IL LETTORE STOLTO (3)
JEROME K. JEROME, P.G. WODEHOUSE, GIULIA CRIVELLI, CLAUDIO MAGRIS,BUONISTA, ANTONELLA, PA’
Che bello, il sabato mattina, alzarsi presto, uscire a piedi, andare a prendere un paio di giornali cartacei, il pane ancora caldo di forno, un caffè ben fatto, e poi pensare solo a girare biblioteche per leggere riviste e altri giornali senza fretta, oppure dedicarsi agli approvvigionamenti settimanali, visitare un museo, camminare all’Adda, fare piccolissimi lavoretti. Invece ci si alza presto e…
Però questa mattina sono partito bene. Mentre facevo colazione e il gatto usava le mie spalle come trampolino ho potuto leggere questo gustosissimo brano da “Tre uomini in barca (per tacer del cane)” del mitico J.K.J.
Noi avevamo il fiume tutto per noi, salvo che, in distanza, potevamo vedere una zattera da pesca, ormeggiata in mezzo alla corrente, e carica di tre pescatori; e noi sorvolavamo sull’acqua, e passavamo accanto alle rive boscose, senza dire una parola.
Ero io al timone.
Come ci avvicinavamo, potemmo vedere che i tre uomini occupati a pescare avevano un aspetto di solenne vecchiaia. Sedevano su tre sedie nella zattera, e vigilavano intenti le lenze. E il tramonto rosso proiettava una mistica luce sull’acqua, tingeva di fuoco i boschi circostanti, e faceva una gloria d’oro alle masse di nuvole. Era un’ora di profondo incanto, d’estatica speranza e di desiderio. La piccola vela s’allargava contro il firmamento di porpora, il crepuscolo ci stava intorno, avvolgendo il mondo in ombre di arcobaleno; e dietro di noi strisciava la notte.
Noi sembravamo cavalieri di qualche vecchia leggenda, veleggianti per qualche mistico lago nel regno inesplorato del crepuscolo, verso la gran terra del tramonto.
Non andammo nel regno del crepuscolo: andammo a sbattere contro la zattera, dove quei tre vecchi stavano a pescare. In principio non ci accorgemmo di ciò ch’era accaduto; perchè la vela ce lo impedì, ma dal genere di linguaggio che si levò nell’aria della sera, comprendemmo che eravamo arrivati in vicinanza d’esseri umani molto malcontenti e collerici.
Harris abbassò la vela, e allora scorgemmo ciò ch’era successo. Avevamo fatto stramazzare quei tre vecchi signori dalle sedie in un mucchio confuso nel fondo della barca, e ora cercavano di separarsi lentamente e stentatamente l’uno dall’altro, raccogliendo il pesce dalle loro persone; e mentre si sforzavano di sollevarsi, ci maledivano – non con una imprecazione comune e frettolosa, ma con maledizioni lunghe e comprensive, accuratamente meditate, che abbracciavano tutta la nostra carriera, e si spingevan fin nel lontano futuro, includendo tutta la nostra parentela, e coprendo tutto ciò che ci riguardava – maledizioni buone e sostanziali.
Sto pensando di scaricare sul Kobo un po’ di romanzi di P.G. Wodehouse da usare come viatico per affrontare le perigliose giornate che mi attendono
In macchina il momento buono è proseguito, potendo ascoltare in successione, su RADIO24 (la migliore assieme a RADIO POPOLARE ) il programma di Carminati che mi sembra si intitoli “luoghi d’Arte” e poi la bravissima Giulia Crivelli con la rassegna stampa Europea, breve ma intenso spazio nel quale si può respirare comunicazione e informazione a pieni polmoni, usciti dalla spesso asfittica cantina della informazione nostrana.
Ieri sera ho letto qualche brano del libro di Claudio Magris: Alfabeti
Claudio Magris ha la coscienza e la consapevolezza di essere un intellettuale, conserva quindi nei suoi scritti una austera autorevolezza, mai pedante e mai saccente. Mi raffiguro Magris come colui che mi aiuta, essendo immerso in una cacofonia di suoni e rumori reciprocamente soverchianti, tendenti ad alzare il volume e ridurre i concetti a vuote parole d’ordine per emergere, a decifrare i suoni, dividerli dai rumori e riconoscere le parole sensate. (per esempio “buonista” che è diventato il mantra insultante verso chi cerca di vedere un essere umano in ogni altra persona, utilizzato sempre più spesso in carenza di argomenti, quando non si sa cosa dire o semplicemente quando si intende dire banali corbellerie).
Trascrivo un brano dal saggio: L'ultimo sguardo.
In questo breve saggio sul nostro (dei vivi) approccio alla morte dei nostri cari, lo scrittore triestino sa cogliere questo aspetto, tenero e profondo.
Scrive
" ... Il pudore, la distanza è la discrezione sono grandi virtù, ma bisogna pure essere capaci di spogliarsi, di stringersi all'altro; l'amore é rispetto, ma anche superamento della distanza. Essere una sola carne - come al Scrittura definisce il matrimonio - significa anche trascendere pudori schifiltosi, imbarazzi puritani, riguardose cautele; significa confidenza con i trionfi del corpo e con le sue sconfitte, capacità di abbracciare una persona amata anche quando invecchia, s'ammala e muore"
Gli stessi concetti, con altre parole, ci sono state dette, con il valore aggiunto di essere stata l’ultima esperienza di vita vissuta assieme, da un signora cui era morto il marito. Era una coppia che Antonella ed io ammiravamo moltissimo. E’ stato bello e commovente.
Chissà perché mi viene in mente questo particolare, che c'entra poco. Io sono sempre scappato, per la non accettazione della impotenza o per vigliaccheria, dalla sofferenza dei miei cari, ma ricordo che uno dei momenti in cui mi sentivo più vicino a mio padre, era quando, all'epoca della prima operazione, mi infiltravo alle 6.30 del mattino all'ospedale di Bergamo per portargli il Corriere della Sera, prima di andare al lavoro.
Nessun commento:
Posta un commento