sabato 21 novembre 2015

EUROPA

Moltissime sono state le forme di partecipazione e di commemorazione conseguenti le tragiche vicende degli attacchi terroristici contro la Francia, contro Parigi e contro la moltitudine eterogenea di persone che viveva, visitava o si divertiva in uno dei cuori dell'Europa.

Trovo che le diverse forme di espressione di dolore e partecipazione, le manifestazioni di vicinanza, la dimostrazione di appartenenza a una comune storia sono tutte molto sincere, efficaci, emozionanti.

Molte volte, dopo averla sentita cantare dagli spettatori che uscivano scortati dallo Stade de France, abbiamo udito la Marsigliese, in questi giorni non solo Inno Nazionale Francese ma esplicita forma di manifestazione di resistenza e unità contro il terrorismo. La abbiamo sentita cantare anche da chi francese non è, con tutti i significati che chiaramente attribuiamo a questo gesto.

Può darsi che mi sia sfuggito, ma ho notato una grande assenza in queste manifestazioni, pur nella esplicita e manifesta comprensione che è l'Europa tutta ed essa stessa sotto attacco. L'assenza di voler far risuonare quell'Inno che dovrebbe unirci, che dovrebbe significare la nostra comprensione che solo come Europei possiamo veramente essere forza resistente contro le minacce, resiliente contro i tentativi di minare la civiltà e i valori che (anche se male interpretati e non seguiti) caratterizzano la nostra "nazione europea" al di la delle differenze ancora esistenti statuali, e propositori di un nuovo modo di relazionarsi tra i popoli.

Per questo propongo ora l'Inno dell'Unione Europea, nell'auspicio che risuoni nelle occasioni in cui gli Europei, senza chiusure ma con l'orgoglio di essere europei, si riuniscono per manifestare vicinanza e sostegno a una parte di loro, oggi Parigi e la Francia, particolarmente e duramente colpiti.



https://youtu.be/v3tUgQWDwNM












giovedì 19 novembre 2015

SIAMO, NON NECESSARIAMENTE (E PER DI PIù ININFLUENTI)

SIAMO, NON NECESSARIAMENTE (E PER DI PIù ININFLUENTI)
Leggendo "Orizzonti e limiti della scienza - decima cattedra dei non credenti" ( promossa dal Cardinale Carlo Maria Martini) ho trovato, nel saggio di George V. Coyne "Riciclati dalle stelle" queste domande che mi piacciono e mi stuzzicano. Il titolo del post è la mia risposta. La mia risposta istintiva. Le domande invece non sono istintive, sono pensate; credo che, però, anche se non espresse, giacciono nel profondo di ciascuno di noi. (Coyne si riferisce alla vita nel senso più ampio, io mi concentro sulla esistenza dell'uomo pensante). Compito dei saggi è far sì che ci accorgiamo di avere queste domande in noi.

"Siamo così ricondotti alle interrogazioni di fondo. Primo: la vita, nel quadro dell'evoluzione dell'universo fisico, doveva necessariamente apparire? O apparve per caso? Tale comparsa può essere spiegata? Secondo: la vita esiste solo sul nostro pianete? Terzo: la vita, a livello dell'intelligenza e dell'autocoscienza, rappresenta un fattore importante per la futura evoluzione dell'Universo? Sono domande che, forse, ci portano fuori dal campo delle scienze della natura. Preferisco, tuttavia, correre questo rischio riassumendole in un'unica questione tendenziosa: esistiamo solo per riciclare l'energia nella forma in cui ci viene fornita dall'universo, oppure siamo esseri speciali, nei quali l'Universo trova la possibilità di passare dalla materia allo spirito?"

domenica 15 novembre 2015

CALABRESI: CI HANNO TOLTO L'ARIA MA ORA RIPRENDIAMOCI LA NOSTRA VITA

Calabresi (la Stampa) 15 novembre 2015

http://www.lastampa.it/2015/11/15/cultura/opinioni/editoriali/ci-hanno-tolto-laria-ma-ora-riprendiamoci-la-nostra-vita-vf3ByI1ZFkWcsjJJ0CTq8L/pagina.html

"Devi, anzi, dobbiamo avere il coraggio di amare i nostri valori, le nostre conquiste e le nostre tradizioni, non relativizzando e sbiadendo ogni cosa per un falso rispetto degli altri; dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, denunciando l'estremismo, il fanatismo e la follia religiosa; dobbiamo avere la capacità e la lucidità di distinguere tra chi è pericoloso e chi è in pericolo e dobbiamo avere la forza di includere e dialogare."

