giovedì 12 marzo 2015

IL LETTORE STOLTO (8) MANZINI MAGRIS

IL LETTORE STOLTO (8) MANZINI MAGRIS

Improvvisamente ho chiuso il libro e l'ho messo sulla pigna di quelli da riportare in biblioteca. Quale? "Pista nera" di Manzini. Rocco Schiavone, il protagonista mi ha nauseato. Come mai? Perché improvvisamente ho sentito di aver raggiunto la saturazione quando nel precedente romanzo ero stato parzialmente divertito dal personaggio e dal contesto? Oggi me lo sono chiesto.
Sono giunto alla conclusione che in un "giallo" seriale cerco non solo il plot, il crimine e l'indagine per smascherarlo, cerco anche dei personaggi che mi dicano qualcosa, che possano essere degli archetipi, che nel loro relazionarsi con la società complessa che li circonda propongano delle risposte e degli atteggiamenti anche di rottura, non conformisti, provocatori.
Schiavone é conformista.

Non mi dice nulla di nuovo, non mi fa fare nessuna scoperta. Non mi svela un mondo sconosciuto. Il linguaggio è il comportamento di Schiavone non sono elemento di rottura in un mondo delle relazioni umane ipocrite e fintamente cortesi. Anzi, viene a noia perché rispecchia la triste realtà. Non ho bisogno di leggere Manzini per trovare la volgarità pesante e prevaricatrice, la realtà me la mostra ogni giorno, banalmente basta sintonizzarsi su Radio24 alle 18.30 per esempio.
La gentilezza e lo sguardo comprensivo sono rivoluzionari oggi, la com-passione è il rispetto sono elementi di rottura. Schiavone sarebbe stato interessante se avesse scoperchiato la cloaca sotto il bon-ton. Ma la cloaca oggi rende e non approfittarne sembra atteggiamento da deboli o stupidi. O stolti.

A proposito della forza rivoluzionaria della gentilezza e del comportamento civile, due risposte di una bella intervista al Fatto Quotidiano di un intellettuale che ammiro molto: Claudio Magris. Una persona che sa esprimere posizioni nette e dure senza dare l’impressione di alzare mai la voce o di usare un linguaggio volgare.

Su Il Corriere ha scritto che la borghesia “pronta e incline a ogni indecenza, ha perso il diritto di definirsi borghese, parola che per Mann, Croce, Einaudi e tanti altri significa tutt’altra cosa. Una borghesia che diventa anche politicamente il contrario di se stessa ossia populismo, democrazia per acclamazione di caudillos”.
Marx parlava di Lumpenproletariat, proletariato intellettualmente e moralmente pezzente, disponibile a qualsiasi manipolazione politica, contrapponendolo al proletariato consapevole. Usò questa parola, lumpen, anche Sandro Pertini a proposito dei brigatisti. Oggi la società italiana è sempre più una pappa gelatinosa, una specie diLumpenbourgeoisie, di borghesia intellettualmente pezzente anche quando è benestante, che non ha nulla a che vedere con la borghesia classica. Una classe colloidale in cui anche virtù e vizi borghesi sono scomparsi: non c’è più nemmeno quel modo benpensante, che era comunque l’omaggio del vizio alla virtù.

Che danni ha causato la scomparsa della borghesia?
Improvvisamente certe cose, che prima erano date per scontate, non lo sono più state. Se ora mi metto le dita nel naso, lei si offende giusto? Non è un delitto, ma non è educato. Qualcosa, sul piano civilmente più superficiale è cambiato. Fare le corna dietro la testa di un ministro, come ha fatto Berlusconi, non è immorale. Ma ci immaginiamo De Gasperi, alla Conferenza di pace di Parigi che – mentre dice ‘Sento che tutto, tranne la vostra cortesia, è contro di me’ – fa le corna? Sembra un dettaglio folkloristico, in realtà è una premessa per l’ignoranza. Un male terribile che ci affligge, perché se non sappiamo metter in ordine una frase e distinguere tra nominativo e accusativo, non distinguiamo chi ruba e chi viene derubato.

Questo è il link per tutta l’intervista.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/18/claudio-magris-intervista-italia-paese-dove-nessuno-sivergogna/781730/

Mi piace citare un brano del libro ALFABETI.

“C’è anche un’altra strategia, quella di chi non patisce l’assenza della vita – di una vita che non è mai, ma ha sempre ancora da aggiungere – bensì tenta di prolungare questa attesa della vita, nella speranza che essa non giunga mai, perché crede che, se venisse, comporterebbe qualcosa di tragicamente distruttivo, che l’attesa e il rinvio differiscono e allontanano.. Questo motivo percorre per esempio i racconti di Walser, i cui personaggi cercano di vivere sempre nell’attesa della vita, nella sua anticamera, in quanto l’esistenza reale, in ogni sua determinazione, appare insopportabile. Si vuole quindi vivere in una indeterminatezza che dovrebbe essere la vita vera, una vita pura ed essenziale, spogliata di tutte quelle determinazioni che la specificano, che la rendono reale, ma che vengono sentite come intollerabili.

La vita vera appare allora la vita indifinita, astratta, inesistente; una anticamera della vita che è una pura essenza e assomiglia paurosamente al nulla. Già Ibsen aveva dato dei grandissimi esempi di questa tattica elusiva, si pensi a quel suo personaggio che vuole scrivere un grande libro sulla vita, per poi cominciare finalmente a vivere, ma non riesce e non vuole mai riuscire a finire questo libro, perché poi comincerebbe il vero problema, la tragica scoperta di non essere all’altezza della vita



Fra queste pieghe si può anche ridere del nulla che incombe e che Svevo ha evocato nell’ultima, estrema pagina scritta alle soglie della morte. In questo fulmineo apologo, il solito vecchio, a mezzanotte, sta andando a letto, dove la moglie sta già russando pesantemente. Mentre il vecchio si spoglia, pensa che è mezzanotte, l’ora in cui potrebbe venire Mefistofele e proporgli l’antico patto. Da personaggio totalmente secolarizzato qual è, egli pensa che darebbe subito al diavolo la propria anima, senza incertezze, ma per che cosa, per quale bene da ottenere in cambio? Non certo per la giovinezza, pensa, che è piena di dolori, sebbene anche la vecchiaia sia orribile; non per l’immortalità, perché la vita è intollerabile, per quanto pure la morte sia orrenda.

Egli si accorge, in questa estrema parabola occidentale dell’estinzione del desiderio, che in fondo non avrebbe niente da chiedere al diavolo. E allora egli si immagina mentre sta spogliandosi, Mefistofele che, nell’inferno, si gratta perplesso la barba, rappresentante di una ditta che ha ormai poco da offrire e che sul mercato sta perdendo quota. A questa immagine egli ride forte, e mentre ride si infila nel letto; semisvegliata da quel suo riso, la moglie accanto a lui borbotta: e si gira dall’altra parte, tornando a scivolare nel sonno”


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