo molto da fare con le lance a vapore. Stava per cominciare la settimana di Henley, e ne passavano in gran numero, alcune sole, altre portando a rimorchio delle barche. Io odio le lance a vapore, e credo che ogni rematore le odii. Non vedo mai una lancia a vapore senza sentire il desiderio di attirarle in una parte solitaria del fiume e di strangolarle, nel silenzio e nella solitudine.

Nella lancia a vapore v’è una spocchiosa ostentazione che ha la virtù di destare ogni pravo istinto della mia natura, e io rimpiango il buon tempo antico quando si poteva andare in giro con un’ascia, con un arco e delle frecce senza tante cerimonie. L’espressione della faccia dell’uomo, che, con le mani in tasca se ne sta accanto al timone fumando un sigaro, basta per sè sola a scusare un impeto di rivolta, e l’imperioso fischio che v’intima di tirarvi da parte, son certo che assicurerebbe un verdetto di «omicidio giustificato» da parte di qualsiasi giurì degli abitanti delle sponde.

I conduttori delle lance a vapore solevano incomodarsi a fischiare per farci scansare. Se io posso dirlo senza apparire immodesto, credo di poter onestamente affermare che la nostra sola barchetta diede, durante quella settimana, più noie, molestie e fastidi alle lance a vapore che s’incontravano, che tutte le altre imbarcazioni messe insieme.

— Viene una lancia a vapore! — gridava uno di noi, avvistando il nemico a distanza; e in un istante tutto era pronto a riceverla. Io mi mettevo al timone, e Harris e Giorgio si sedevano accanto a me, tutti e tre voltando le spalle alla lancia, e la barca fluttuava tranquillamente in mezzo alla corrente.

La lancia continuava ad avanzare fischiando, e noi continuavamo come se nulla fosse. A circa un centinaio di metri di distanza, essa cominciava a fischiar furiosa, e i passeggeri correvano a chinarsi di lato vociando contro di noi, ma noi non li sentivamo nemmeno! Harris ci raccontava un aneddoto di sua madre, e Giorgio e io non ne avremmo perduto sillaba per tutto l’oro del mondo.

Allora la lancia dava un urlo finale, con un sibilo che quasi faceva scoppiare la caldaia; e poi rovesciava le sue macchine, soffiava nuvole di vapore, oscillava in giro e si avvicinava alla sponda: tutti a bordo si precipitavano a prua e urlavano contro di noi; e la gente sulla sponda si fermava a gridarci contro; e tutte le altre barche di passaggio si fermavano a far coro, finchè tutto il fiume, per miglia su e giù, era in uno stato di frenetica eccitazione. E allora Harris s’interrompeva nella parte più interessante della sua narrazione, e levava lo sguardo dolcemente sorpreso per dire a Giorgio:

— Ma, Giorgio, che Dio mi benedica, mi par ci sia una lancia a vapore.

E Giorgio rispondeva:

— Già, mi sembrava d’aver udito qualcosa!

E allora noi diventavamo nervosi e confusi, e non sapevamo come scansarci, e la gente nella lancia s’affollava intorno a darci delle istruzioni.

— Remate a destra… idiota! Indietro a sinistra. No, non voi… quell’altro. Lasciate stare il timone… ora, tutti e due insieme. Non a quel modo… Dico a voi…

Allora calavano un canotto e ci venivano in aiuto, e dopo lo sforzo d’un quarto d’ora, ci allontanavamo dalla loro via, in modo che potevano continuare la loro rotta; e noi li ringraziavamo tanto, domandando loro di rimorchiarci, cosa che non ci fu concessa mai.

Al capitolo 16

Alla chiusa di Reading trovammo una lancia a vapore di alcuni amici miei, che ci rimorchiarono fino a circa un miglio da Streatley. È delizioso essere rimorchiati da una lancia a vapore. Lo preferisco al remare. La rotta sarebbe stata ancora più deliziosa, se non fosse stato per un branco di miserabili barche che inceppavano continuamente il cammino della lancia. Per evitar d’investirle, dovevamo ogni tanto star bene attenti e fermarci. È veramente seccantissima la maniera come quelle barche a remi ostacolano la via d’una lancia sul fiume: si dovrebbe pensare a far cessare questo sconcio.

E sono anche così maledettamente insolenti. Potete fischiare fino a far scoppiar la caldaia, prima che si scomodino a tirarsi da parte. Se potessi fare a mio modo, ne investirei un paio di tanto in tanto, se non altro per dar loro una lezione.




IL DIARIO DELLO STOLTO RAMINGO APOLIDE. LA SCUOLA CHE CAMBIA, CAMBIA L’ITALIA? SE NON CAMBIANO LE PERSONE NO!

IL DIARIO DELLO STOLTO RAMINGO APOLIDE

"LA SCUOLA CHE CAMBIA, CAMBIA L’ITALIA"? SE NON CAMBIANO LE PERSONE NO! JUNIORCHESTRA ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA. VORREI VEDERE UNO PER UNO GLI ADULTI DISTRATTI (E UN PO' VILLANI) CHIEDERE SCUSA. VIVONO SU TWITTER E SU FACEBOOK. GLI STRUMENTI LI HANNO. SERVE LA FACCIA.

Mi accorgo che continua a disturbarmi tantissimo la vicenda della maleducata disattenzione verso l’orchestra e il coro dei giovani della “Santa Cecilia” che suonavano l’Inno Europeo.

