IL LETTORE STOLTO (14) FRANCO SCAGLIA. IL CUSTODE DELLE ACQUE
Ho trovato la presentazione dei libri di Franco Scaglia in un articolo sulla DOMENICA DEL SOLE 24ORE, e sono stato incuriosito. Ho cercato i libri nel SBV e li ho facilmente trovati.
Il protagonista è padre Matteo , un archeologo francescano che agisce in Israele, e la struttura credo sia tra la spystory e il giallo. Ambientare le trame dei libri in quell’ambiente dove la verità appare più che frantumata in mille schegge come di uno specchio rotto, nascosta e distorta come riflessa da uno specchio deformante, mi appare coraggioso. Sono alle prime pagine del primo libro, quindi Scaglia per ora è tutto terreno inesplorato e misterioso. Ci sono dei segnali positivi, come questo paragrafo che ho trovato e che trascrivo.
“Lo pregai di ascoltarmi con attenzione. Gli offrii ancora un bicchiere di vino e gli raccontai che ero nato a Ginostra, nell’isola di Stromboli (…) Vivevano con noi due gatti, Mustafà e Nenè, fratello e sorella. (…) Un pomeriggio, dunque, ero nel “nostro giardino” e stavo provando ad accomodare una vecchia sedia a dondolo. Avevo dieci anni e una naturale abilità nelle mani, che in seguito ha contribuito al mio successo come archeologo. Sentii qualcosa che somigliava a un gemito prolungato, acuto. Apparve Mustafà e aveva in bocca un topo. I lunghi baffi di Mustafà si intrecciavano con la code del topo che batteva l’aria in su e in già con forza e disperazione. Mustafà affondò i denti con crudele lentezza nel collo del topo che emise qualcosa di simile a un sospiro. Durò a lungo. Quando finì ebbi la sensazione che qualcuno mi stesse guardando. Mi voltai e vidi un topo più grande non lontano da me: mi fissava immobile. Immaginai si trattasse della madre del piccolo topo che nel frattempo Mustafà aveva abbandonato davanti ai miei piedi, Mamma topo guardò suo figlio e poi Mustafà, ora distratto e assente, e scomparve nell’erba.
Quella sera cenai di malavoglia. Ero spaventato e scosso dalla violenza alla quale avevo assistito. Andai a letto presto. Dormii un sonno agitato, non trovavo la posizione,e quando mi svegliai vidi mamma topo. Era diritta sulle zampette a metà del letto, mi fissava. Pensai di stare sognando. Non era così. Feci un movimento e mamma topo saltò via. Mi convinsi che fosse venuta a comunicarmi la sua sofferenza. Perché aveva scelto me?
Trascorsi la mattina a leggere, ero turbato. Dopo pranzo tornai in camera a prendere delle carte. Dovevo finire un tema per la scuola. Sul letto Mustafà faceva le fusa. Sotto una zampa, mamma topo stava agonizzando. Mi avvicinai. Mustafà senza guardarmi soffiò forte per comunicarmi che dovevo tenermi a distanza. Mamma topo soffrì per molto tempo. Quando finalmente morì, Mustafà smise di fare le fusa e restò immobile con gli occhi nel vuoto.
Credo che sia stata proprio quella vicenda, l’insignificante violenza su due topi, a orientare il mio cuore e la mia mente verso gli indifesi e i deboli. Un uomo di Dio, per contratto e vocazione, ama e protegge chi soffre. Mala morte di mamma topo e di suo figlio mi fece odorare la sofferenza, aiutandomi a capire come la vita di un umiliato e di un offeso sia molto facile da distruggere”
Penso che scrivere questo apologo in un libro ambientato in Palestina/israele/TerraSanta (già ognuno la chiama come la pretende) non sia neutro e insignificante. Ma scrivere che differente è stare per sforzo intellettuale dalla parte dei sofferenti e odorare la paura e la sofferenza, dice molto a me, a noi, e anche a chi dei sofferenti ne fa carne di strumentalizzazione e di politica squallida.
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