Questo é il secondo libro di natale che ho finito.
È il regalo, meditato, di carissimi amici. Di amici che sono genitori ad amici che sono genitori.
È un bel libro? Se lo misuriamo dall'urgenza di leggere la pagina successiva fino all'ultima, direi di si. È sicuramente un bel libro anche se la MASTROCOLA fa di tutto per rovinarlo.
Il protagonista: é un egoista, genio e pieno di soldi - guadagnati dal padre - che fa pagare ai propri cari i soprusi - inflitti per troppo amore e per la fatica del vivere quotidiano- subiti in gioventù quando invece di consentirgli di costruire un camion di legno lo hanno spinto a cercare di attrezzarsi per affrontare un mondo competitivo ( volente o nolente)
Ma chiaramente la lettura può essere speculare contraria. MASTROCOLA non è stupida e sa pungere noi genitori con domande irritanti e scomode, che mettono in discussione il nostro modo di esserlo, la nostra accettazione supina del fatto che occorra competere nel mondo e che i nostri figli lo debbano fare. Del resto é così palese che tutti, volendo, incontreranno Duchi con greggi (non voglio togliere gli effetti sorpresa del libro, devo tagliare) che gli risolveranno i problemi pratici.
Il pregio di MASTROCOLA nel fare domande scomode va di pari passo con la sua prosa alla Terzani ( é molto che non la leggo, ci trovo anche echi della Fallaci) che propina risposte date con saputa supponenza, come se lei avesse capito tutto della vita e ci distillasse saggezza a noi genitori perennemente erranti.
Forse é un trucco per farci provare simpatia per le vittime di questo libro e antipatia per il protagonista.
Purtroppo MASTROCOLA non può fare a meno di infarcire la sua lezione con qualunquistiche osservazioni politiche, anche queste profuse con snobistica supponenza, o peggio azzardate teorie economiche che forse ha appreso a Chicago, che anche a un incolto come me appaiono campate per aria e tese più che altro ad accusare di velleitaria inconcludenza chi si permette di porre dei dubbi sulla validità del sistema capitalistico.
É quindi un libro che vale tantissimo per le domande che pone, che obbliga a porsi, per il confronto che stimola verso gli archetipi proposti ( e dio sa quanto dobbiamo interrogarci noi genitori) piuttosto che per le banalità che tra le righe propone come risposte. C'è un mondo, una vita, una fatica del vivere, un errate continuo, una libertà di scegliere da conquistare spizzico a spizzico anche seguendo sentieri obbligati e subendo scelte quasi imposte al di fuori del panorama filosofico di MASTROCOLA, e vivere questo ogni giorno, e sentirlo sulla pelle e sul cuore non stimola certo simpatia verso l'autrice. Non si risolve il problema della libertà personale con i calabroni. Ma proprio perché comunque "stimola" (la riflessione, le domande scomode, l'autoanalisi, una incazzatura...) è un libro ma io avviso da leggere.
se anche vi vedo tutti in piedi ad applaudire, io continuo a pensare che sia sbagliato _EUROPEO e ITALIANO di MINORANZA_ DOVERISTA GENTILE
domenica 29 dicembre 2013
LIBRI DI NATALE: L'IMPECCABILE di HEIGO HIGASHINO
Questo è il primo che ho finito
regalato da amici come dolce punizione per averli stressati con il Giappone ( racconti meravigliati, aneddoti interessanti solo per noi due, profusione di foto a non finire e per ultime le imperdibili targhe giapponesi).
l'ho letto volentieri- è un giallo di 329 pagine edito da Giunti.
la trama è interessanti più che avvincente, e il fatto che si intuisca prima della fine l'esito (in realtà è la ricerca delle prove più che l'individuazione del colpevole ad essere il cuore del libro) non toglie il piacere di accompagnare il racconto dell'indagine.
i personaggi sono abbastanza caratterizzati, a mio avviso, meno stereotipati di quanto sembrerebbe all'inizio.
ci sono alcune particolarità giapponesi che inteneriscono, nel libro sono cose comuni ma a noi occidentali sembrano annotazioni di costume (abbassare la testa per chiedere scusa, togliersi le scarpe entrando in casa - i poliziotti che si tolgono le scarpe entrando in casa per interrogare un sospetto - l'arredamento descritto di una casa giapponese - tatami e tavolo basso centrale - la persona che pentita di una bugia arretra - la immagino seduta a gambe incrociate al tavolo basso - inchinandosi ripetutamente e pronta a presentare "scuse formali").
bel libro, poichè sembra un esemplare di una serie val la pena di seguire l'autore, e bella scelta da parte degli amici.
last but not least nelle motivazioni di gradimento: due dei protagonisti giocano a badminton!
giovedì 26 dicembre 2013
Perché l'Italia non riuscì a cogliere la straordinaria opportunità di utilizzare l'euro
Angelo Bolaffi. Cuore tedesco, il modello
Germania, l'Italia e la crisi europea
Perché l'Italia non riuscì a cogliere la straordinaria opportunità di utilizzare l'euro come un vincolo esterno capace di imporre quella modernizzazione del paese che altrimenti le classi dirigenti da sole non sarebbero mai state non dico di realizzare ma neppure di pensare?
Quella dell'euro sarebbe potuta essere dopo il Risorgimento e la Resistenza la terza grande tappa dell'Italia verso la modernità democratica ed europea. Per poter sperare di vincere la battaglia dell'euro l'Italia avrebbe avuto bisogno di una sorta di governo di salute pubblica, convinto della necessità storica e della portata strategica di un simile impegno e in grado di raccogliere intorno a sé il consenso della nazione. Invece gli elettori italiani hanno irresponsabilmente creduto di poter aggirare una tale sfida lasciandosi convincere dalla narrazione tanto seducente quanto ingannevole di Berlusconi, un personaggio politico il cui profilo ricorda non certo quello di Mussolini, a suo modo caratterizzato da una tragica e criminale grandezza, quanto piuttosto quello di un "pifferaio magico".
O, peggio ancora, dell'omino di burro che nel Pinocchio di Collodi fa credere a degli ingenui bambini che sia possibile trasformare il mondo in un paese dei balocchi.
...
"L'isolamento crescente in cui si è ritrovata l'Italia all'interno dell'Unione Europea é conseguente anche di una noncuranza autolesionistica per i meccanismi e le dinamiche del contesto europeo, di cui sono stati colpevolmente trascurati i vincoli, ma anche le opportunità (...) l'Unione é stata di volta in volta, a seconda delle opportunità del momento, ora rappresentata come vincolo esterno inderogabile, ora additata a causa dei mali nazionali, ora, anche, invocata come unica fonte di salvezza, col risultato di confondere responsabilità nazionali ed europee" (annuario della politica estera dell'Italia 2012 a cura di Istituto Affari Internazionali e Istituto per gli studi di politica internazionale)
Perché l'Italia non riuscì a cogliere la straordinaria opportunità di utilizzare l'euro come un vincolo esterno capace di imporre quella modernizzazione del paese che altrimenti le classi dirigenti da sole non sarebbero mai state non dico di realizzare ma neppure di pensare?
Quella dell'euro sarebbe potuta essere dopo il Risorgimento e la Resistenza la terza grande tappa dell'Italia verso la modernità democratica ed europea. Per poter sperare di vincere la battaglia dell'euro l'Italia avrebbe avuto bisogno di una sorta di governo di salute pubblica, convinto della necessità storica e della portata strategica di un simile impegno e in grado di raccogliere intorno a sé il consenso della nazione. Invece gli elettori italiani hanno irresponsabilmente creduto di poter aggirare una tale sfida lasciandosi convincere dalla narrazione tanto seducente quanto ingannevole di Berlusconi, un personaggio politico il cui profilo ricorda non certo quello di Mussolini, a suo modo caratterizzato da una tragica e criminale grandezza, quanto piuttosto quello di un "pifferaio magico".
O, peggio ancora, dell'omino di burro che nel Pinocchio di Collodi fa credere a degli ingenui bambini che sia possibile trasformare il mondo in un paese dei balocchi.
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"L'isolamento crescente in cui si è ritrovata l'Italia all'interno dell'Unione Europea é conseguente anche di una noncuranza autolesionistica per i meccanismi e le dinamiche del contesto europeo, di cui sono stati colpevolmente trascurati i vincoli, ma anche le opportunità (...) l'Unione é stata di volta in volta, a seconda delle opportunità del momento, ora rappresentata come vincolo esterno inderogabile, ora additata a causa dei mali nazionali, ora, anche, invocata come unica fonte di salvezza, col risultato di confondere responsabilità nazionali ed europee" (annuario della politica estera dell'Italia 2012 a cura di Istituto Affari Internazionali e Istituto per gli studi di politica internazionale)
MANDELA: NON POTEVO FARE ALTRIMENTI
NELSON MANDELA: LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTà
pag. 99
"Non so precisare il momento in cui decisi di darmi alla politica, in cui seppi che avrei trascorso la vita al servizio della lotta di liberazione. Essere africani in Sudafrica significa essere politicizzati dal momento della nascita, che lo si voglia ammettere o no. Un bambino africano nasce in un ospedale per soli africani, viene portato a casa in un autobus per soli africani, vive in un'area per soli africani, e frequenta scuola per soli africani, se mai succede che frequenti una scuola.
Quando è grande può scegliere un lavoro per soli africani, affittare una casa in una township per soli africani, viaggiare su treni per soli africani, ed essere fermato in qualsiasi momento del giorno e della notte con l'obbligo di esibire un lasciapassare in assenza del quale sarà arrestato e gettato in prigione. La sua vita è circoscritta da leggi e regolamenti razzisti che minano la sua crescita, intaccano il suo potenziale, e gli tolgono la gioia di vivere. Quella era la realtà, e si poteva affrontarla in mille modi.