Scopro che sono due i motivi di indignazione; il primo, più grave, è il comportamento scorretto verso i giovani da parte di persone che hanno impiegato la domenica mattina per ragionare o ascoltare idee e proposte sulla scuola. Il dramma sta nel profondo. Erano così impegnati, seriamente e con convinzione, a immaginare il giovane ideale, l’idea di giovane, la rappresentazione intellettuale del giovane da non accorgersi dei giovani in carne ed ossa lì presenti. E non stiamo parlando di rozzi maneggioni che si stavano distribuendo mazzette e appalti, probabilmente sono, prese una ad una, tutte persone mosse dalle più oneste intenzioni. Il secondo è che se siamo e vogliamo essere Europa, l’Inno lo si ascolta in piedi e in rispettoso silenzio. Altrimenti anche in questo caso ci piace l’idea dell’Europa, e non l’Europa vera e propria da vivere e costruire ogni giorno. E’ stato un caso isolato, o riflettendo con sincerità ciascuno di noi, che aspiriamo al progresso della società con maggiore benessere per tutti, dobbiamo riconoscere, anche tra i critici di sinistra che legano l’avvenimento al fatto che sul palco c’era Renzi, di aver vissuto lo stesso comportamento?

lunedì 23 febbraio 2015

IL LETTORE STOLTO (4) NICK HORNBY GABRIEL ZAID ANTONELLA VITTORIO SERMONTI SALGARI SANDOKAN MAGRIS JOSEPH SVENBRO CALVINO TWITTER

IL LETTORE STOLTO (4) NICK HORNBY GABRIEL ZAID ANTONELLA VITTORIO SERMONTI SALGARI SANDOKAN MAGRIS JOSEPH SVENBRO CALVINO TWITTER

Come si fa a non amare, anzi vista la passione calcistica, tifare per Nick Hornby quando cita, nel suo gustosissimo libro, questo stralcio di “I troppi libri” di Gabriel Zaid (citazione di citazione... è corretto?):

“Tuttavia il momento migliore di Zaid è nel secondo paragrafo, quando dice che

Quello sono io! (Grida Horny, quello sono io, sia pure in proporzioni decimali, sussurro io) E probabilmente anche voi (oh, come hai ragione Nick!) ( beh, diciamo decine) Sbirciate un po' l'elenco di questo mese: le lettere di Cechov, le lettere di Amis, le lettere di Dylan Thomas... Che probabilità ho di smaltire tanta roba?”

Io guardo la pigna di libri che mi sposto dal tavolo della sala (quello elegante che ormai è la scrivania di casa, al tavolino vicino alla poltrona, al comodino del letto) e mi pongo la stessa domanda, considerato che le minacce muliebri mi spingono a usufruire delle biblioteche, realtà stupende con il limite che non puoi sottolineare i libri e che dopo un po' te li richiedono.

Se pensate che, una volta visto questo paragrafo sono andato in cerca di Antonella per leggerglielo, avete indovinato.

Sto iniziando nel frattempo anche un libro di Vittorio Sermonti “Il vizio di leggere”. Non mi sta entusiasmando ma sono solo all'inizio.

SI tratta di una miscellanea di brani scelti dall'autore presi a occhio dalla letteratura (e non solo ) mondiale. Scrive nell'introduzione Sermonti: “in ogni caso come fare a sapere di preciso che cosè questo libro, non sapendo con ragionevole approssimazione chi sono io”? Che mi sembra un fine modo per svicolare.

Mi piace di Sermonti che dica che Salgari è stato il suo pusher di bibliodipendenza (anche Magris cita Salgari come iniziatore alla lettura), dice di aver letto con ingordigia animalesca i suoi romanzi, in particolare il ciclo di Sandokan e i tigrotti della Malesia. Come mi ci sono ritrovato. Li conservo con particolare affetto.

Però di Sermonti mi ha colpito fino ad ora un brano del prof. Joseph Svenbro del CNRS di Parigi sulla lettura del testo.

“Ma se lo scritto è incompleto in assenza della voce, ciò significa che anche esso deve appropriarsi di una voce per realizzarsi pienamente... Lo scrittore, insomma, conta sull'arrivo di un lettore pronto a mettere la propria voce al servizio dello scritto, al fine di distribuirne il messaggio ai passanti, agli “uditori” del testo. Egli conta su un lettore che si atterrà alla imposizione della lettera. Leggere è dunque mettere la propria voce al servizio della scrittura (in ultima analisi, dello scrittore) E' cedere la propria voce per l'attimo della lettura. Voce che lo scrittore fa subito propria, come dire che essa non appartiene al lettore durante la lettura. Egli l'ha ceduta, La sua voce si assoggetta allo scritto, vi si unisce. Essere letto significa, di conseguenza, esercitare un potere sul corpo del lettore, anche ad una grande distanza nello spazio e nel tempo. Lo scrittore che riesce a farsi leggere agisce sull'apparato vocale altrui , di cui si serve, anche dopo la propria morte, come di un instrumentum vocale, cioè come di qualcuno o di qualcosa al suo servizio: di uno schiavo.”

Mah. Ci tornerò.

Bello infine l'aforisma di Calvino (il fondatore del calvinismo): “una menzogna è tanto facile da stampare, quanto la verità”... oggi direi twittare...

sabato 21 febbraio 2015

IL LETTORE STOLTO (3) JEROME K. JEROME, P.G. WODEHOUSE, GIULIA CRIVELLI, CLAUDIO MAGRIS,BUONISTA, ANTONELLA, PA’

IL LETTORE STOLTO (3)

JEROME K. JEROME, P.G. WODEHOUSE, GIULIA CRIVELLI, CLAUDIO MAGRIS,BUONISTA, ANTONELLA, PA’

Che bello, il sabato mattina, alzarsi presto, uscire a piedi, andare a prendere un paio di giornali cartacei, il pane ancora caldo di forno, un caffè ben fatto, e poi pensare solo a girare biblioteche per leggere riviste e altri giornali senza fretta, oppure dedicarsi agli approvvigionamenti settimanali, visitare un museo, camminare all’Adda, fare piccolissimi lavoretti. Invece ci si alza presto e…

Però questa mattina sono partito bene. Mentre facevo colazione e il gatto usava le mie spalle come trampolino ho potuto leggere questo gustosissimo brano da “Tre uomini in barca (per tacer del cane)” del mitico J.K.J.

