Il primo pensiero, al ritorno da un brevissimo viaggetto ad
Istanbul, è se quella sia veramente una città cosmopolita, nel senso etimologico,
come sarebbe da pensare per chi ha cambiato tre nomi, è stata sede di due
imperi, è posizionata in tre settori su due continenti, ha quindi delle
caratteristiche che la rendono unica al mondo e ne fanno naturale crocevia di
popoli.
Oppure se sia una città fortemente turca e, per quanto posso
ricordare a 28 anni dalla prima visita, molto più islamizzata di quanto
ricordassi.
Marco ed io in tre giorni abbiamo scarpinato non poco,
cercando sia i principali monumenti,
come è doveroso per dei turisti (e perché ne vale la pena), sia le strade di
collegamento tra i settori della città che apparivano trasversali ai flussi più
conosciuti, riuscendo con un po’ di esperienza e un po’ di fortuna (ma alla
fine non è una città difficile, ha molti punti di riferimento) a non perdersi.
Qualche riflessione e qualche aneddoto dunque della nostra
breve vacanza. Incominciando dalla divertente scoperta che al Sabiha Gokcet i
bus Havatas che collegano l’aeroporto con Taksim Maydan parcheggiano sulla
sinistra dell’intasatissimo e trafficatissimo viale che corre parallelo alla
struttura dell’aeroporto, e quindi i passeggeri in attesa fanno la fila tra due
corsie, praticamente in mezzo alla strada, e il bus entra in retro dalla cima della
fila in attesa.
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