Non ho avuto una folgorazione, una rivelazione improvvisa, un momento della verità: è stato il lento accumularsi di una miriade di offese, di una miriade di indegnità, di una miriade di momenti dimenticati a far scaturire in me la rabbia, la ribellione, il desiderio di combattere il sistema che imprigionava il mio popolo. Non c'è stato un momento particolare in cui abbia detto: da qui in avanti mi consacrerò alla liberazione del mio popolo; invece, mi sono semplicemente ritrovato a farlo, e non potevo fare altrimenti."
Sarebbe bene che Sergio Romano leggesse queste righe, eviterebbe affermazioni azzardate
pag. 99
"Non so precisare il momento in cui decisi di darmi alla politica, in cui seppi che avrei trascorso la vita al servizio della lotta di liberazione. Essere africani in Sudafrica significa essere politicizzati dal momento della nascita, che lo si voglia ammettere o no. Un bambino africano nasce in un ospedale per soli africani, viene portato a casa in un autobus per soli africani, vive in un'area per soli africani, e frequenta scuola per soli africani, se mai succede che frequenti una scuola.
Quando è grande può scegliere un lavoro per soli africani, affittare una casa in una township per soli africani, viaggiare su treni per soli africani, ed essere fermato in qualsiasi momento del giorno e della notte con l'obbligo di esibire un lasciapassare in assenza del quale sarà arrestato e gettato in prigione. La sua vita è circoscritta da leggi e regolamenti razzisti che minano la sua crescita, intaccano il suo potenziale, e gli tolgono la gioia di vivere. Quella era la realtà, e si poteva affrontarla in mille modi.
Non ho avuto una folgorazione, una rivelazione improvvisa, un momento della verità: è stato il lento accumularsi di una miriade di offese, di una miriade di indegnità, di una miriade di momenti dimenticati a far scaturire in me la rabbia, la ribellione, il desiderio di combattere il sistema che imprigionava il mio popolo. Non c'è stato un momento particolare in cui abbia detto: da qui in avanti mi consacrerò alla liberazione del mio popolo; invece, mi sono semplicemente ritrovato a farlo, e non potevo fare altrimenti."
Sarebbe bene che Sergio Romano leggesse queste righe, eviterebbe affermazioni azzardate
GERMANIA: UN CONTRIBUTO AL DIBATTITO SULLA GERMANIA
ANGELO BOLAFFI. CUORE TEDESCO. IL MODELLO GERMANIA, L'ITALIA E LA CRISI EUROPEA
pag. 81
"La Germania è emersa come il paese non solo egemone ma anche indispensabile per l'Europa". E questo grazie a un'epocale trasformazione del funzionamento del Welfare tedesco e del mercato del lavoro realizzata nel 2003 con la cosiddetta Agenda 2010 dal governo rosso-verde di Gerhard Schroeder e Joschka Fischer. Una riforma che ha fatto della Germania ancora "traumatizzata" dai costi della riunificazione e indicata dall'Economist come il "malato d'Europa" , la potenza leader del continente. Unica, tra le grandi nazioni d'Europa, capace di attrezzarsi per poter affrontare le sfide del "nuovo mondo": quello globale. Solo così fu anche possibile mettere in sicurezza il Sozialstaat, che con l'equilibrato funzionamento del sistema democratico è il fondamento della stabilità e della potenza della Germania post- bellica, e ridare piena funzionalità a quel modello di "economia sociale di mercato" non a caso indicato qualche anno fa dopo dal Trattato di Lisbona come modello di riferimento dell'Unione Europea.
Al di qual delle Alpi, invece, l'Italia del primo governo Berlusconi (quello del 1994 era stata solo una breve parentesi) si accontentò di consumare allegramente la rendita finanziaria che l'Euro (contro cui a parole lui e la Lega Nord non perdevano occasione di polemizzare) garantiva all'economia italiana mediante la possibilità di rifornirsi di capitale sul mercato secondario a tassi di interesse praticamente nulli e comunque "irrealistici", come poi avremmo scoperto dieci anni dopo, rispetto al livello di indebitamento dello Stato italiano e dell'obsolescenza del "sistema paese"
Gli effetti hanno delle cause che non sono riferibili a ieri l'altro.
pag. 81
"La Germania è emersa come il paese non solo egemone ma anche indispensabile per l'Europa". E questo grazie a un'epocale trasformazione del funzionamento del Welfare tedesco e del mercato del lavoro realizzata nel 2003 con la cosiddetta Agenda 2010 dal governo rosso-verde di Gerhard Schroeder e Joschka Fischer. Una riforma che ha fatto della Germania ancora "traumatizzata" dai costi della riunificazione e indicata dall'Economist come il "malato d'Europa" , la potenza leader del continente. Unica, tra le grandi nazioni d'Europa, capace di attrezzarsi per poter affrontare le sfide del "nuovo mondo": quello globale. Solo così fu anche possibile mettere in sicurezza il Sozialstaat, che con l'equilibrato funzionamento del sistema democratico è il fondamento della stabilità e della potenza della Germania post- bellica, e ridare piena funzionalità a quel modello di "economia sociale di mercato" non a caso indicato qualche anno fa dopo dal Trattato di Lisbona come modello di riferimento dell'Unione Europea.
Al di qual delle Alpi, invece, l'Italia del primo governo Berlusconi (quello del 1994 era stata solo una breve parentesi) si accontentò di consumare allegramente la rendita finanziaria che l'Euro (contro cui a parole lui e la Lega Nord non perdevano occasione di polemizzare) garantiva all'economia italiana mediante la possibilità di rifornirsi di capitale sul mercato secondario a tassi di interesse praticamente nulli e comunque "irrealistici", come poi avremmo scoperto dieci anni dopo, rispetto al livello di indebitamento dello Stato italiano e dell'obsolescenza del "sistema paese"
Gli effetti hanno delle cause che non sono riferibili a ieri l'altro.
martedì 24 dicembre 2013
SUDAFRICA- ENTRAMBI GLI AVVERSARI POTEVANO AVERE LE LORO RAGIONI? UNA RISPOSTA
Il 17 dicembre Sergio Romano, editorialista del Corriere
della Sera e titolare della rubrica Lettere al Corriere, intitolava la risposta
a un lettore, incentrata sul Sudafrica ( e in ripresa di un precedente commento
di Romano nel quale cercava di mettere sullo stesso piano Mandela e De Klerk): “
LA NASCITA DEL SUDAFRICA SCONTRO TRA DUE PATRIOTTISMI”.
Romano conclude la sua risposta: “ Queste vicende e le due
grandi guerre europee, a cui i sudafricani hanno partecipato con i loro corpi
combattenti, hanno creato un patriottismo bianco che non è meno nobile,
storicamente, del patriottismo nero di cui de Klerk riconobbe l’esistenza e la
legittimità alla fine degli anni Ottanta. Perché non riconoscere che ci sono
stati conflitti in cui entrambi gli avversari potevano avere le loro ragioni?
La pagina che riprendo dal libro di Mandela “Lungo cammino
verso la libertà” risponde, senza tante parole e tanto tergiversare alla tesi
di Romano (ricordo che il Corriere è recidivo, già alla fine degli anni 70 ci
fu un reportage di Luca Goldoni che considerando il Sudafrica barriera
difensiva dell’occidente contro l’URSS, concludeva chiedendosi cosa importasse
che qualche tribù di selvaggi non avessero diritti politici)
MANDELA: LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTA’ . Pag.56
Un giorno, durante le vacanze, Paul e io andammo a Umtata,
la capitale del Transkei, che allora era un piccolo centro fatto di poche
strade lastricate e di alcuni edifici governativi. Stazionavamo fuori dall’ufficio
postale quando il magistrato locale, un bianco sulla sessantina, si avvicinò a
Paul chiedendogli di entrare per comprare alcuni francobolli. Era di normale
amministrazione che un bianco interpellasse un nero per la strada e gli facesse
svolgere qualche incombenza. Il magistrato tentò di dare a Paul delle monete,
ma Paul si rifiutò di prenderle. Il magistrato si offese. “Lo sai chi sono io?”
disse col viso rosso per la rabbia. “Non è necessario che io sappia chi è lei, “
disse Mahabane. “Io so che cosa è.” Il magistrato lo invitò a dire più
chiaramente cosa intendeva. “Intendo dire che lei è un mascalzone!” ribattè
Paul anch’egli arrabbiatissimo. Il magistrato non riuscì più a contenersi e
sbottò: “Te la farò pagare!”, e detto questo si allontanò.
(…)
So che se lo avesse chiesto a me anziché a Paul avrei
semplicemente svolto la commissione dimenticandomene subito dopo. Ma ammiravo
Paul per ciò che avevo fatto, anche se io non avrei fatto lo stesso, non
ancora. E stavo cominciando ad accorgermi che un nero non era obbligato ad
accettare le mille piccole umiliazioni che gli venivano inflitte ogni giorno.