Noi avevamo il fiume tutto per noi, salvo che, in distanza, potevamo vedere una zattera da pesca, ormeggiata in mezzo alla corrente, e carica di tre pescatori; e noi sorvolavamo sull’acqua, e passavamo accanto alle rive boscose, senza dire una parola.
Ero io al timone.
Come ci avvicinavamo, potemmo vedere che i tre uomini occupati a pescare avevano un aspetto di solenne vecchiaia. Sedevano su tre sedie nella zattera, e vigilavano intenti le lenze. E il tramonto rosso proiettava una mistica luce sull’acqua, tingeva di fuoco i boschi circostanti, e faceva una gloria d’oro alle masse di nuvole. Era un’ora di profondo incanto, d’estatica speranza e di desiderio. La piccola vela s’allargava contro il firmamento di porpora, il crepuscolo ci stava intorno, avvolgendo il mondo in ombre di arcobaleno; e dietro di noi strisciava la notte.
Noi sembravamo cavalieri di qualche vecchia leggenda, veleggianti per qualche mistico lago nel regno inesplorato del crepuscolo, verso la gran terra del tramonto.
Non andammo nel regno del crepuscolo: andammo a sbattere contro la zattera, dove quei tre vecchi stavano a pescare. In principio non ci accorgemmo di ciò ch’era accaduto; perchè la vela ce lo impedì, ma dal genere di linguaggio che si levò nell’aria della sera, comprendemmo che eravamo arrivati in vicinanza d’esseri umani molto malcontenti e collerici.
Harris abbassò la vela, e allora scorgemmo ciò ch’era successo. Avevamo fatto stramazzare quei tre vecchi signori dalle sedie in un mucchio confuso nel fondo della barca, e ora cercavano di separarsi lentamente e stentatamente l’uno dall’altro, raccogliendo il pesce dalle loro persone; e mentre si sforzavano di sollevarsi, ci maledivano – non con una imprecazione comune e frettolosa, ma con maledizioni lunghe e comprensive, accuratamente meditate, che abbracciavano tutta la nostra carriera, e si spingevan fin nel lontano futuro, includendo tutta la nostra parentela, e coprendo tutto ciò che ci riguardava – maledizioni buone e sostanziali.


Sto pensando di scaricare sul Kobo un po’ di romanzi di P.G. Wodehouse da usare come viatico per affrontare le perigliose giornate che mi attendono
In macchina il momento buono è proseguito, potendo ascoltare in successione, su RADIO24 (la migliore assieme a RADIO POPOLARE ) il programma di Carminati che mi sembra si intitoli “luoghi d’Arte” e poi la bravissima Giulia Crivelli con la rassegna stampa Europea, breve ma intenso spazio nel quale si può respirare comunicazione e informazione a pieni polmoni, usciti dalla spesso asfittica cantina della informazione nostrana.

Ieri sera ho letto qualche brano del libro di Claudio Magris: Alfabeti

Claudio Magris ha la coscienza e la consapevolezza di essere un intellettuale, conserva quindi nei suoi scritti una austera autorevolezza, mai pedante e mai saccente. Mi raffiguro Magris come colui che mi aiuta, essendo immerso in una cacofonia di suoni e rumori reciprocamente soverchianti, tendenti ad alzare il volume e ridurre i concetti a vuote parole d’ordine per emergere, a decifrare i suoni, dividerli dai rumori e riconoscere le parole sensate. (per esempio “buonista” che è diventato il mantra insultante verso chi cerca di vedere un essere umano in ogni altra persona, utilizzato sempre più spesso in carenza di argomenti, quando non si sa cosa dire o semplicemente quando si intende dire banali corbellerie).

Trascrivo un brano dal saggio: L'ultimo sguardo.
In questo breve saggio sul nostro (dei vivi) approccio alla morte dei nostri cari, lo scrittore triestino sa cogliere questo aspetto, tenero e profondo.
Scrive
" ... Il pudore, la distanza è la discrezione sono grandi virtù, ma bisogna pure essere capaci di spogliarsi, di stringersi all'altro; l'amore é rispetto, ma anche superamento della distanza. Essere una sola carne - come al Scrittura definisce il matrimonio - significa anche trascendere pudori schifiltosi, imbarazzi puritani, riguardose cautele; significa confidenza con i trionfi del corpo e con le sue sconfitte, capacità di abbracciare una persona amata anche quando invecchia, s'ammala e muore"
Gli stessi concetti, con altre parole, ci sono state dette, con il valore aggiunto di essere stata l’ultima esperienza di vita vissuta assieme, da un signora cui era morto il marito. Era una coppia che Antonella ed io ammiravamo moltissimo. E’ stato bello e commovente.


Chissà perché mi viene in mente questo particolare, che c'entra poco. Io sono sempre scappato, per la non accettazione della impotenza o per vigliaccheria, dalla sofferenza dei miei cari, ma ricordo che uno dei momenti in cui mi sentivo più vicino a mio padre, era quando, all'epoca della prima operazione, mi infiltravo alle 6.30 del mattino all'ospedale di Bergamo per portargli il Corriere della Sera, prima di andare al lavoro.

venerdì 20 febbraio 2015

IL LETTORE STOLTO (2) ADOLFO MILANI F.KAFKA MARCO CEREDA GIORGIO BARZAGHI PAOLA ALBANI ROSSANO VITALI NICK HORNBY DANIEL PENNAC ANTONELLA BOISIO GIULIA SOLBIATI



IL LETTORE STOLTO (2) 
ADOLFO MILANI F.KAFKA MARCO CEREDA GIORGIO BARZAGHI PAOLA ALBANI ROSSANO VITALI NICK HORNBY DANIEL PENNAC ANTONELLA BOISIO GIULIA SOLBIATI

Ieri sera ho chiuso gli occhi e letto con le orecchie. Ho assistito alla lettura pubblica della Lettera al Padre di F. Kakfa da parte del M.° Adolfo Milani con l’amico Marco Cereda accompagnati dalla musica suonata dal vivo dal M° Giorgio Barzaghi. E’ stato bello tornare al Milani che ricordo di Ibsen, di Calvino ( a proposito di Calvino, oggi su Repubblica on line presentavano delle opere di artisti ispirati dalla lettura de “le città invisibili”. Beh, niente a che vedere con i lavori molto più intriganti e profondi di Paola Albani)
, di altre letture che hanno segnato la produzione di cultura in questa città. La serata è stata intensa e piacevole. Milani ha impostato i ruoli con audacia tenendosi la parte del giovane Kafka e dando al più giovane Marco la parte del più vecchio padre.

Se posso permettermi suggerire a Milani di tenere Marco invisibile al pubblico, usando il suo interloquire nella lettura come voce “fuori scena”, forse l’impatto e la rappresentazione della voce nella testa di K. risulterebbe più forte senza quel piccolo straniamento dell’inversione anagrafica dei ruoli. Anche con Milani nel ruolo del padre credo l’effetto sarebbe enormemente impattante.

