sabato 11 gennaio 2014

LIBRI DI NATALE. RONALD HARWOOD: LA TORRE D'AVORIO



Questo non è un libro di Natale, ma con il Natale ha qualcosa a che fare. Un bel regalo di un amico alla sua donna (i biglietti per una rappresentazione teatrale) ci ha portati, per amicizia, a partecipare all’uscita. Poichè non conoscevo l’autore ( Ronald Harwood), la piece ( La torre d’avorio, in inglese “Taking sides”) e il fatto storico che ha dato lo spunto per la scrittura dell’opera, ho cercato di porre rimedio prenotando, nel nostro ottimo Sistema Bilbiotecario (dal quale fortunatamente l’attuale assessore non è riuscito a farci uscire), il libretto con il testo del dramma.

Tanto la trama è semplice, tanto le implicazioni storiche e universali, ideali e terrene, sono complesse, urticanti, forti, scomode.

La trama racconta in tre quadri temporali ( e due atti) le indagini dell’ufficio americano che doveva preparare l’accusa nei confronti del grande direttore d’orchesta Wilhelm Furtwaengler nei preliminari per decidere se portarlo alla sbarra al processo di Norimberga dopo la disfatta della Germania nazista-

I personaggi sono pochi, piuttosto caratterizzati e in un certo senso esprimenti ciascuno un archetipo per rappresentare diversi universali umani. I principali sono due, il maggiore americano, fieramente a-culturato, pura energia ma scosso dagli incubi delle esperienze e delle brutalità viste, e il direttore tedesco, non nazista per estetica, sostenitore di aver potuto rimanere estraneo al regime in virtù dell’arte, conosciuto per aver aiutato un certo numero di ebrei ad espatriare.

La quarta di copertina ci informa che Harwood mette in scena un rebus morale delicatissimo, in fondo al quale sta uno dei problemi più discussi i irrisolti della storia: l’autonomia dell’arte di fronte alla politica (il titolo originale significa “schierarsi, prendere posizione”)… Con abilità drammaturgica la verità viene presentata divisa e sono gli spettatori e i lettori a doversi schierare, a dover prendere posizione.

Ed è vero (l’abilità dello scrittore è anche nel modo di rappresentare i personaggi e indurre i lettori (anche gli spettatori?) a simpatizzare in modo difforme, nel corso del dramma, per i diversi personaggi). E’ un quesito morale cui è difficile dare una risposta, lo è tanto più quanto sembrerebbe forse a primo avviso facile. Perché se il confronto con il male assoluto induce a un certo tipo di risposta, poi ci vengono in mente le grandi opere pittoriche, architettoniche, letterari, musicali. E come l’arte non sia stata solo “indifferente” alla politica, ma anzi si sia fatta cortigianeria.

Il libro è breve, si legge in una sera. A me sembra abbastanza riuscito, coinvolge e se consideriamo che lo si pensa e ci si riflette per lungo tempo, trovando sempre nuovi percorsi di riflessione, allora non si può dire altro che l’autore ha raggiunto il suo scopo.

Forse addirittura induce a diversi percorsi di riflessione e di discussione più di quanto ne immaginasse Harwood stesso. Ma non conosco l’autore e non saprei dire.

Personalmente vado un po’ in confusione ripensando al libro perché si affastellano nella mia mente affaticata tante suggestioni e tante idee stimolate dal libro, sia contestualizzando il fatto storico, sia nella sua accezione universalistica.

Solo alcuni esempi: il rapporto tra il vitalismo americano senza tabù e senza riverenza un po’ manicheo e il (supposto )vecchiume europeo che si arrovella nei distinguo (il maggiore urla al suo subalterno ebreo tedesco che giustifica il direttore: “ Sei un liberale di merda. Non sai distinguere quello che è giusto da quello che è sbagliato”), l’ansia di punire i carnefici razzisti che esprime il maggiore in contrasto con il fatto che quello stesso esercito aveva reparti separati per soldati bianchi e soldati neri, l’orrore per l’Olocausto accompagnato alla cinica decisione di provare l’atomica sull’esausto Giappone per mandare un messaggio all’URSS. costruendo un’epopea fondativa dello spirito nazionale ci dice che veramente la storia la scrivono i vincitori. E poi le possibilità di scelta reale che ciascun uomo ha. Il rapporto dell’arte non solo con la politica ma anche con il potere vero, quello economico, e non solo in tempi tragici dove poteva essere richiesto un coraggio non proprietà comune, ma in tempi di pace e di abbondanza, quando veramente le convenienze personali determinano gli atteggiamenti (più si è liberi da minacce di oppressione più artisti e intellettuali sono prigionieri delle rendite che la moderna cortigianeria mascherata da libertà di pensiero assicura).

Sono curioso di vedere come Zingaretti (sì, Montalbano) che è un attore a cui piacciono personaggi e tematiche di peso, avrà reso questo dramma, che intonazione avrà voluto dare. Intanto grazie al suggerimento dei miei amici ho letto questo libro, ed è già una buona partenza



Ancora, lo svuotamento di un continente con la tratta degli schiavi o la distruzione di un popolo indigeno non solo nell’indifferenza degli artisti e degli uomini di cultura, ma addirittura

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