NELSON MANDELA: RIUSCIVO A COMPENSARE LA MANCANZA DI TALENTO NATURALE CON LA DILIGENZA E LA DISCIPLINA
NELSON MANDELA: LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTà
pag. 53
" La mia formazione a Fort Hare si compiva in egual misura sia dentro sia fuori la classe. Nello sport ero molto più attivo che a Healdtown, e questo per due motivi: da un lato ero cresciuto ed ero diventato più alto e più forte, ma soprattutto essendo Fort Hare tanto più piccolo di Healdtown, avevo meno concorrenza. Ero in grado di competere sia nel calcio sia nella corsa campestre. Correre mi aveva insegnato molte cose preziose. Nelle gare di corsa campestre l'allenamento conta più delle capacità intrinseche di una persona e io riuscivo a compensare la mancanza di talento naturale con la diligenza e la disciplina. Applicavo questo principio in ogni cosa che facevo. Anche da studente, ho visto molti giovani che avevano grandi capacità naturali ma a cui mancavano l'autodisciplina e la pazienza necessarie per costruire su quelle fondamenta"
pag. 53
" La mia formazione a Fort Hare si compiva in egual misura sia dentro sia fuori la classe. Nello sport ero molto più attivo che a Healdtown, e questo per due motivi: da un lato ero cresciuto ed ero diventato più alto e più forte, ma soprattutto essendo Fort Hare tanto più piccolo di Healdtown, avevo meno concorrenza. Ero in grado di competere sia nel calcio sia nella corsa campestre. Correre mi aveva insegnato molte cose preziose. Nelle gare di corsa campestre l'allenamento conta più delle capacità intrinseche di una persona e io riuscivo a compensare la mancanza di talento naturale con la diligenza e la disciplina. Applicavo questo principio in ogni cosa che facevo. Anche da studente, ho visto molti giovani che avevano grandi capacità naturali ma a cui mancavano l'autodisciplina e la pazienza necessarie per costruire su quelle fondamenta"
lunedì 23 dicembre 2013
LA SAGGEZZA NON E' UN DONO DIVINO, E' UNA CONQUISTA, DALLA QUALE SI PUò RECEDERE COME STIAMO FACENDO IN EUROPA
NELSON MANDELA: LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTà
pag. 45
"Healtown attirava studenti da tutto il paese, ma anche dai protettorati del Basutoland, dello Swaziland e del Bechuanaland. Pur essendo un istituto xhosa, ospitava anche studenti di altre tribù. Nel tempo libero e nei fine settimana gli studenti di una stessa tribù stavano insieme. Anche i membri delle varie tribù xhosa si frequentavano tra loro, gli amampondo con gli amampondo e così via. Neanch'io mi discostavo da questo schema, pure fu proprio a Healdtown che ebbi il mio primo amico di lingua sotho: Zachariah Molete. Ricordo che mi sentivo molto audace per il fatto di avere un amico non xhosa.
Anche il nostro insegnante di zoologia Frank Lebentlele, popolarissimo tra gli studenti, era di lingua sotho (...)
Ma ciò che più ci stupiva era il suo matrimonio con una ragazza xhosa di Umtata. I matrimoni intertribali erano allora estremamente rari. Fino ad allora non conoscevo nessuno che si fosse sposato al di fuori della tribù. Ci avevano insegnato a considerare tabù questo genere di unioni. Ma l'incontro con Frank e sua moglie incominciò a minare le mie ristrette convinzioni in materia ed ad allentare la presa del tribalismo che ancora mi teneva imprigionato.
Da allora comincia ad avvertire un senso di identità come africano, non più soltanto come thembu, e neanche come xhosa.
pag. 45
"Healtown attirava studenti da tutto il paese, ma anche dai protettorati del Basutoland, dello Swaziland e del Bechuanaland. Pur essendo un istituto xhosa, ospitava anche studenti di altre tribù. Nel tempo libero e nei fine settimana gli studenti di una stessa tribù stavano insieme. Anche i membri delle varie tribù xhosa si frequentavano tra loro, gli amampondo con gli amampondo e così via. Neanch'io mi discostavo da questo schema, pure fu proprio a Healdtown che ebbi il mio primo amico di lingua sotho: Zachariah Molete. Ricordo che mi sentivo molto audace per il fatto di avere un amico non xhosa.
Anche il nostro insegnante di zoologia Frank Lebentlele, popolarissimo tra gli studenti, era di lingua sotho (...)
Ma ciò che più ci stupiva era il suo matrimonio con una ragazza xhosa di Umtata. I matrimoni intertribali erano allora estremamente rari. Fino ad allora non conoscevo nessuno che si fosse sposato al di fuori della tribù. Ci avevano insegnato a considerare tabù questo genere di unioni. Ma l'incontro con Frank e sua moglie incominciò a minare le mie ristrette convinzioni in materia ed ad allentare la presa del tribalismo che ancora mi teneva imprigionato.
Da allora comincia ad avvertire un senso di identità come africano, non più soltanto come thembu, e neanche come xhosa.
domenica 22 dicembre 2013
Caro Belardelli, nessuno vuol togliere il Natale ai cristiani, stiano piuttosto attenti loro a non farselo scippare. Mi sembra che non ci stiano riuscendo molto.
La carta costa, verrebbe da dire, con Alessandro Milan,
leggendo l’articolo di Giovanni Belardelli ( sul Corriere di oggi domenica 22 dicembre) “il
pensiero politicamente corretto che banalizza le festività – Non togliete il
Natale ai cristiani”.
L’impressione è che quando non si ha molto da dire, o ci si
sente in difficoltà nel sostenere i propri valori, il nemico pubblico numero
uno, facile da spendere e da sbattere in prima pagina sia il “politicamente
corretto” ( e sottotraccia il suo padre putativo, il pensiero laico, inteso
anche come sinonimo di relativista).
E’ diventato così di uso comune accusare il “politicamente
corretto”, nelle varie accezioni, da non accorgersi di aver creato un nuovo
pensiero “politicamente corretto”: quello di dare addosso a chi cerca di non
accontentarsi del pensiero comune, degli archetipi artificiosi, delle
schematizzazioni da bar, delle prevaricazioni, da parte delle maggioranze
silenziose, vendute come tradizioni, abitudini, comune sentire.
Quindi un conformismo che opprime il pensiero laico
chiamandolo conformismo (Orwell avrebbe da dire a proposito).
Caro Belardelli, nessuno vuol togliere il Natale ai
cristiani, stiano piuttosto attenti loro a non farselo scippare. Mi sembra che
non ci stiano riuscendo molto.
Da Ateo dico: che bello se il Natale fosse veramente una
festa Cristiana, religiosa. Lo seguirei con commossa partecipazione, attento a
cogliere l’afflato spirituale che ogni grande religione sa emanare. Ma non mi
sembra così. E’ facile accusare i laici, molto spendibile.
Poi si trovano facili esempi per accusare chi vuole separare
la società civile dallo spirito religioso. L’esempio di scuole che non fanno il presepe o
che, come l’esempio citato, non fanno entrare il prete per la benedizione
natalizia, ritorna ogni anno. La madre degli stupidi è sempre incinta.
Soprattutto quando le motivazioni sono “non vogliamo offendere i bambini delle
altre religioni (sembra che la motivazione sia stata suggerita dall’ufficio
propaganda della Lega o di Forza Nuova per stimolare sentimenti anti immigrati)”,
al ché gli esponenti delle altre religioni affermano, ovviamente, di non
sentirsi offesi. Se la motivazione fosse stata: la scuola italiana è laica, le
benedizioni e le espressioni religiose si fanno nelle sedi opportune… ( ma che,
viviamo su marte o in Italia?)
Quando poi si ripercorre la nostra storia, è opportuno,
leggere tutta la vicenda del confronto, della contaminazione e del contrasto
tra i valori di eguaglianza e democrazia,
di cui andiamo fieri, tra la società
laica e le istituzioni cristiane. Non mi ricordo sia così lineare e
conseguente.
Il Natale politicamente corretto rischia sì di diventare uno
spazio vuoto, ma la responsabilità è ben divisa tra i molti diversi
politicamente corretti, tra chi confonde tra laicità e laicismo, e tra chi
ambisce a un pensiero unico da imporre anche a chi religioso non è.
Chissà se Belardelli ha mai scritto qualcosa sul fatto che
le pubblicità e il commercio (volevo scrivere il capitalismo ma mi sembrava
politicamente corretto) ha iniziato a vendere il Natale, o dovrei scrivere il
natale, poco dopo Halloween?
Io credo che se il fiume inonda la pianura la colpa sia di
chi non ha costruito argini forti, non di ci naviga. Anche se mi rendo conto
che è facile individuare in altri la colpa.
J.M.Bergoglio è una speranza anche in questo, non solo per i
cristiani, anche per i laici e gli atei.
sabato 21 dicembre 2013
NELSON MANDELA: "In seguito capii che quel giorno l’ignorante ero io, non il capo"
NELSON MANDELA. LUNGO CAMMINO VERSO LA LIBERTA’
Pag. 37
Oratore principale della giornata era il capo Meligqili,
figlio di Dalindyebo, e dopo averlo ascoltato i miei fulgidi sogni divennero
immediatamente più cupi. Meligqili cominciò nel modo convenzionale, dicendo che
era bello trovarsi riuniti per continuare una tradizione che esisteva da tempo
immemorabile. Poi si voltò verso di noi, e il suo tono cambiò bruscamente: “Qui,
“ disse, “siedono i nostri figli: giovani, sani, belli, il fiore della tribù
xhosa, l’orgoglio della nostra nazione. Da poco li abbiamo circoncisi, con un
rito che promette di introdurli nel mondo degli uomini; io sono qi a dirvi che
questa è una promessa vuota, vana, una promessa che non potrà mai essere
mantenuta. Perché noi xhosa, e tutti i sudafricani neri, siamo un popolo
conquistato. Noi siamo schiavi nel nostro paese, siamo inquilini sul nostro
suolo. Non abbiamo la forza, non abbiamo il potere, non abbiamo il controllo
del nostro destino nella terra sulla quale siamo nati. Questi figli andranno
nelle città, a vivere nelle baracche e a bere alcool di qualità scadente, perché
noi non possiamo offrire loro una terra sulla quale vivere e prosperare.
Sputeranno i polmoni nelle viscere delle miniere dei bianchi, si distruggeranno
la salute, rinunceranno a vedere il sole per garantire ai bianchi una vita di
prosperità senza pari. Tra questi giovani ci sono capi che non governeranno mai
perché non abbiamo il diritto di governarci, soldati che non combatteranno mai perché
non abbiamo armi con cui combattere; docenti che non insegneranno mai perché non
abbiamo luoghi dove farli studiare. Le capacità, l’intelligenza, il potenziale
di questi giovani andranno sperperati nello sforzo di guadagnarsi da vivere
svolgendo i servizi più umili, più semplici, per i bianchi. I doni che abbiamo
offerto oggi non sono niente se non possiamo offrire il dono più grande, che è
l’indipendenza, la libertà. So bene che Qamata vede tutto e non dorme mail, ma
sospetto che da qualche tempo si sia un po’ appisolato. Se è così spero di
morire presto, almeno potrò andare a riscuoterlo, a dirgli che i figli di
Ngubencguka, il fiore della nazione xhosa, stanno morendo”
Mentre il capo Meligqili parlava, il pubblico si era fatto
sempre più silenzioso e, mi pareva, sempre più arrabbiato. Nessuno voleva udire
le parole che egli aveva pronunciato quel giorno. So che nemmeno io volevo
udirle. Le sue osservazioni, più che stimolarmi mi avevano irritato, le
liquidavo come l’opinione sbagliata di un uomo ignorante incapace di apprezzare
il valore dell’istruzione e i benefici che i bianchi avevano portato al paese.