Ho colto in me una piccola differenza tra il godimento della lettura di ieri rispetto a quando sento leggere le “lettrici per caso” nelle quali presta la sua sapiente opera Antonella con anche Giulia. Ieri è stato un godimento intellettuale, mentre quando leggono le bellissime e bravissime donne del gruppo c’è una partecipazione emotiva e umana che commuove e fa partecipare in modo meno rilassato.

Con Rossano abbiamo scherzosamente rimembrato i tempi della prima lettura del brano, al ginnasio. Secondo Rossano è stato assurdo farci leggere questa lettera alla nostra allora giovane età. Io ricordo che erano gli anni di confronto/contrasto con i genitori, forse con il solo rimasto, mentre ieri mi scoprivo ad interrogarmi preoccupato su quanto potesse coincidere la figura del padre con me stesso.

Ricordavo perfettamente il brano del comportamento incoerente a tavola. E’ un pezzo che mi è rimasto scolpito in mente. Mi viene sempre il suo ricordo quando mi interrogo se un certo mio comportamento è incoerente con quella che propino come mia legge morale interiore, insomma tra il fare il trombone verso gli altri e comportarsi di conseguenza (mi torna in mente un po’ più spesso di quanto vorrei).

Sulla memoria delle letture fatte mi viene in soccorso Hornby nel bellissimo “Una vita da lettore”. A un certo punto, che non riesco a ritrovare, dice di non ricordare i libri che ha letto, e che questo è piacevole perché una seconda lettura conserva la freschezza della novità. E’ vero. Meglio, prima di iniziare mi lascia un po’ di preoccupazione sulle mie condizioni mentali e mi fa promettere che non leggerò più fagocitando il testo, ma con calma e assimilando bene personaggi e trama. Poi mi immergo nella lettura e se “mi prende”, vengo risucchiato nella storia. Con i saggi è un po’ diverso, l’esito è che faccio per due volte le stesse riflessioni edificanti, con l’illusione della saggia scoperta anche la seconda volta, e sempre mi stupisco di quanto sono profondo.

A me Hornby ricorda un po’ Pennac, ma con meno indole docente. Più sbarazzino, più disincantato… più british. Ad esempio scrive: “ I libri, ammettiamolo, sono meglio di qualunque altra cosa. Se organizzassimo un campionato di fantaboxe culturale, schierando sul ring i libri contro il meglio che qualunque altra forma d’arte abbia da offrire, sulla distanza di quindici riprese… bé, il libri vincerebbe praticamente sempre.” Poi, nel capitoLO successivo scrive che quando ha visto il primo gol di Reyes con la maglia dell’Arsenal…” quando quel tiro di Reyes ha gonfiato la rete levitavo a un metro d’altezza”. Non credo Pennac lo avrebbe scritto (potrei sbagliare). Stupendo Hornby, demitizza tutto, cominciando da se stesso e dalle sue affermazioni, senza togliere importanza a nulla, lo fa con benevolenza e un sorriso e ci aiuta a toglierci dubbi di inadeguatezza.

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giovedì 19 febbraio 2015

IL LETTORE STOLTO



IL LETTORE STOLTO


La domanda che potrebbe essermi rivolta: “che tipo di lettore sei?” è ipotetico-negativa. Ipotetica perché dubito che a qualcuno potrebbe interessare e di conseguenza pormi questa domanda. A ben pensarci non può venire in mente proprio a nessuno, quindi negativa. In perfetta coerenza con quanto scritto lo dico “pessimo”.
Nello zaino con cui mi martirizzo andando a prendere il bus per andare al lavoro ho :
Laura Pennacchi “Filosofia dei beni comuni”
Kant –Foucault “ Che cos’è l’illuminismo”
Nick Hornby “Una vita da lettore” che mi ha fatto venire voglia di scrivere queste righe e che sarà motivo della mia prossima depressione, vedendo con quale stile e competenza Lui scrive delle Sue letture.
Claudio Magris “Alfabeti: Saggi di letteratura”
Joseph E. Stiglitz “ Il prezzo della disuguaglianza”
Sul Kobo ho aperto “Tre uomini in barca (per tacer del cane” del grandissimo Jerome K. Jerome e sull’Ipad ho aperto “Sulle regole” di Gherardo Colombo.

Penso che sia sufficiente dire perché sono un pessimo lettore. Si potrebbe dire vorace, compulsivo (wiki dice: In psichiatria e psicologia clinica il termine compulsione indica un impulso volontario a compiere determinate azioni, col fine di placare, seppur momentaneamente, l'ansia generata dal contenuto egodistonico delle ossessioni, che sono pensieri, comportamenti o immagini mentali che ricorrono in maniera insistente dominando la vita psichica di un individuo.
Le compulsioni pertanto sono dei comportamenti finalizzati messi in atto volontariamente al fine di superare l'angoscia e i dubbi che spesso si accompagnano alle ossessioni. Un esempio di compulsione è la necessità di lavarsi ripetutamente in risposta a ossessioni di contaminazione (paura di poter contrarre una grave malattia infettiva, ad esempio)
. Mi sembra chiaro.

Quando sono tentato di riporre i miei libri sullo scaffale (se trovo posto libero) e riportare nelle biblioteche quelli in prestito penso: ho una aspettativa di vita di 24 anni ancora, lavoro e sono mediamente un cittadino rispettoso degli altri e delle leggi, non sto preparando esami e dalle mie conoscenze non dipende la salvezza del mondo: potrò essere un don Giovanni dei libri, saltando da un libro all’altro , da un paragrafo di uno al capitolo di un altro come il vero don Giovanni faceva con le donne? “madamina, il catalogo è questo” se la citazione mi è riuscita.

Sto leggendo libri di economia (Stiglitz e Piketty, ho appena finito sul Kobo: Marco Revelli “La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi”) perché vorrei capire come può essere che l’1% della popolazione mondiale si avvii a possedere più del 50% delle ricchezze e noi penultimi passiamo il tempo a far la guerra contro gli ultimi, mentre i terzultimi badano bene che siamo occupati ad alzare barricate attorno al nostro piccolo giardino. Secondo me dall’alto delle loro torri l’1% di superricchi ci guarda e sghignazza. Piketty lo devo ricominciare, Stiglitz non l’ho ben capito e Revelli ha messo insieme dati che forse avrei potuto trovare navigando con pazienza per conto mio. In ogni caso ho compreso un po’ la situazione ma non vedo soluzioni. I super ricchi continueranno a spassarsela protetti da noi che ci disputiamo gli avanzi, chi ottenendo di più chi di meno. Del resto all’economia sono sempre stato refrattario e non ho ancora imparato a leggere un bilancio (Hornby, con la sua sottile ironia ci regala questa piccola perla: “A un certo punto Lewis descrive un trader che lancia un biglietto da 10 dollari a un collega più giovane, in procinto di prendere un aere per lavoro fa il più vecchio, fa il più vecchio, ).

