IL LETTORE STOLTO (17) : (a cura di Romano Montroni) I LIBRI TI CAMBIANO LA VITA, ANDREA BERTAGLIO, LUCA SIMONETTI, CLAUDIO MAGRIS
La raccolta proposta da Montroni assembla le risposte che cento amici o conoscenti del curatore hanno inviato come risposta alla sua domanda su quale libro fosse stato per loro particolarmente significativo.
Il sottotitolo recita “cento scrittori raccontano cento capolavori” ed è uno dei sottotitoli più fuorvianti che possa ricordare. Non solo perché ci sono parecchi doppioni ( lo stesso libro preferito da due corrispondenti: faccio l’esempio “Il maestro e Margherita” di Bulgakov da Mauro e Morazzoni)), ma anche perché non necessariamente il libro preferito è un capolavoro.
A volte ho l’impressione che le risposte arrivino grazie all’insistenza di Montroni, a volte leggo un piacere di ritorno all’infanzia (non pochi citano libri tra i primi letti dopo aver imparato a leggere, come grimaldelli che scardinano l’ingresso nel mondo della letteratura – e come mi ritrovo quando vengono citati i romanzi di Salgari sul ciclo di Mompracem)
Procedo lentamente, con il tempo concesso dalla scadenza del prestito bibliotecario, nella lettura, aiutato dalla brevità di ogni capitolo. Così, anche se a volte in un capitolo ci si trova poca passione, si sa che sarà comunque uno sforzo breve, e si passa alla testimonianza successiva. Rimane l’ottima idea dell’elenco dei libri “preferiti” proposto sulle pagine finali, che ho ovviamente provveduto a fotocopiare.
Sto leggendo in alternanza GENERAZIONE DECRESCENTE di Andrea Bertaglio, ancora giovane scrittore membro del Movimento per la Decrescita Felice (di cui è stato vice-presidente) e CONTRO LA DECRESCITA, PERCHE’ RALLENTARE NON è LA SOLUZIONE di Luca Simonetti, preso dopo aver letto la recensione (favorevole) sulla DOMENICA del SOLE24ORE. L’ambizione sarebbe quella di aprire nella mia mente un dibattito scientifico su un argomento che mi coglie ampiamente impreparato (come pure è per il TTIP o per l’Expo di Milano), purtroppo so che la conseguenza sarà una confusione mentale maggiore di quella che mi raccontano essere nei talk show politici che infestano le televisioni.
Per ora sono giunto alla fine della prima parte del libro di Bertaglio (quindi Gisella, che me lo hai prestato, abbi pazienza), senza aver trovato delle grandi idee, e sono alle prime pagine di Simonetti che mi sembra partire con quel tono dileggiatore verso la controparte (alla Montanelli) che già un po’ mi urta. Vedremo nel futuro.
Queste letture hanno rallentato Magris, del quale però vorrei condividere uno stralcio, (del 2001, da ALFABETI ) che mi sembra piuttosto attuale:
“Solo un imbecille può augurasi le tragiche condizioni – guerre, malattie, morti, catastrofi pubbliche e private – in cui ci sia necessità di essere coraggiosi e occasione di meritarsi medaglie; ogni persona di retto sentire vorrebbe vivere in pace, quando non succede nulla di eccezionale e niente turba la partita a carte all’osteria. Ma quando la minaccia arriva alla porta ( e prima o dopo arriva sempre) occorre la forza d’animo; al nazismo si risponde con la fermezza di chi ha saputo morire –e anche uccidere – per combatterlo. Il timore fomenta non solo viltà, ma anche violenza: l’ira, ha detto Kipling – è l’uovo della paura. (…) Oggi l’Occidente ha forse più paura di quanta ne abbiano i suoi nemici. Non si tratta solo del fanatismo, che conferisce al terrorista un’anomala carica psichica e rende soggettivamente più facile accettare il rischio o la certezza della morte. Vi sono pure altre ragioni: l’attonita sorpresa di scoprirsi così vulnerabili, dopo aver nutrito una cieca, talora supponente fiducia nella propria potenza e sicurezza; la sensazione di essere impreparati a una radicale ma indefinibile svolta della storia; le condizioni di sviluppo e di vita che tendono a mettere in soffitta le virtù di tempi duri, fra le quali il coraggio; soprattutto l’invisibilità e inafferrabilità del nemico, che nel caso del terrorismo non si identifica precisamente con uno Stato e appare difficile da combattere e imprevedibile nei suoi attacchi: la minaccia può arrivare da qualsiasi parte, in qualsiasi momento, e nessuna misura o reazione rassicura a sufficienza. Il tettorismo incute una paura arcaica, come quella del buio: la paura dell0indefinito, dell’indeterminato, dell’occulto. Già dare un nome al pericolo è un conforto; quando il medico definisce un termine esatto, magari astruso, il vago disturbo o dolore che ci inquieta, quel nome è quasi già una medicina."
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