A quel tempo, vedevo i bianchi non come oppressori ma come benefattori e
pensavo che il capo Meligqili fosse di un’ingratitudine estrema. Quell’uscita
stava rovinando la mia festa, gustava la fierezza che provavo con osservazioni fuori
luogo.
Ma senza che ne comprendessi pienamente il motivo, presto le
sue parole incominciarono a scavarmi dentro. Un seme era stato piantato, e dopo
esser rimasto in riposo per una lunga stazione, infine cominciò a germogliare.
In seguito capii che quel giorno l’ignorante ero io, non il capo.
domenica 15 dicembre 2013
ARMANDO MASSARENTI: IL SENATO DELLA CONOSCENZA
da DOMENICA del SOLE 24Ore di domenica 8 Dicembre
...
Da quì potrebbe partire la riforma del bicameralismo. Il Senato dovrebbe diventare il luogo delle indagini conoscitive, del controllo dei fatti e del monitoraggio dei saperi che permettono all'intero assetto istituzionale di agire con saggezza e lungimiranza. Il modello è la House of Lords, un'istituzione "alta" che in Gran Bretagna produce documenti di analisi su problemi caldi (uno degli ultimi interventi è sulle staminali) suggerendo a Parlamento e Governo uno spettro di azioni da intraprendere per affrontarli alla luce delle migliori conoscenze disponibili. Alla luce di dati allarmanti (analfabetismo funzionale, coruzione, scarsa libertà di ricerca, d'impresa e d'informazione) appare chiaro che il Paese ha bisogno di una complessiva, graduale, coerente, ricostruzione culturale e mentale e di istituzioni e procedure ridisegnate per fare in modo che il faticoso lavoro decisionale proprio di ogni processo democratico possa viaggiare sui binari di un Paese civile e moderno.
Armando Massarenti
Proposta interessante e più concreta di tante fumosità che si sentono continuamente.
Immagino che per questo motivo non sarà considerata.
...
Da quì potrebbe partire la riforma del bicameralismo. Il Senato dovrebbe diventare il luogo delle indagini conoscitive, del controllo dei fatti e del monitoraggio dei saperi che permettono all'intero assetto istituzionale di agire con saggezza e lungimiranza. Il modello è la House of Lords, un'istituzione "alta" che in Gran Bretagna produce documenti di analisi su problemi caldi (uno degli ultimi interventi è sulle staminali) suggerendo a Parlamento e Governo uno spettro di azioni da intraprendere per affrontarli alla luce delle migliori conoscenze disponibili. Alla luce di dati allarmanti (analfabetismo funzionale, coruzione, scarsa libertà di ricerca, d'impresa e d'informazione) appare chiaro che il Paese ha bisogno di una complessiva, graduale, coerente, ricostruzione culturale e mentale e di istituzioni e procedure ridisegnate per fare in modo che il faticoso lavoro decisionale proprio di ogni processo democratico possa viaggiare sui binari di un Paese civile e moderno.
Armando Massarenti
Proposta interessante e più concreta di tante fumosità che si sentono continuamente.
Immagino che per questo motivo non sarà considerata.
MANDELA: LA SCELTA DI FORME VIOLENTE DI LOTTA POLITICA (DAL DISCORSO DEL 20 APRILE 1964 AL PROCESSO DI RIVONIA
NELSON MANDELA "SONO PRONTO A MORIRE" processo di Rivonia
All'inizio del 1961, dopo una lunga e tormentata valutazione della situazione sudafricana, io e alcuni colleghi giungemmo alla conclusione che, poichè la violenza nel paese era ormai inevitabile, sarebbe stato irrealistico e sbagliato per i leader africani continuare a predicare la pace e la nonviolenza in un momento in cui il governo rispondeva con la forza alle nostre richieste pacifiche.
Non fu facile giungere a questa conclusione. Fu soltanto quando ogni altra strada si era dimostrata impraticabile, quando tutti i canali di protesta pacifica ci erano stati preclusi, che venne presa la decisione di adottare forme violente di lotta politica e di costituire l'Umkonto we Sizwe. Lo facemmo non perchè desiderassimo arrivare a questo, ma soltanto perchè il governo non ci aveva lasciato altra scelta. Nel manifesto dell'Umkonto pubblicato il 16 dicembre 1961, che è il reperto AD, dichiaravamo:
"Nella vita di ogni nazione c'è un momento in cui rimangono soltanto due alternative: sottomettersi o lottare. Ora in Sudafrica è giunto quel momento. Non ci sottometteremo e non abbiamo altra scelta che rispondere ai soprusi con tutti i mezzi di cui disponiamo per difendere la nostra gente, il nostro futuro, la nostra libertà"
All'inizio del 1961, dopo una lunga e tormentata valutazione della situazione sudafricana, io e alcuni colleghi giungemmo alla conclusione che, poichè la violenza nel paese era ormai inevitabile, sarebbe stato irrealistico e sbagliato per i leader africani continuare a predicare la pace e la nonviolenza in un momento in cui il governo rispondeva con la forza alle nostre richieste pacifiche.
Non fu facile giungere a questa conclusione. Fu soltanto quando ogni altra strada si era dimostrata impraticabile, quando tutti i canali di protesta pacifica ci erano stati preclusi, che venne presa la decisione di adottare forme violente di lotta politica e di costituire l'Umkonto we Sizwe. Lo facemmo non perchè desiderassimo arrivare a questo, ma soltanto perchè il governo non ci aveva lasciato altra scelta. Nel manifesto dell'Umkonto pubblicato il 16 dicembre 1961, che è il reperto AD, dichiaravamo:
"Nella vita di ogni nazione c'è un momento in cui rimangono soltanto due alternative: sottomettersi o lottare. Ora in Sudafrica è giunto quel momento. Non ci sottometteremo e non abbiamo altra scelta che rispondere ai soprusi con tutti i mezzi di cui disponiamo per difendere la nostra gente, il nostro futuro, la nostra libertà"
giovedì 12 dicembre 2013
LA STORIA DI UN UOMO DISPOSTO A RISCHIARE
LIBRO: "IO, NELSON MANDELA. conversazioni con me stesso"
estratto dalla prefazione di Barack Obama
... fornendoci questo ritratto a tutto tondo, Nelson Mandela ci ricorda di non essere stato un uomo perfetto. Anche lui, come tutti noi, ha i suoi difetti. Ma sono proprio queste imperfezioni che dovrebbero essere d'ispirazione per ciascuno di noi. Perchè, se siamo onesti con noi stessi, sappiamo che affrontiamo battaglie piccole e grandi, personali e politiche, per superare la paura e il dubbio, per continuare ad impegnarci anche quando l'esito della lotta è incerto, per perdonare gli altri e sfidare noi stessi.
La storia raccontata da questo libro - e la storia della vita di Mandela - non è quella di esseri umani infallibili e di un inevitabile trionfo. E' la storia di un uomo disposto a rischiare la vita per ciò in cui credeva e che ha lavorato incessantemente per condurre quel genere di esistenza che avrebbe reso il mondo un posto migliore.
Alla fine, è questo il messaggio di Mandela a ognuno di noi. Per tutti ci sono giorni in cui sembra che cambiare sia impossibile, giorni in cui le avversità e le nostre imperfezioni possono indurci a desiderare di imboccare un sentire più facile, che eviti le nostre responsabilità verso gli altri. Perfino Mandela ha vissuto giorni come questi...
estratto dalla prefazione di Barack Obama
... fornendoci questo ritratto a tutto tondo, Nelson Mandela ci ricorda di non essere stato un uomo perfetto. Anche lui, come tutti noi, ha i suoi difetti. Ma sono proprio queste imperfezioni che dovrebbero essere d'ispirazione per ciascuno di noi. Perchè, se siamo onesti con noi stessi, sappiamo che affrontiamo battaglie piccole e grandi, personali e politiche, per superare la paura e il dubbio, per continuare ad impegnarci anche quando l'esito della lotta è incerto, per perdonare gli altri e sfidare noi stessi.
La storia raccontata da questo libro - e la storia della vita di Mandela - non è quella di esseri umani infallibili e di un inevitabile trionfo. E' la storia di un uomo disposto a rischiare la vita per ciò in cui credeva e che ha lavorato incessantemente per condurre quel genere di esistenza che avrebbe reso il mondo un posto migliore.
Alla fine, è questo il messaggio di Mandela a ognuno di noi. Per tutti ci sono giorni in cui sembra che cambiare sia impossibile, giorni in cui le avversità e le nostre imperfezioni possono indurci a desiderare di imboccare un sentire più facile, che eviti le nostre responsabilità verso gli altri. Perfino Mandela ha vissuto giorni come questi...
domenica 8 dicembre 2013
MANDELA. IN LUI VENERIAMO ANCHE CHI NON CE L'HA FATTA
Tra le tante cose lette e sentite in occasione della morte di Nelson Mandela, segnalo l'articolo di Emanuele Trevi sul Corriere di domenica 8 dicembre.
trascrivo le ultime righe
"quel sublime avanzo di galera appartiene a un'altra pasta di uomini: gente che nella maggior parte dei casi muore ammazzata o finisce i suoi giorni in una cella puzzolente.
E se per un eccezione concorso di circostanze storiche e tenacia del carattere uno di questi uomini arriva a vincere, vince davvero per tutti gli altri.
La dignità e la bellezza di Nelson Mandela sono talmente grandi che, venerando la sua memoria, noi veneriamo anche quella di tutti coloro che non ce l'hanno fatta."
trascrivo le ultime righe
"quel sublime avanzo di galera appartiene a un'altra pasta di uomini: gente che nella maggior parte dei casi muore ammazzata o finisce i suoi giorni in una cella puzzolente.