Mi piace molto Magris, questo libro che ho appena iniziato è una raccolta di saggi, mi sembra pubblicato sul Corriere della Sera (che sollievo quando tra un GdLoggia, un Panebianco, un Battista e un Ostellino trovo un pezzo di Magris) mi da l’impressione di una persona pacata, che non alza mai la voce, capaci di sorridere e pure che non fa sconti a nessuno. Argomenta con tranquilla forza, non mi sembra cedere alle mode o alle convenienze. Nei primi capitoli del libro, in un breve saggio sulla Felicità ho trovato questo incipit: “Gli elisir promettono, spesso, lunga vita, amore o felicità; il loro posto è dunque sulle bancarelle delle fiere di piazza o negli spot pubblicitari ,magnificati da qualche imbonitore che li propina ai creduloni. Certo, l’esistenza, grazie a Dio, sa essere talvolta anche un vino forte e generoso che si beve a fondo, ma la pretesa di imbottigliarla con un marchio di felicità doc è un bell’imbroglio. Ogni elisir che assicura felicità – ossia ogni ottimismo confezionato in un rassicurante sistema o concezione filosofica (lo scritto risale al 1999 – anche la data ha la sua importanza –mia nota) – è menzognero, e non solo perché glissa con disinvoltura sul male, sul dolore, sul buio, sull’infamia così largamente e iniquamente distribuiti ai mortali che fanno legittimamente dubitare della bontà di tutta la baracca.
(1)

mercoledì 18 febbraio 2015

ZIO PODGER ATTACCA IL QUADRO

E' sicuramente una delle pagine più "imbarazzanti" della letteratura, particolarmente di quella umoristica. "Imbarazzante" perché, dovunque ci si trovi, non si può fare a meno di mettersi a ridere leggendo questo capitolo di TRE UOMINI IN BARCA (PER TACER DEL CANE) del grandissimo Jerome K. Jerome.
Per l'ennesima volta lo sto leggendo (grazie al prezioso sito www.liberliber.it ) e me lo sto gustando come la prima volta.
E ancora rido beato dello zio Podger che attacca il quadro (ricordo che mio padre invece apprezzava molto il viaggio da Liverpool con le due forme di cacio )



Egli mi fa venire sempre in mente il mio povero zio Podger. In vita mia non avevo visto mai tanto trambusto in una casa, come nel momento che mio zio Podger si accingeva a far qualche cosa. Un quadro era ritornato dal negoziante di cornici, ed era stato lasciato ritto contro una parete della sala da pranzo aspettando d’essere appeso. La zia domandava che cosa si doveva farne, e lo zio diceva:

— Lascia fare a me. Nessuno di voi s’impicci del quadro. Farò tutto io.

E allora si cavava la giacca, e cominciava. Mandava, la fantesca a comprare cinquanta centesimi di chiodi, e poi uno dei bambini che la raggiungesse per dirle di che dimensione dovevano essere, e dopo imprendeva gradatamente a mettere in moto tutta la casa.

— Ora, tu, Guglielmo, va a pigliarmi il martello — gridava — e tu Tommasino, va a pigliarmi la squadra; e m’occorrerà anche la scaletta, e forse sarà meglio una sedia di cucina. Tu, Gianni, fa due salti dal signor Goggles; digli: — Tanti saluti da parte di papà, e come state con le gambe? — e se mi vuol prestare il livello. E tu, Maria, non te ne andare, perchè ho bisogno che qualcuno mi tenga la candela; e quando ritorna la fantesca, deve andare a comprare un pezzo di cordone; e, Tommasino!… dov’è Tommasino?… Tommasino, vieni qui; piglia il quadro e dammelo!

E allora il quadro sollevato gli cadeva di mano, e saltava dalla cornice, ed egli, per salvare il vetro, si tagliava un dito; e allora si metteva a saltare per la stanza, cercando il fazzoletto. Non poteva trovare il fazzoletto, perchè l’aveva nella tasca della giacca, e non sapeva dove aveva lasciata la giacca, e tutti di casa dovevano interrompere la ricerca degli strumenti e cominciare a cercar la giacca, mentr’egli intanto seguitava a saltare in giro, impacciandoli.

— Sa nessuno in tutta la casa dov’è la mia giacca? Non m’è capitato mai di vedere gente simile! Siete in sei!… e non siete capaci di trovare una giacca che mi son cavata, cinque minuti fa!… Quant’è vero…

In quel momento era seduto, e scoprendo di star sopra la giacca, gridava:

— È inutile che andiate in giro. L’ho trovata da me. Rivolgermi a voi perchè troviate qualche cosa, è come dirlo al gatto.

E, dopo ch’aveva impiegato mezz’ora a legarsi l’indice, ed era stato trovato un altro vetro, e gli strumenti, e la scala, e la sedia e la candela erano lì pronti, cominciava un altro divertimento: chè tutta la famiglia, compresa la fantesca e la donna a giornata, doveva assistere in semicerchio, pronta a dare una mano. Due persone dovevano reggere la sedia, una terza doveva consegnargli un chiodo, una quarta passargli il martello; e lui, pigliando in consegna il chiodo, lo lasciava cadere.

— Ecco — diceva, in tono d’offesa — è caduto il chiodo!

E tutti dovevamo inginocchiarci a cercarlo, mentr’egli se ne stava ritto sulla sedia a brontolare, e a domandarsi se doveva rimaner lì tutta la sera.

Il chiodo veniva finalmente scovato, ma intanto lui aveva perduto il martello.

— Dov’è il martello? Che n’ho fatto del martello? Giusto cielo! Ve ne state lì in sette a bocca aperta, e non sapete che cosa n’ho fatto del martello!

