domenica 3 luglio 2016

L'UOMO. L'ANIMALE CHE FA DOMANDE, CHE VUOLE CAPIRE

L'UOMO. L'ANIMALE CHE FA DOMANDE, CHE VUOLE CAPIRE

Ho trovato interessante oggi leggere le prime pagine dell'inserto culturale del Corriere della domenica LA LETTURA.
Particolarmente combinando i primi due articoli:
di Donatella Di Cesare – L'Islam spiazza il terzomondismo
di Mauro Bonazzi - Siamo liberi? Yes, Edipo, we can.

Però leggendo prima quello di Bonazzi.

Perchè Bonazzi ci suggerisce un'azione che Di Cesare fa (magari poi perdendosi un po' nel prosieguo dell'articolo).
Bonazzi, lo si legge nel lancio, scrive: “Il vero complesso è quello dell'uomo di fronte a se stesso e alla storia: ciò che ci fa grandi NON SONO LE RISPOSTE CHE TROVIAMO MA LE DOMANDE CHE CI PONIAMO.
Ed è appunto una domanda (non in senso tecnico con il “?” alla fine, ma intendendo come ambito di indagine e questione problematica sollevata) importante quella che fa Di Cesare.

Prima di passare a Di Cesare volevo però copiare l'ultimo paragrafo del brano di Bonazzi, temine di un ragionamento sul senso della libertà dell'uomo in un mondo che appare governato dal caso

“Ma proprio dove maggiore sembra la miseria, lì è la nostra grandezza. E' vero; ci crediamo forti e non lo siamo, pensiamo di vedere e non capiamo nulla. Ma non per questo ci arrendiamo. Siamo sempre in cerca. E in questa continua ricerca di un significato, nel coraggio con cui affrontiamo le domande più scomode, costi quel che costi, emerge qualcosa che è nostro e solo nostro, che ci distingue e ci unici (mia nota. Per quanto ne sappiamo) nell'universo immenso che ci circonda. L'uomo, l'animale che fa domande, che vuole capire”


Da questa affermazione invito a spostarsi sul brano scritto da Di Cesare, della quale uso il lancio come sunto abbastanza preciso.

“La religione musulmana sembra oggi l'unico elemento capace di mobilitare le masse, un ruolo che fino a pochi decenni fa spettava al marxismo rivoluzionario e anticoloniale. Il quale, a sua volta, ha creduto utile allearsi con l'oltranzismo in nome dell'antimperialismo. Ma l'obiettivo del jihad è tutto tranne che progressista e punta a soppiantare la politica con la fede. Niente equivoci: l'internazionalismo della “guerra santa” non è quello democratico delle brigate antifasciste nella Spagna del 36”.

Certo, di questo articolo vale il fastidio provocato in chi è di sinistra nel rispondere al quesito di come e quanto si è colto subito e si è proclamato con la giusta forza di come il combinato tra tradizione e fondamentalismo islamico fosse assolutamente agli antipodi di una visione laica e progressista della società degli uomini. (il costi quel che costi dell'articolo di prima). Poi purtroppo Di Cesare deve indirizzare le risposte verso tesi precostituite tipiche del conformismo politicamente corretto della linea editoriale del Corriere e spreca l'occasione ( con l'ipocrita abilità di chi sembra voler difendere chi si vuole denigrare), anche facendo a pugni con la storia (i Talebani furono, mi risulta, gli eroici combattenti alleati dell'Occidente contro l'Orso Sovietico, e la rivoluzione Iraniana forse non sarebbe arrivata se il nostro Occidente non avesse eliminato Mossadeq per mettere sul trono quella triste figura di Palhavi, mentre sulla vicenda di Gaza, occorre non fare confusione tra sostegno alla popolazione inutilmente sottoposta alle punizioni collettive comminate da Israele con i fanatici dittatori di Hamas)

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