E se per un eccezione concorso di circostanze storiche e tenacia del carattere uno di questi uomini arriva a vincere, vince davvero per tutti gli altri.
La dignità e la bellezza di Nelson Mandela sono talmente grandi che, venerando la sua memoria, noi veneriamo anche quella di tutti coloro che non ce l'hanno fatta."
martedì 3 dicembre 2013
martedì 26 novembre 2013
lunedì 25 novembre 2013
"TAPPETI DI PIETRA, PARETI DI LUCE" - "PERò MI VUOLE BENE". Il "fil rouge" che li unisce
In questo week end ho avuto la possibilità di assistere a due eventi interessantissimi e coinvolgenti. Senza muovermi da Trezzo. E questa é già una buona notizia. La produzione culturale nella nostra città, quando sorge dal territorio, dalle persone, e non risponde ad esigenze ideologiche (pseudo etniche o a scopo di ostentazione ) é viva e in grado di offrire alle persone ricchezza di contenuti e bellezza.
I due eventi sono stati: la visita, ben guidata, alla mostra "tappeti di pietra, pareti di luce" sull'arte del mosaico a tematica religiosa e la performance "però mi vuole bene" in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La prima a cura del Decanato di Trezzo, la seconda a cura di Telefono Donne con Mariposa.
Non voglio qui esprimere un giudizio, peraltro superfluo, sul valore delle due iniziative.
Mi preme di più tentare un ragionamento per giustificare il "fil rouge" che ho la sensazione leghi le due iniziative.
Da una parte ammiriamo sublimi produzioni artistiche frutto delle abilità di raffinati maestri d'opera innegabilmente spinti oltre che dal l'orgoglio di manifestare la propria abilità anche dal sacro fuoco interiore che li spingeva, tramite l'opera, a glorificare il loro Dio e a trasmettere le conoscenze dottrinali in modo iconografico al popolo illetterato. Ma il sublime che ci ha avvolto non ci fa dimenticare che sui sagrati delle stesse chiese (magari in senso lato) veniva bruciati coloro che osavano esprimere un pensiero libero e diverso, come pure spesso quella Croce, la cui evoluzione iconografica ci é stata spiegata, accompagnava la spada che ha portato lutti e distruzione nelle popolazioni da evangelizzare o meglio da sfruttare.
Dall'altra parte siamo stati commossi e annichiliti dai racconti ( di vita vissuta, dall'altra parte, del mondo o del pianerottolo) di violenza e feminicidio. Solo la sottile ironia con cui le Signore ce li hanno proposti ha temperato la drammaticità degli eventi e attutito l'abiezione raccontata.
Pure questa abiezione, non nuova, non propria solo di questi tempi, di queste culture, non ha chiuso tutte le bocche, tacitato gli spiriti, annichilito l'anelito al cambiamento. Così ci si ribella, si denuncia, se ne parla, si educa a un giusto rapporto tra i generi. La speranza che anche nell'Afghanistan più profondo mai più un padre applauda alla lapidazione della figlia non ci abbandona e ci sprona nella lotta, nel sostegno a figure eroiche come Malala. Quindi in questo caso dall'abiezione, in un processo inverso, siamo passati all'ascolto speranza.
Ecco, in questa dicotomia, in questa capacità umana di contenere insieme il meglio e il peggio, la libertà e l'oppressione, la santità e la malvagità, il "fil rouge" che ai miei occhi lega le due esperienze che ho avuto la fortuna di vivere. La lotta dell'uomo per liberarsi dalle storture e la storia della vicenda umana, di progressi e di cadute, da Pericle in poi, parlando da figlio della Grecia, verso forme di relazioni sociali che vincolino a un rispetto reciproco che naturalmente non saremmo i grado di assicurarci, mi fanno rendere conto che veramente siamo soli su questa Terra, che nulla, salvo i lumi della ragione, ci può convincere che la salvezza della specie umana può essere garantita delle regole sociali che comprimano i naturali ferini spiriti di sopraffazione così ben descritti da De Sade.Ciò mette in crisi l’ideale di un Comunismo fondamentalmente anarchico nella cui società ciascuno da quello che può e ottiene quello che gli serve.
I due eventi sono stati: la visita, ben guidata, alla mostra "tappeti di pietra, pareti di luce" sull'arte del mosaico a tematica religiosa e la performance "però mi vuole bene" in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La prima a cura del Decanato di Trezzo, la seconda a cura di Telefono Donne con Mariposa.
Non voglio qui esprimere un giudizio, peraltro superfluo, sul valore delle due iniziative.
Mi preme di più tentare un ragionamento per giustificare il "fil rouge" che ho la sensazione leghi le due iniziative.
Da una parte ammiriamo sublimi produzioni artistiche frutto delle abilità di raffinati maestri d'opera innegabilmente spinti oltre che dal l'orgoglio di manifestare la propria abilità anche dal sacro fuoco interiore che li spingeva, tramite l'opera, a glorificare il loro Dio e a trasmettere le conoscenze dottrinali in modo iconografico al popolo illetterato. Ma il sublime che ci ha avvolto non ci fa dimenticare che sui sagrati delle stesse chiese (magari in senso lato) veniva bruciati coloro che osavano esprimere un pensiero libero e diverso, come pure spesso quella Croce, la cui evoluzione iconografica ci é stata spiegata, accompagnava la spada che ha portato lutti e distruzione nelle popolazioni da evangelizzare o meglio da sfruttare.
Dall'altra parte siamo stati commossi e annichiliti dai racconti ( di vita vissuta, dall'altra parte, del mondo o del pianerottolo) di violenza e feminicidio. Solo la sottile ironia con cui le Signore ce li hanno proposti ha temperato la drammaticità degli eventi e attutito l'abiezione raccontata.
Pure questa abiezione, non nuova, non propria solo di questi tempi, di queste culture, non ha chiuso tutte le bocche, tacitato gli spiriti, annichilito l'anelito al cambiamento. Così ci si ribella, si denuncia, se ne parla, si educa a un giusto rapporto tra i generi. La speranza che anche nell'Afghanistan più profondo mai più un padre applauda alla lapidazione della figlia non ci abbandona e ci sprona nella lotta, nel sostegno a figure eroiche come Malala. Quindi in questo caso dall'abiezione, in un processo inverso, siamo passati all'ascolto speranza.
Ecco, in questa dicotomia, in questa capacità umana di contenere insieme il meglio e il peggio, la libertà e l'oppressione, la santità e la malvagità, il "fil rouge" che ai miei occhi lega le due esperienze che ho avuto la fortuna di vivere. La lotta dell'uomo per liberarsi dalle storture e la storia della vicenda umana, di progressi e di cadute, da Pericle in poi, parlando da figlio della Grecia, verso forme di relazioni sociali che vincolino a un rispetto reciproco che naturalmente non saremmo i grado di assicurarci, mi fanno rendere conto che veramente siamo soli su questa Terra, che nulla, salvo i lumi della ragione, ci può convincere che la salvezza della specie umana può essere garantita delle regole sociali che comprimano i naturali ferini spiriti di sopraffazione così ben descritti da De Sade.Ciò mette in crisi l’ideale di un Comunismo fondamentalmente anarchico nella cui società ciascuno da quello che può e ottiene quello che gli serve.
venerdì 22 novembre 2013
LA VOLONTA' DI DIO COME EGLI LA INTENDE NON è MEDIABILE, NON PUO' ESSERE ADDOLCITA
Sto leggendo l'interessante libro INCHIESTA SU GESU' di Corrado Augias con Mauro Pesce.
Trovo questo paragrafo che desidero condividere nel capitolo "Gesù politico".
domanda Augias:
Gesù è stato descritto talvolta come un capo politico. Su quali elementi si basa questa ipotesi?
risponde e argomenta Pesce:
I vangeli di Matteo e Luca trasmettono frasi che esprimono il centro del suo messaggio, richiamano il conflitto che egli vuole portare nel mondo. Gesù vede che la realtà sociale del suo tempo contrasta con la volontà di Dio. Il suo scopo è dichiarare guerra a questo disordine per instaurare la giustizia che Dio vuole, in una parola il suo regno. Per questo egli è venuto a gettare il fuoco sulla terra, a portare la spada, a creare divisione all'interno delle famiglie. Questo conflitto, che si manifesta in una battaglia distruttrice dell'avversario, ha come scopo finale l'instaurazione dell'armonia fra gli uomini. Il conflitto è subordinato al conseguimento di una pace generale in terra d'Israele. Nel suo atteggiamento conflittuale Gesù NON SCENDE A COMPROMESSI, NON RINUNCIA MAI ALLA LOTTA. Può accettare di essere sconfitto, non di ammorbidire la sua strategia. NELLA SUA LOTTA POSSONO ESSERCI LA VITTORIA O LA SCONFITTA, MAI IL COMPROMESSO. La volontà di Dio come egli la intende non è mediabile, non può essere addolcita.
Si tratta di vedere se Gesù si sia servito, per realizzare questo suo scopo, della forza militare, delle leggi e delle istituzioni pubbliche, di quegli strumenti cioè che generalmente chiamiamo politici. La mia risposta è no, non lo ha fatto.
Interessante. Emozionante anche. Questo vuol dire penare che potenzialmente gli uomini possa essere un giorno saggi e capaci di riconoscere e servire "volontariamente" la verità e la giustizia. Quasi anarchico direi. Ma è così? La storia dell'uomo è solo un tragico errore dovuto all'ignoranza e a una condizione di minorità (illuministicamente parlando)? Quale è la "condizione naturale dell'uomo"?