Gli trovavamo il martello; e intanto aveva perso di vista il segno da lui fatto sulla parete, per configgervi il chiodo; e ciascuno doveva a turno salire accanto a lui sulla sedia per cercar di trovare il segno; e ciascuno lo scopriva in un punto diverso; e lui ci chiamava stupidi, l’uno dopo l’altro, ordinandoci di scendere. E prendeva la squadra, per prender le misure un’altra volta, e trovando che gli occorreva la metà di ottantuno centimetri e tre settimi di centimetro dall’angolo, tentava di fare il calcolo a memoria e gli pareva d’impazzire.

E tutti tentavamo a memoria, e tutti giungevamo a risultati diversi, e ci davamo l’un l’altro la beffa. Nel trambusto generale, era dimenticato il numero originale e zio Podger doveva rimettersi a prender le misure.

Questa volta egli usava un pezzo di corda, e, nel momento critico che lo zio era inclinato sulla sedia a un angolo di quarantacinque, provando di raggiungere un punto un decimetro più di quanto si potesse sporgere, gli scappava la corda, ed egli s’abbatteva sul pianoforte, con un effetto musicale veramente bello, prodotto dalla velocità con cui la testa e il corpo avevano colpito contemporaneamente tutte le note.

E zia Maria esclamava che non voleva che i bambini stessero lì presenti a sentire le espressioni di mio zio.

Finalmente, zio Podger fissava di nuovo il punto, mettendovi su l’estremità aguzza del chiodo con la sinistra, e prendeva il martello nella destra. E, al primo colpo, si schiacciava il pollice, e con un urlo, lasciava cascare il martello sui piedi del più vicino.

Zia Maria osservava con dolcezza che la prossima volta che zio Podger avrebbe dovuto ficcare un chiodo nel muro, le facesse la finezza di avvertirla in tempo, perchè essa potesse disporre le cose in modo da andare nel frattempo a passare una settimana con la madre.

— Oh! le donne fanno sempre un mondo di difficoltà per niente — rispondeva zio Podger, riprendendosi. — Ebbene, a me piace di lavorare un po’ a questo modo.

E allora ci si provava di nuovo, e, al secondo colpo, il chiodo entrava tutto quanto nell’intonaco, trascinandosi dietro mezzo martello, mentre zio Podger veniva proiettato contro la parete con forza quasi sufficiente da appiattirgli il naso.

Allora gli dovevamo trovar di nuovo la squadra e la corda, e si doveva fare un buco nuovo; e, verso mezzanotte, il quadro era appeso – storto e alquanto instabile, con la parete che per dei metri in giro sembrava grattata da un rastrello, e tutti stanchi morti e infelici – tranne lo zio Podger.



— Ecco qui — diceva, balzando pesantemente dalla sedia sui calli della donna a giornata, e dando uno sguardo a tutta quella confusione in giro con orgoglio evidente. — Molti avrebbero avuto bisogno d’un operaio per fare un lavoretto come questo.

domenica 15 febbraio 2015

AVEVA UN LAVORO DA COMINCIARE

Ian McEwan
LA BALLATA DI ADAM HENRY

c'era stata pioggia quasi tutti i giorni dall'inizio della bella stagione, gli alberi sembravano gonfi d'acqua, le chiome estese, i marciapiedi lustri e lisci, le auto su High Holborn, pulite come nelle vetrine di una concessionaria. L' ultima volta che ci aveva fatto caso anche il Tamigi, ingrossato dall'alta marea è tinto di un marrone più scuro del solito, sembrava premere ostile contro i pilastri dei ponti, pronto a prendersi le strade. Ma la gente andava avanti lo stesso, lamentandosi, fradicia e determinata. I flussi di corrente a getto erano stati interrotti,sospinti a sud da fattori non controllabili che avevano bloccato il balsamo estivo dell'anticiclone delle Azzorre, risucchiando aria gelida dal Nord. Conseguenza del cambiamento climatico causato dall'uomo, dello scioglimento dei ghiacciai marini che interferiva con le masse d'aria alta, o forse dall'imprevedibile attività di macchie solari che non erano colpa di nessuno, o ancora della naturale variabilità climatica, degli antichi ritmi, del destino del pianeta. Oppure di queste cose, o di uno dei possibili abbinamenti a caso. Ma a che pro tante spiegazioni e teorie a quell'ora di primo mattino? Fiona, come tutto il resto di Londra, aveva un lavoro da cominciare.

sabato 14 febbraio 2015

LA VITALITA’ DELLA DEMOCRAZIA

LA VITALITA’ DELLA DEMOCRAZIA
Laura Pennacchi: Filosofia dei beni comuni.


Il punto è che la vitalità della democrazia, della “sfera pubblica”, dei sostrati normativi non equivale puramente e semplicemente alla densità del tessuto associativo di una società ma piuttosto deriva dalla qualità delle modalità organizzative che tale densità si dà e dalla natura delle relazioni sociali che vi si instaurano. Se le relazioni – traducendosi  prevalentemente in rapporti bilaterali diretti , privi di mediazione istituzionale – generano una nuova forma di dipendenza personale (anziché istituzionale) e non concorrono ad alimentare uno spirito pubblico collettivo, non sono relazioni di arricchimento della democrazia.

ONE BILLION RISING REVOLUTION A TREZZO

venerdì 13 febbraio 2015

FORMARE LO SPIRITO CRITICO

Formare lo spirito critico

LA DOMENICA DEL SOLE 24 ORE
Formare lo spirito critico - di Patrizio Bianchi

... Una riflessione attenta sulla necessità di tornare ad insegnare ai nostri ragazzi, e in realtà anche a noi stessi, la difficile arte del parlare; il parlare inteso come quello straordinario elemento che differenzia gli uomini da ogni altro essere vivente, il parlare non come strumento di prevaricazione sull'altro, o come marketing di se stessi, e neppure come semplice lessico comunicativo della nostra esistenza in vita, un parlare non ridotto al Twitter segnaletico di una presa di posizione, di un marcare il territorio o semplicemente di una dichiarazione di appartenenza a un clan, a una tribù, a una community mediatica.
Il parlare di cui si intende é l'espressione verbale di un ragionamento, in cui una sequenza di pensieri porta a esiti, il cui valore sta nello stimolare una S altrui reazione critica, in un dialogo che, per definizione, implica non solo che sia sia almeno in due a entrare in relazione di pensiero, ma che almeno i due dialoganti parlino la stessa lingua e della stessa comune lingua assumano i riferimenti logici ed emozionali, tali da permettere loro di non accontentarsi di contrapporre affermazioni, ma di avanzare insieme nel pensiero critico

LA MOGLIE DI ROBERTO NAPOLETANO SI CHIAMA ANTONELLA?

