venerdì 14 agosto 2015

A CHE SERVE LA DEMOCRAZIA

Sto leggendo un vecchio numero di LIMES, bellissima rivista di geopolitca, dedicato alla democrazia ed edito nel 2012, ai tempi della speranza della Primavera Araba (come sembra tristemente lontano quel tempo, eppure anche solo il seme della Tunisia, che va aiutata in ogni modo, non chiude la speranza di vedere alla lunga la democrazia impiantata anche al di la del Mediterraneo).
Forme statuali democratiche con tutti i limiti che Manlio Graziano ci enumera nel suo saggio GEOPOLITICA DELLA DEMOCRAZIA, dal quale estraggo qualche passaggio (Manlio Graziano insegna geopolitica delle religioni a Parigi)



La tesi di DARON ACEMOGLU e JAMES ROBINSON è che la democratizzazione è lo slittamento del potere da una Elite privilegiata alla massa dei cittadini, movimento che si innesca quando il rischio di scioperi manifestazioni, tumulti e al limite una rivoluzione rende, per l' Elite dominante, più costoso difendere i propri privilegi che rinunciare. La democrazia sarebbe dunque, in breve, la via meno costosa (economicamente e politicamente) per ridurre la conflittualità sociale. Nela vita reale, però, lo shift of power dalla forma autoritaria alla forma democratica non è il passaggio del potere dall'Elite ai cittadini, ma il modo attraverso il quale l'Elite riesci a conservare il proprio potere (o quantomeno la maggior parte dei propri privilegi) con altri mezzi. Il passaggio da forme politiche autoritarie a forme democratiche non ha mai messo in questione la natura sociale del sistema. Secondo DARON ACEMOGLU e JAMES ROBINSON, la democrazia nascerebbe dal conflitto. Il conflitto però non è tra quelli cittadini, ma tra i diversi settori dell'Elite, la quale non è mai omogenea e tanto meno monolitica, ma composta di interessi diversi e appunto conflittuali.
(…)
Ad ogni latitudine, la difficoltà a contemperare gli interessi a breve termine degli elettori in quelli a lungo termine del paese costituisce la principale aporia cui sono confrontati i rappresentanti del popolo. Molto spesso queste difficoltà è aggirata anteponendo gli interessi e spesso le vie dell'elettorato agli interessi strategici del paese
(nella foto speso si possa leggere il completamento di questo paragrafo e l'inizio del successivo da cui ho tratto la breve citazione sotto riportata)
(...)
Il doppio linguaggio, come si dice eufemisticamente, è un elemento quasi strutturale della prassi politica; per una bizzarra convenzione esso è noto a tutti, e perfino accettato, ma a condizione di non essere mai ammesso dai diretti interessati.

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