Trovo questo paragrafo che desidero condividere nel capitolo "Gesù politico".
domanda Augias:
Gesù è stato descritto talvolta come un capo politico. Su quali elementi si basa questa ipotesi?
risponde e argomenta Pesce:
I vangeli di Matteo e Luca trasmettono frasi che esprimono il centro del suo messaggio, richiamano il conflitto che egli vuole portare nel mondo. Gesù vede che la realtà sociale del suo tempo contrasta con la volontà di Dio. Il suo scopo è dichiarare guerra a questo disordine per instaurare la giustizia che Dio vuole, in una parola il suo regno. Per questo egli è venuto a gettare il fuoco sulla terra, a portare la spada, a creare divisione all'interno delle famiglie. Questo conflitto, che si manifesta in una battaglia distruttrice dell'avversario, ha come scopo finale l'instaurazione dell'armonia fra gli uomini. Il conflitto è subordinato al conseguimento di una pace generale in terra d'Israele. Nel suo atteggiamento conflittuale Gesù NON SCENDE A COMPROMESSI, NON RINUNCIA MAI ALLA LOTTA. Può accettare di essere sconfitto, non di ammorbidire la sua strategia. NELLA SUA LOTTA POSSONO ESSERCI LA VITTORIA O LA SCONFITTA, MAI IL COMPROMESSO. La volontà di Dio come egli la intende non è mediabile, non può essere addolcita.
Si tratta di vedere se Gesù si sia servito, per realizzare questo suo scopo, della forza militare, delle leggi e delle istituzioni pubbliche, di quegli strumenti cioè che generalmente chiamiamo politici. La mia risposta è no, non lo ha fatto.
Interessante. Emozionante anche. Questo vuol dire penare che potenzialmente gli uomini possa essere un giorno saggi e capaci di riconoscere e servire "volontariamente" la verità e la giustizia. Quasi anarchico direi. Ma è così? La storia dell'uomo è solo un tragico errore dovuto all'ignoranza e a una condizione di minorità (illuministicamente parlando)? Quale è la "condizione naturale dell'uomo"?
domenica 17 novembre 2013
GERMANIA. SEMPRE COLPA DELLA GERMANIA. UN DIBATTITO
Dal Blog POSTDAMER PLATZ
Posted: 02 Nov 2013 02:18 AM PDT
L’importante è prendersela con la Germania. Una delle posizioni di maggior successo nell’Italia di oggi è dare la colpa alla Repubblica Federale Tedesca e alla sua Cancelliera le cui posizioni sono all’origine di tutti i nostri mali. Dal destino della controversa salma di Priebke all’accusa di esportazioni in eccesso, dall’introduzione del pedaggio autostradale fino all’austerità, invocare l’avvento di un imminenteQuarto Reich è diventato di moda, l’analisi più facile e semplice, anche perché, si sa, tutti i tedeschi sono nazisti. Simili semplificazioni sono diventate molto diffuse e popolari nel nostro Paese. Dai social network ai commenti sui principali organi di stampa nazionali è un proliferare continuo di accuse ai tedeschi di voler germanizzare l’Europa. Negli ultimi giorni ci hanno pensato due tradizionali medaglie d’oro dell’antigermanesimo a dare fiato alla facile vulgata antitedesca e antimerkeliana. Libero, il quotidiano di Feltri e Belpietro, con un bel titolo in prima pagina: “La Germania ci deruba”. Il riferimento era all’accusa degli Stati Uniti allaGermania di violare i trattati sul surplus commerciale. In altre parole, la Germania esporta troppo e toglierebbe quote di mercato ai partner europei. Invece di ringraziare Berlino di tenere a galla la barcollante economie europea, gli "amici" di Libero dicono addirittura “ecco le prove” del furto della Germania al nostro Paese. Naturalmente non poteva mancare anche un attacco all’Unione Europea: “L’Italia e gli altri partner tacciono, gli USA no: La Merkel è la vera causa della crisi europea”. Ilterrorismo psicologico antieuropeista è una buona strategia per alimentare un sentimento antieuro sul quale poter fondare magari un nuovo partito pronto per le imminenti elezioni europee. A rispondere alle critiche degli Stati Uniti al governo di Berlino ci ha pensato, tra gli altri, laSüddetusche Zeitung. La critica arriva nel momento sbagliato perché già dal prossimo bilancio federale i dati cambieranno e, secondo, la critica viene da un Nazione, gli USA, dove la Federal Reserve è costretta a stampare moneta per sostenere la crescita economica e contrastare la politica di austerità diWashington. Oggi è molto più critica la situazione economica e finanziaria degli Stati Uniti rispetto a quella dell’Europa. Se Libero attacca, il Giornale rilancia. Il quotidiano di Sallusti accusa Angela Merkel (quale novità!) di voler far pagare agli stranieri le autostrade tedesche – notizia ripresa, ovviamente, anche da Libero. Nell’articolo “Sulle autostrade tedesche pagano solo gli stranieri. E l’Europa obbedisce” di Antonio Borrelli si legge: “Frau Merkel ha individuato chi dovrà pagare i conti pubblici tedeschi: gli stranieri. No, non i clandestini. Neppure i turisti extracomunitari. Quelli da tassare sono i vicini di casa, quelli che un tempo erano i cittadini di un unico grande sogno senza frontiere. Ecco, le frontiere sono tornate. Tutto questo con il probabile consenso dell'Europa. L’idea è semplice: far pagare le autostrade a tutti quelli che non sono tedeschi. … Il quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung rivela che il commissario europeo ai Trasporti Siim Kallas considera compatibile con le normative europee la proposta tedesca, specie se ci fosse almeno una forma di pagamento ridotta per i germanici, magari un contributo incluso nel bollo auto.” Tralasciando che ci si sarebbe aspettati almeno un cenno ad un dibattitto molto più complesso che c’è stato durante la recente campagna elettorale, tralasciando ancora che fino a prova contraria siamo noi italiani che facciamo pagare le autostrade ai tedeschi (in Germania infatti sono gratuite), tralasciando l’incomprensibile riferimento ai clandestini ed extracomunitari e tralasciando, infine, che non è stata una rivelazione della Süddeutsche Zeitung, la notizia è falsa. Non c’è stato alcun assenso dell’Unione Europea alla proposta della CSU (e mai accettata né dalla CDU di Merkel né dalla SPD, futuro alleato di governo) di introdurre il pedaggio autostradale per stranieri. Non è la prima volta che Libero e il Giornale attaccano gratuitamente la Germania. Resta indimenticabile l’eleganza del quotidiano di Sallusti al tempo dell’incidende della Costa Concodia. Per rispondere ad un articolo ironico dello Spiegel, titolò “A noi Schettino. A voi Auschwitz”. O ancora il ridicolo articolo La Merkel ci ruba i cervelli, che denota, evidentemente, l'ignoranza delle drammatiche condizioni di lavoro in Italia. Dare la colpa alla Germania è la migliore delle scuse per non voler vedere e affrontare i nostri problemi. Che si parli di debito pubblico, di instabilità politica, di inefficienza della giustizia, di disoccupazione, della morte di Priebke o della sporcizia delle strade, l’unica colpevole è sempre Angela Merkel, la Cancelliera da dipingere con i baffetti di Hitler, #tuttacolpadellagermania. twitter@uvillanilubelli Libero e Giornale sbagliano, ma la Germania è miope Posted: 05 Nov 2013 12:40 AM PST Ricevo e pubblico una replica di Giuseppe De Lorenzo (che i lettori di questo blog già conoscono) al mio articolo Sempre colpa della Germania. Non sarà tutta colpa della Germania, certo, e probabilmente i titoli di Libero e de Il Giornalesono volutamente gonfiati perché indirizzati ad un lettore spesso critico nei confronti della linea tedesca e dell’Unione Europea. Accettiamo, dunque, la tesi che le posizioni dei due quotidiani sianoesagerate e magari troppo plateali. Ma, anche questo va sottolineato, è pratica diffusa di molti giornali “prendersela con qualcuno” per vendere più copie: Scalfari fu l’inventore di questo sistema e sugli attacchi a Craxi prima e Berlusconi poi ha costruito il primato italiano del suo giornale. Detto questo, se nascondere il dramma della situazione economica italiana dietro le colpe dellaGermania è certamente inutile, oltre che cieco, non è però possibile nemmeno fare l’opposto, cioè chiudersi gli occhi davanti ad un fatto che riguarda non solo l’Italia, ma l’intera zona euro: laGermania, con le scelte di austerity, di intransigenza verso i debitori e i paesi in difficoltà, rischia di indebolire la tenuta dell’Eurozona. Ed è parere, oltre che degli Usa (secondo quanto riportato in questi giorni), anche di numerosi economisti. Rievochiamo qui, a modi di esempio, le posizioni del NobelPaul Krugman, secondo cui le scelte di Berlino hanno aggravato la spirale recessiva e difficilmente porteranno l’Unione fuori dal fango della crisi. Che, ormai, dura da molto, troppo tempo. Gli Stati Uniti accusano la Merkel di esportare troppo, violando i trattati del surplus commerciale. Ebbene, mi sembra sbagliato affermare – come fai te - che, invece, bisognerebbe “ringraziare Berlino di tendere a galla la traballante economia Europea”. Perché se è vero che la crescita delle esportazioni tedesche permette alle statistiche sull’Europa presa nel suo insieme di non sfigurare troppo, è altrettanto vero che questo significa riduzione della competitività per le aziende degli altri partner (evidentemente svantaggiati dall’impossibilità di svalutare l’euro per sostenere l’export) e maggior afflusso di capitali nei territori tedeschi. Togliendoli – di fatto – alle altre nazioni europee, che invece devono rispondere alla crisi diminuendo le importazioni e i consumi interni, così da poter sostenere il debito. Senza addentrarci sulle accuse del Tesoro americano alla Germania, è forse utile ricordare un po’ di storia economica per capire il perché del sentimento antieuropeista e antitedesco che sta crescendo. Quando nel secondo dopoguerra la situazione economica dell’Europa era drammatica e i consumi dei cittadini dei paesi appena usciti dalla guerra praticamente prossimi allo zero, la scelta degli Stati Uniti fu quella del “creditore responsabile”: tassandosi ed intraprendendo il famoso piano Marshall favorì la ripresa del mercato europeo. I motivi di tale scelta erano anche economici: se l’Europa non si fosse ripresa, gli Usa avrebbero perso un mercato fondamentale, di cui la sua economia non poteva fare a meno. Allo stesso modo, la Germania ha incentivi di natura economica nell’evitare il collasso dell’eurozona: un ritorno alle monete nazionali non è certo ben visto a Berlino. Quindi, a detta di molti economisti, le scelte future della Germania dovrebbero essere molto distanti dalle politiche tenute sino ad ora e avvicinarsi, invece, a quelle fatte dagli Stati Uniti dopo il ’45. Che nel caso attuale significa sostenere l’importazione, favorendo così l’export dei partner europei, e allentare la presa sull’inflazione, che permetterebbe a paesi come Italia e Grecia di ridurre il valore del proprio debito e – ancora una volta – incentivare le esportazioni. La crisi dell’eurozona non è tutta da addossare sulle spalle dei tedeschi e, ovviamente, laGermania può essere additata come la causa di tutti i mali italiani, che sono invece sistemici e di più lunga data: corruzione, debito pubblico, disoccupazione e instabilità politica. Ma se indietro non si può tornare, si deve guardare avanti ed evitare errori del passato. La Germania non può più abbassare la testa e portare avanti l’ariete dell’austerity a tutti i costi. Giuseppe De Lorenzo |
GERMANIA. IL TESORO IMPERIALE DI HITLER
Dal Blog POSTDAMER PLATZ
Posted: 04 Nov 2013
11:00 AM PST
E' di ieri la
notizia del ritrovamento di opere d'arte a Monaco. Per l'occasione propongo la
lettura di un vecchio articolo uscito per Il Sole
24 Ore. Si tratta di una recensione di Marco Carminati ad un bel
libro di Sydney Kirkpatrick sulle rocambolesche vicende del recupero del Tesoro
imperiale che Hitler portò a Norimberga e che i nazisti tentarono di far
sparire alla fine della guerra.