LA MOGLIE DI ROBERTO NAPOLETANO SI CHIAMA ANTONELLA?

Da Memorandum di Roberto Napoletano (LA DOMENICA del Sole 24ore)

Mi piace un olio su tela di Giannoni con una libreria bellissima a parete intera, legni caldi e colori densi, quei testi che occupano tutti gli scaffali e quelli finiti per terra a pile con chiazze bianche intorno, confesso che quando la pittura e il libro si incontrano in me scatta sempre qualcosa. Mi fermo e incrocio lo sguardo di mia moglie, capisco che non sono fortunato, la pensa diversamente "non facciamoci venire intenzioni , non abbiamo bisogno di avere un quadro che ci ricordi il disordine di casa, dove i libri hanno occupato tutte le scaffalature e spuntano da ogni dove, quasi non si cammina più "

giovedì 12 febbraio 2015

LE RIFORME DA SOLO NON SONO SUFFICIENTI

LE RIFORME DA SOLO NON SONO SUFFICIENTI
In questi giorni nei quali la Grecia e le speranze che suscita Tsipras sono argomento di dibattito e discussione, propongo un estratto di un articolo di ALBERTO KRALI  pubblicato oggi sull'Eco di Bergamo.
Sono particolarmente interessanti gli ultimi due paragrafi.

" Eppure nononstante una semplificazione dei processi istituzionali che in Italia è oggetto di invidia dal 1975 anno di introduzione della costituzione ad oggi la democrazia greca è stata ostaggio del clientelismo, della corruzione, delle malversazione dei partiti sia di destra che di sinistra. Una società chiusa estranea ai mercati moderni. Guai a credere che un paese possa essere cambiato con le sole riforme istituzionali. E' un clima culturale e quindi politico che va mutato. Il pericolo più serio è che una rassegnata assuefazione al malaffare pervada il tessuto sociale e percepisca la corruzione come un male senza rimedi.
Gli atteggiamenti di chiusura dei paesi del nord, Germania in testa, alla richiesta di una maggiore flessibilità in tema di crescita va a cozzare contro questa diffidenza di fondo. Questo porta i paesi del Nord Europa a considerare il regime di costrizione finanziaria l'unico strumento per migliorare i costumi. Una visione rigida che nel caso greco ha generato drammi sociali. L'Italia nel 2011 è andata vicino ad una amministrazione controllata dalla troika. A Bruxelles con la BCE e il Fondo Monetario Internazionale erano pronti a scendere a Roma. Si è già dimenticato. Rispettare le regole è il primo precetto per un'economia sana e l'antidoto al male oscuro del paese."

Poche parole ispirate e precise, semplici, tanto semplici da non essere comprese.

martedì 10 febbraio 2015

IL SENSO E IL VALORE DELLA MEDIAZIONE ISTITUZIONALE

IL SENSO E IL VALORE DELLA MEDIAZIONE ISTITUZIONALE
da Laura Pennacchi: FILOSOFIA DEI BENI COMUNI

la riflessività della modernità si articola lungo linee consensuali, discorsive, argomentative ma anche in conflitti. Le une e gli altri hanno bisogno di istituzioni che li trattino, li organizzino, li elaborino, in una parola che li medino; istituzioni che, nel mediare, distinguono tra valori assoluti - la cui coesistenza è garantita dalla laicità - e questioni sottoponibili al confronto e all'argomentazione, trasformano l'antagonismo in agonismo, contrastano il fondamentalismo. Le istituzioni, infatti, non sono norme né fini, ma non sono nemmeno puramente e semplicemente strumenti. Le istituzioni sono il medium delle relazioni sociali attraverso cui avvengono, in forme mediate intersoggettivamente, l'elaborazione, il riconoscimento e la generalizzazione di significati sociali: in quanto tali sono "beni pubblici di secondo ordine" (Donolo 197). La mediazione istituzionale, pertanto, è una funzione centrale della civilizzazione moderna.
(...)
La crisi globale esplosa nel 2007-2008 ha mostrato a quali esiti catastrofici possano condurre i due assi lungo i quali si è svolta la globalizzazione neoliberistica innescata dagli inizi degli anni ottanta del Novecento caratterizzata da autoregolazione come negazione della mediazione istituzionale: la rimessa in discussione dell'autonomia del politico, l'affermazione di un diritto p"puro" (vale a dire purificato dalle influenze della politica) e cioè rinaturalizzato (Ferrarese 2010), proteso verso l'imediatezza. Quei confini - non solo tra territori ma tra livelli, sfere, categorie - istituiti dalla mediazione istituzionale sono stati erosi, la distanza è stata annullata da una prossimità generalizzata, nella sfera giuridica si sono ridotte le differenze tra pubblico e privato, tra verità e menzogna, tra lecito e illecito. La stessa distinzione tra società civile e Stato subisce uno sgretolamento in nome della esaltazione dell'immediatezza della società civile, spinta fino al punto di occultare il carattere "istituente" (Magatti 2005) in realtà in essa racchiuso.

domenica 8 febbraio 2015

LA SOCIETA' ORIZZONTALE

LA SOCIETA' ORIZZONTALE
Gherardo Colombo. SULLE REGOLE
La società orizzontale

L'elemento fondante è l'esatto contrario di quello che porta alla sperequazione, alla separazione e all'esclusione. L'umanità non vive, non si emancipa, non progredisce attraverso la selezione, ma prestando attenzione a ogni suo componente. L'origine di questa idea sta nella convinzione che ogni persona è in sé apprezzabile, costituisce un valore, una dignità. Tale modo di intendere è a sua volta conseguenza del riconoscere nell'altro la stessa "natura" che ciascuno vede in se stesso.
(...)
lo si può chiamare solidarietà ( se si dà a questa parola il suo significato di consapevolezza di far parte di una comunità e di disponibilità reciproca a dare e ricevere aiuto al fine del miglior soddisfacimento delle necessità di ciascun membro della società)