Se non fossero scritte in momenti tanto eccezionali, queste cose potrebbero essere sintetizzate in "dobbiamo comportarci da uomini normali". Ma non è il tempo. Meglio ricordarcelo con il tono dell'eccezionalità.

sabato 14 novembre 2015

CHE IMPEGNO DOVREBBERO PRENDERE, SECONDO ME, LE COMUNITA' ISLAMICHE

CHE IMPEGNO DOVREBBERO PRENDERE, SECONDO ME, LE COMUNITA' ISLAMICHE

Premesso che non confondo 1 miliardo e mezzo di musulmani con i terroristi e che considero importanti e sinceri i comunicati di condanna che leggo sul web redatti dalle diverse organizzazioni islamiche italiane ed europee (e condivido il post “Not in my name” nel quale giovani musulmani dimostrano la loro opposizione e il loro dolore per chi professa la stessa fede e la rende motivo di timore e di lutto nel mondo). Premesso tutto questo mi chiedo se sia, da parte delle varie comunità musulmane, in particolare quelle residenti nei Paesi Europei o comunque considerati Occidentali (con il significato geopolitico che ha questo aggettivo), sufficiente.

Io credo di no.

Chiedo, in forma dialogica (ma la mia risposta è Sì!) se queste comunità non debbano esplicitamente e pubblicamente fare un passo in più.

Con tutti i distinguo del caso, ciò che non si può negare è che questi terroristi sono frutti avvelenati che però nascono da uno stesso giardino. Il giardino da più di un miliardo di frutti normali (buoni, meno buoni, comunque normali- non voglio perdermi in altri distinguo ora inutili) e un certo numero (spero piccolo, ma pericolosissimo) di frutti avvelenati. Ma il giardino è quello.

Ora, ci può essere il lavoro di intelligence, la giusta repressione e prevenzione da parte degli Stati, gli interventi alla radice e gli accordi internazionali che impediscano agli sponsor di fornire soldi, armi e obiettivi. Tutto bene, tutto necessario. Ma io credo che la sconfitta di questo terrorismo, soprattutto “domestico” può avvenire come abbiamo imparato e fatto già in Italia. Deve essere il giardino a seccare quelle radici. Ovvero le comunità islamiche a stringere accordi con gli Stati e impegnarsi a isolare e denunciare chi si perde sulla strada dell'estremismo non solo ideologico bensì anche terroristico. Io credo che possano, per mille motivi evidenti che è inutile spiegare, vedere, sentire, intuire e conoscere ben prima di ogni apparato di intelligence. Ci deve essere anche una alleanza di questo tipo tra le comunità e gli Stati. C'è già? Non lo so, non sono esperto di prevenzione del terrorismo (forse lo si fa in modo “coperto”, ma credo ora sia tempo che lo si faccia esponendosi), ma sicuramente aiuterebbe se oltre alle dichiarazioni di condanna e al “not in my name” (che sono importantissimi) ci fossero anche prese di posizione, impegni solenni e pubblici anche di questo tipo. Almeno io penso questo, potrei ovviamente sbagliarmi.

lunedì 9 novembre 2015

LO STEREOTIPO: SEMPLIFICA LA LETTURA, FAVORISCE AL COMPRENSIONE A SPESE DELL'ACCURATEZZA

LO STEREOTIPO: SEMPLIFICA LA LETTURA, FAVORISCE AL COMPRENSIONE A SPESE DELL'ACCURATEZZA
Trovo su questo libro di Chiara Volpato " PSICOSOCIOLOGIA DEL MASCHILISMO", questa definizione di stereotipo che trovo chiara e precisa. La prof. Volpato si riferisce agli stereotipi di genere, io credo che la sua definizione di stereotipo possa essere, conservando le particolarità  e specificità che leggiamo nelle ultime righe della citazione,  generalizzata.


"Gli stereotipi di genere specificano come donne e uomini agiscono e come dovrebbero agire. L'aspetto descrittivo serve a semplificare la lettura e l'interpretazione dell'universo sociale, favorendone la comprensione a spese dell'accuratezza. L'impiego degli stereotipi permette infatti all'attore sociale di risparmiare risorse cognitive nella classificazione degli altri individui e gruppi, riservandole così ad altri compiti. Dato che gli stereotipi sono appresi durante i primi anni di vita e usati poi continuamente nell'interazione sociale, si trasformano in associazioni automatiche che diventano implicite e influenzano percezioni e comportamenti senza che le persone ne siano consapevoli. Gli stereotipi descrittivi sono usati per prevedere carattere e comportamento di uomini e donne, creando una serie di aspettative che funzionano come scorciatoie cognitive. Come ogni cattiva abitudine gli stereotipi di genere sono difficili da estirpare e tendono a essere usati in modo automatico, soprattutto in condizioni di stress, anche da chi non li condivide a livello conscio. (...) Gli stereotipi di genere sono più prescrittivi di altri stereotipi sociali, ad esempio di quelli razziali o etnici, sia perchè vengono appresi molto presto nel corso dell'infanzia sia perchè si sviluppano sulla base di molteplici esperienze personali, più di quanto non succeda per gli altri  gruppi sociali"