Le reliquie
di Hitler del regista Sidney Kirkpatrick è davvero un libro avvincente. Narra una storia veramente accaduta, la
rocambolesca avventura del recupero dalle rovine dell'ultima guerra mondiale di
un tesoro unico al mondo: i gioielli della Corona del Sacro Romano
Impero. Se oggi possiamo ammirare queste
meraviglie nelle sale dell'Hofburg di Vienna, lo dobbiamo a un uomo
speciale, un autentico "ufficiale gentiluomo" che con tenacia e
intelligenza investigativa riuscì a sottrarre questo mirabolante tesoro dalle
grinfie degli ultimi irriducibili nazisti.
Il suo nome era Walter Horn. Era uno storico dell'arte e un cittadino tedesco fuggito negli Stati
Uniti con l'avvento del nazismo.
Durante la guerra fu ben felice di
entrare a far parte delle armate alleate in Europa, e visto che conosceva il
tedesco alla perfezione venne assegnato a un particolare incarico: quello di
interrogare i prigionieri tedeschi per verificare se sapessero qualcosa della
fantomatica "arma segreta" di cui Hitler andava vantandosi e alla quale sarebbe
stata affidata la riscossa del nazismo.
Il 23 febbraio 1945, dopo aver
interrogato 35 prigionieri, il tenente Horn si trovò davanti il soldato
semplice tedesco Fritz Hüber. Horn gli pose le domande di rito sulle
armi segrete ma si rese subito conto che anche quest'innocuo e smarrito
militare non poteva sapere nulla. Fu invece Hüber, a fine interrogatorio, a
introdurre un nuovo argomento: «Le interessano per caso l'arte e gli oggetti
artistici?».
La faccia di Horn si
aprì in un grande sorriso: quel militare tedesco non poteva sapere che lui, da borghese, era un professore di storia dell'arte all'università
di Berkeley, che era scappato dallaGermania nazista dopo aver
studiato arte ad Amburgo, Monaco e Berlino, essere stato allievo diErwin
Panofsky e essersi specializzato in Italia addirittura con Bernard
Berenson.
«Certo che mi interessa l'arte!» disse Horn. «Ma che
cosa ha da dirmi in proposito?».
«So dove si trovano nascosti i gioielli del Tesoro
del Sacro Romano Impero» rispose candidamente Hüber.
Horn, stupefatto, accantonò i moduli d'interrogatorio sulle armi segrete e si
predispose ad ascoltare e a trascrivere quella testimonianza. Hüber raccontò che
il Tesoro del Sacro Romano Impero era stato prelevato per ordine di Hitler
dall'Hofburg di Vienna la sera prima dell'annessione del l'Austria nel 1938 e portato nella chiesa
di Santa Cristina a Norimberga. Il dittatore tedesco era convinto che quelle
reliquie avessero poteri sovrannaturali. La corona imperiale, il globo, lo
scettro, la spada imperiale, la spada usata per le investiture dei cavalieri,
ma soprattutto la punta della Sacra Lancia di Longino (quella con cui si credeva fosse stato trapassato il costato di Cristo) non
potevano essere considerati semplici oggetti dinastici. Essi rappresentavano la
fonte stessa del potere sulla terra: chi avesse posseduto queste reliquie
avrebbe potuto dominare il mondo. Hitler e i nazisti la pensavano
così, per cui portarono le reliquie del l'Impero a Norimberga, la città che le
aveva ospitate per secoli fino agli inizi dell'Ottocento.
E quando scoppiò la guerra, fecero subito in modo di metterle al sicuro. Himmler ordinò di scavare un bunker nella viva roccia sotto il castello di Norimberga e di nascondere lì i gioielli imperiali.L'accesso al bunker era segretissimo, celato da un anonimo negozio d'antiquariato posto nelle strette viuzze ai piedi della rupe. «Se il posto era così segreto, perché lei ne è a conoscenza?» interruppeHorn. «Perché mio padre e mia madre hanno avuto l'incarico di controllare la ventilazione e la pulizia del bunker» rispose Hüber. A questo punto, il tenente Horn passò la notte a redigere un dettagliato rapporto dell'interrogatorio e lo spedì al Quartier Generale di Patton. Il rapporto non cadde nel vuoto. Appena finita la guerra, nel luglio del 1945, il tenente Horn venne chiamato a Francoforte. Qui gli venne comunicato che, grazie al suo rapporto, il bunker di Norimberga era stato identificato e trovato stracolmo di opere d'arte. Era stato anche rinvenuto gran parte del Tesoro del Sacro Romano Impero. Gran parte, non tutto: due delle diciassette casse che contenevano il tesoro erano vuote, e una mancava all'appello. La nuova missione di Horn sarebbe stata quella di recarsi a Norimberga e ritrovare al più presto le parti mancati del tesoro, possibilmente prima dell'inizio del processo ai criminali nazisti, quando il mondo intero avrebbe puntato gli occhi sulla città tedesca. Horn avrebbe avuto quindi solo tre mesi di tempo per portare a termine questa "missione impossibile", nel desolante contesto di una Germania invasa dagli alleati e distrutta dalla guerra. Quando seppe quali erano i pezzi del tesoro che mancavano all'appello, Horn ebbe una crisi di sconforto: mancavano proprio la corona imperiale tempestata di pietre preziose, il globo d'oro, lo scettro, la spada dell'imperatore e la spada delle investiture. Con sua somma sorpresa, invece, la Sacra Lancia di Longino non era stata sottratta. Di primo acchito ebbe un brivido: solo gli oggetti preziosi erano spariti dal bunker, mentre la Sacra Lancia di Longino, pur così importante dal punto di vista simbolico ma di poco valore venale, stata stata tralasciata. Che cosa significava tutto ciò? Che i pezzi più preziosi erano stati trafugati per essere smembrati e venduti? Horn non volle neppure pensarci, ma questa poteva essere un'ipotesi. Arrivato a Norimberga visitò subito il bunker e cominciò a interrogare Johann Fries e Heinz Schmeissner, i più stretti collabori del sindaco nazista Willy Liebel (morto negli ultimi giorni della guerra) giungendo a mettere insieme le prime informazioni. Venne fuori che, pochi mesi prima,Himmler in persona aveva ordinato di prelevare i gioielli dal bunker per impedire che cadessero in mano agli alleati. Ma dove li aveva nascosti? Le testimonianze si fecero vaghe e contradditorie, e si arrivò ad affermare che i gioielli erano stati collocati in casse di metallo, caricati sull'auto di Himmler e fatti inabissare con essa nel Lago Zell in Austria. Horn sospettò che in questa storia qualcosa non quadrava. Ed ebbe un'intuizione. I testimoni interrogati erano stati tutti ex nazisti: non è che, con questi racconti, stessero depistando le indagini per nascondere la verità? Horn capì che era proprio così. Messi davvero sotto torchio e minacciati di venir processati accanto a Göring e a Speer come autentici criminali nazisti, Fries e Schmeissner vuotarono finalmente il sacco. Non era statoHimmler ma loro stessi a sottrarre il tesoro dal bunker, che ora non si trovava in fondo a un lago ma ancora a Norimberga, nel sottosuolo di una scuola elementare vicino a Pannier Plaza. Perché avevano fatto ciò? La risposta fu agghiacciante: quel tesoro doveva diventare il simbolo della riscossa nazista e di un nuovo grande ordinamento, il Quarto Reich. Le cose – per fortuna – non andarono come quegli esaltati avrebbero voluto: Fries e Schmeissner finirono in galera e il tesoro del Sacro Romano Impero tornò intatto nella sua sede di Vienna.