LA FILOSOFIA A SCUOLA

LA FILOSOFIA A SCUOLA

Una conferenza proposta dalla libreria IL GABBIANO a Trezzo mi ha dato spunto per andare a leggere i documenti contenuti nel sito LA BUONA SCUOLA, la consultazione on line proposta dal Governo Italiano per discutere e raccogliere idee e proposte per migliorare la nostra scuola.
Tra le cose interessanti lette ho trovato questo contributo del CENTRO DI RICERCA SULL'INDAGINE FILOSOFICA ( www.filosofare.org ). Mi è sembrato un contributo interessantissimo, perchè propone un approccio alla filosofia non intesa come studio di questo o quel filosofo quanto dell'educazione alla abitudine alla filosofia. Propongo questo stralcio dell'intervento che mi sembra ben riassuma il testo (tra l'altro facilmente ritrovabile per la lettura completa nel sito https://labuonascuola.gov.it/area/a/24607/


Accanto agli obiettivi più tradizionali, dunque, sarebbe altamente auspicabile
assumerne uno nuovo: ragionare o fare filosofia insieme [Sumphilosophein, diceva
Aristotele, cioè alla lettera “confilosofare”]. La filosofia dovrebbe tornare a coltivare
l’attitudine alla ricerca condivisa svolta in prima persona, nel nome non di questo o di
quel filosofo della tradizione codificata, magari facendo il verso al suo distillato di
pensiero, ma di se stessi, giovandosi di un diritto-dovere di esprimere la propria
opinione, sostenerla, chiarirla, argomentarla, oppure integrarla, modificarla,
cambiarla, qualora se ne ravveda l’opportunità, o l’esigenza; e, al contempo,
accogliere, aprirsi all’altro da sé, rispettare le opinioni altrui.

domenica 1 febbraio 2015

RISPETTO

da Laura Pennacchi: Filosofia dei beni comuni.

Continuità tra "naturale" e "morale" e concentualizzazione a priori trovano il loro fulcro nel "rispetto" che gli esseri umani reciprocamente si debbono, base soggettiva delle ragioni morali, forma di autocontrollo e disciplina che va al di là della costrizione di sanzioni e incentivi (che generano coattivamente paura di punizioni o speranza di premi), dunque espressione precipua della nostra libertà. Il rispetto, come fonte indipendente di attribuzione di autorità alle azioni e alle scelte, "è il nome della ricettività da parte nostra del puro interesse morale; è l'esperienza soggettiva dell'autonomia, e mostra la nostra capacità di ragione pratica" (Pagnini 2012).
Kant emblematizza l'importanza del rispetto oltre tutti gli altri atteggiamenti reattivi: il risentimento, l'amore, l'indignazione, il biasimo. Possiamo dire che "il razionalismo kantiano si sposa con una teoria delle capacità di tipo aristotelico in quanto le emozioni sono considerate come strutturalmente e costituitivamente legate alla ragion pratica; agendo e deliberando si osserva la legge morale, e insieme si mostra una sensibilità marcata da quell'emozione condivisa che è il rispetto.

ETTY HILLESUND. GIORNATA DELLA MEMORIA. LETTURE






Domenica 1 febbraio.

Ieri sera ho assistito, a Grezzago, alla serata dedicata alla Giornata della Memoria, incentrata sulla lettura di brani del diario di Etty Hillesund, ebrea olandese di origine russa.

Una rappresentazione composta da lettura di brani del diario e di brani di spiegazione/collegamento con brani musicali, proiezione di diapositive e conclusa con una canzone tratta da “la vita è bella”. Tralascio i nomi delle protagoniste e degli organizzatori perchè si possono trovare su FB.

Qui sento l’esigenza di scrivere alcune brevi considerazioni verso le quali la riflessione e il ricordo della serata di ieri sera mi iducono.

La serata a me è apparsa intensissima. Ho colto, nel silenzio costante, una tensione e una attenzione notevole, sciolta in un lunghissimo applauso finale (che sia pienamente riuscita è palese ma non è questo che ora mi interessa).

Penso che sia stato merito del testo, delle attrici, del formato.

Avevo avuto l’occasione e il privilegio di leggere in anticipo le successive edizioni ed elaborazioni del testo preparato per le serate.

Il successivo continuo lavoro di editing l’ha portato al miglior livello per la comprensione e la condivisione da parte del pubblico. Avevo espresso qualche perplessità sulla scelta, temevo fosse una scelta troppo ardita e “diversa” rispetto ai canoni della “Giornata della Memoria”. Mi ricredo. Penso, lo sapevo e da ieri ne sono ancora più convinto, che la lettura professionale (per qualità) di testi anche complessi, editi nella forma di performance multuartistica, consentano una migliore comprensione e una più profonda condivisione emotiva della lettura individuale (la seconda aiuta ad avere una più ampia memoria del letto, ma la prima, grazie alla “Interpretazione” consente di comprendere e cogliere aspetti che solo la drammatizzazione evidenzia). Musica e immagini contribuiscono a confezionare un prodotto culturale che emoziona, stimola, apre la mente e suscita curiosità (credo che le biblioteche della zona vedranno aumentare le richieste di libri di Hillesund nelle prossime settimane)



Queste signore stanno facendo cultura a Trezzo e nella nostra zona, meritoriamente perchè l’impressione è di essere in pieno deserto (salvo qualche piccola oasi) e perchè lo fanno in piena autonomia - libere dai vincoli egemonici di alcune amministrazioni che hanno una visione piuttoso meschina della cultura. (dovrebbero lanciarsi sul crowfounding per sostenere la passione con un aiuto economico - non è sempre tutto a costo zero).



La figura di Hillesund appare poliedrica e ricca, lontanissima nel suo affidarsi a Dio, per quanto alla sua rappresentazione di DIo, dal mio modo di sentire e vedere la vicenda dell’uomo sulla terra (curiosamente anche lei cerca in sé la risposta, lei il suo Dio, io la mia legge morale). Come già ho espresso privatamente, credo che si sia tracciato un solco con questo primo approccio, tante sono le tematiche con le quali la nostra mente è stata sollecitata ieri sera e che meriterebbero, volendo e potendo, un approfondimento per confronto e contrasto.