E quando scoppiò la guerra, fecero subito in modo di metterle al sicuro. Himmler ordinò di scavare un bunker nella viva roccia sotto il castello di Norimberga e di nascondere lì i gioielli imperiali.L'accesso al bunker era segretissimo, celato da un anonimo negozio d'antiquariato posto nelle strette viuzze ai piedi della rupe. «Se il posto era così segreto, perché lei ne è a conoscenza?» interruppeHorn. «Perché mio padre e mia madre hanno avuto l'incarico di controllare la ventilazione e la pulizia del bunker» rispose Hüber. A questo punto, il tenente Horn passò la notte a redigere un dettagliato rapporto dell'interrogatorio e lo spedì al Quartier Generale di Patton. Il rapporto non cadde nel vuoto. Appena finita la guerra, nel luglio del 1945, il tenente Horn venne chiamato a Francoforte. Qui gli venne comunicato che, grazie al suo rapporto, il bunker di Norimberga era stato identificato e trovato stracolmo di opere d'arte. Era stato anche rinvenuto gran parte del Tesoro del Sacro Romano Impero. Gran parte, non tutto: due delle diciassette casse che contenevano il tesoro erano vuote, e una mancava all'appello. La nuova missione di Horn sarebbe stata quella di recarsi a Norimberga e ritrovare al più presto le parti mancati del tesoro, possibilmente prima dell'inizio del processo ai criminali nazisti, quando il mondo intero avrebbe puntato gli occhi sulla città tedesca. Horn avrebbe avuto quindi solo tre mesi di tempo per portare a termine questa "missione impossibile", nel desolante contesto di una Germania invasa dagli alleati e distrutta dalla guerra. Quando seppe quali erano i pezzi del tesoro che mancavano all'appello, Horn ebbe una crisi di sconforto: mancavano proprio la corona imperiale tempestata di pietre preziose, il globo d'oro, lo scettro, la spada dell'imperatore e la spada delle investiture. Con sua somma sorpresa, invece, la Sacra Lancia di Longino non era stata sottratta. Di primo acchito ebbe un brivido: solo gli oggetti preziosi erano spariti dal bunker, mentre la Sacra Lancia di Longino, pur così importante dal punto di vista simbolico ma di poco valore venale, stata stata tralasciata. Che cosa significava tutto ciò? Che i pezzi più preziosi erano stati trafugati per essere smembrati e venduti? Horn non volle neppure pensarci, ma questa poteva essere un'ipotesi. Arrivato a Norimberga visitò subito il bunker e cominciò a interrogare Johann Fries e Heinz Schmeissner, i più stretti collabori del sindaco nazista Willy Liebel (morto negli ultimi giorni della guerra) giungendo a mettere insieme le prime informazioni. Venne fuori che, pochi mesi prima,Himmler in persona aveva ordinato di prelevare i gioielli dal bunker per impedire che cadessero in mano agli alleati. Ma dove li aveva nascosti? Le testimonianze si fecero vaghe e contradditorie, e si arrivò ad affermare che i gioielli erano stati collocati in casse di metallo, caricati sull'auto di Himmler e fatti inabissare con essa nel Lago Zell in Austria. Horn sospettò che in questa storia qualcosa non quadrava. Ed ebbe un'intuizione. I testimoni interrogati erano stati tutti ex nazisti: non è che, con questi racconti, stessero depistando le indagini per nascondere la verità? Horn capì che era proprio così. Messi davvero sotto torchio e minacciati di venir processati accanto a Göring e a Speer come autentici criminali nazisti, Fries e Schmeissner vuotarono finalmente il sacco. Non era statoHimmler ma loro stessi a sottrarre il tesoro dal bunker, che ora non si trovava in fondo a un lago ma ancora a Norimberga, nel sottosuolo di una scuola elementare vicino a Pannier Plaza. Perché avevano fatto ciò? La risposta fu agghiacciante: quel tesoro doveva diventare il simbolo della riscossa nazista e di un nuovo grande ordinamento, il Quarto Reich. Le cose – per fortuna – non andarono come quegli esaltati avrebbero voluto: Fries e Schmeissner finirono in galera e il tesoro del Sacro Romano Impero tornò intatto nella sua sede di Vienna.
S. D.
Kirkpatrick, Le reliquie di Hitler.
I saccheggi nazisti e la riconquista
dei gioielli della Corona del Sacro
Romano Impero, Odoya, Bologna,
pagg. 314, € 22,00
Marco
Carminati
GERMANIA. I TEDESCHI MAI COSì FELICI
Dal Blog POSTDAMER PLATZ
Posted: 05 Nov 2013
04:44 AM PST
I tedeschi
sono sempre più felici. Lo dice l'Atlante della felicità delle
Poste tedesche che viene pubblicato ogni anno. Alla base della soddisfazione per la
propriacondizione esistenziale ci sono le buone condizioni economiche e
la bassa disoccupazione. In confronto ai trenta Paesi europei, dal 2006 a oggi,
la Germania migliora constantemente la propria posizione. Al quindicesimo posto
nel 2006, al nono nel 2011, oggi è all'ottavo.
Spagna, Grecia e Portogallo, che sono tra i Paesi più infelici, in
particolare la Grecia è all'ultimo posto.
Se si guarda alla Repubblica
Federale, si scopre che la differenza tra ex Germania Est e ex Germania
Ovest, la differenza si riduce costantemente.
La regione tedesca più felice è lo Schleswig-Holstein, all'estremo nord della Repubblica Federale. Al secondo posto c'è Amburgo e al terzo la Bassa
Sassonia. Agli ultimi tre posti della classifica
della felicità ci sono la Turingia, la Sassonia-Anhalt e all'ultimo
posto il Land del Brandeburgo.
Uno dei punti principali presi in
considerazione dalla ricerca è legata ai cittadini di origine straniera. Secondo il Deutsche Post Glücksatlas 2013 questi sono molto soddisfatti della
propria vita in Germania, quasi alla pari rispetto alla popolazione
complessiva. Per sapere i criteri e per leggere ulteriori dettagli sulla
ricerca potete consultare il sito
ufficiale.
MINISTRO BONINO SU BATTAGLIA CONTRO MGF
DA AFRICANEWS
Posted: 23 Oct 2013 02:18 AM PDT
La base da cui partire è la risoluzione
Onu 67/146, approvata nel dicembre del 2012. L’obiettivo è rendere vigente e
omogenea la sua applicazione, ponendo così fine all’orribile pratica
delle mutilazioni genitali femminili (Mgf).
Sono questi i due grandi pilastri entro
i quali va inquadrata la conferenza internazionale “Action to achieve commitments
in UNGA Resolution 67/146. Intensifyng global efforts for the elimination of
female genital mutilations” organizzata a Roma dall’United Nations Population
Fund (UNFPA) in collaborazione con il Ministero degli Esteri,
l’United Nations International Children Emergency Fund (UNICEF) e
l’Associazione Italiana donne per lo sviluppo (Aidos). E ad aprire la
conferenza è stato proprio il capo della diplomazia italiana, Emma Bonino, da
anni in prima linea per il bando delle mutilazioni genitali femminili. “La
risoluzione dà un messaggio globale che ora dobbiamo applicare”, è stato
l’invito lanciato dal Ministro dall’Auditorium Parco della Musica, che ospita
l’iniziativa.
Bonino, Italia continuerà battaglia a
Mgf con responsabilità
La conferenza arriva in un momento
cruciale per la battaglia alle Mgf. Una battaglia che, ha spiegato il Ministro
Bonino, ora deve concentrarsi su quattro direttrici: stimolare gli Stati a
soddisfare gli impegni presi nella risoluzione; adottare strutture normative e
politiche per la parità di genere; creare partnership e risposte
multi-settoriali, trovare risorse aggiuntive per istituzioni e Ong. L’Italia,
da parte sua, ha stanziato 8 milioni di euro dal 2008 per il Programma
congiunto UNFPA-UNICEF sulle mutilazioni genitali femminili. E, nonostante la
delicata congiuntura economica, il Governo non intende attenuare il proprio
sostegno. L’Italia “ha affrontato questa battaglia con responsabilità e intende
continuare a farlo“, ha rimarcato la titolare della Farnesina invitando la società
civile ad aiutare il Paese a mantenere il proprio sostegno per il bando della
pratica. Anche perché, oggi l’Italia “vive in un periodo difficile per la crisi
economica e mantenere gli impegni non è facile neanche davanti l’opinione
pubblica“, ha ricordato il Ministro ribadendo al tempo stesso come quella
contro le Mgf sia una battaglia per i diritti umani “che non ha frontiere”. Una
battaglia per la quale il capo della diplomazia italiana intende mettere anche
il suo “personale impegno di attivista di lungo corso“.
UNFPA, con trend attuale a rischio 30
milioni di bambine nei prossimi 10 anni
Quella delle Mgf è infatti una minaccia
che ancora incombe su una vasta gamma di donne in tutto il mondo. Secondo
quanto evidenziato dall’UNFPA oltre 125 milioni di donne sono state mutilate in
più di 80 Paesi in Africa e Medio oriente e si calcola che, entro dieci anni, a
rischiare di subire questa pratica siano circa 30 milioni di ragazze, se il
trend attuale continua. L’obiettivo da perseguire, secondo l’UNFPA, è di
aumentare del 10% annuo il tasso di abbandono di questa pratica, rispetto
all’1% attuale, e per questo occorre che la comunità internazionale raddoppi
gli sforzi. Anche perché la tendenza si può invertire e negli ultimi anni
qualcosa si è mossa perfino nelle regioni con le più alte concentrazioni di
Mgf. In 29 paesi dell’Africa e del Medio Oriente, oggi, le bambine hanno minori
possibilità di essere mutilate rispetto a trent’anni fa mentre sono già dodici
i Paesi che hanno promosso leggi in materia dopo la risoluzione Onu. Quaranta
Stati, infine, hanno adottato leggi per penalizzare la pratica.
L’esempio del Burkina Faso: invertire la
rotta è possibile
Insomma, il percorso è lungo ma non
impossibile e a testimoniarlo a Roma è arrivata, Chantal Campaoré, First Lady
di quel Burkina Faso che, grazie anche alla sinergia con l’Ong, ha già
invertito la rotta. Ora l’esempio burkinabé può fare da apripista in un
continente complesso come l’Africa. E il momento potrebbe essere quello giusto.
Questo è un “anno di rinascimento culturale per noi” e “le cattive pratiche da
abolire sono in cima alla lista”, è la promessa del Commissario per gli Affari
Sociali dell’Unione Africana Mustapha Kaloko.
Fonte: esteri.it
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