se anche vi vedo tutti in piedi ad applaudire, io continuo a pensare che sia sbagliato _EUROPEO e ITALIANO di MINORANZA_ DOVERISTA GENTILE
martedì 26 novembre 2013
lunedì 25 novembre 2013
"TAPPETI DI PIETRA, PARETI DI LUCE" - "PERò MI VUOLE BENE". Il "fil rouge" che li unisce
In questo week end ho avuto la possibilità di assistere a due eventi interessantissimi e coinvolgenti. Senza muovermi da Trezzo. E questa é già una buona notizia. La produzione culturale nella nostra città, quando sorge dal territorio, dalle persone, e non risponde ad esigenze ideologiche (pseudo etniche o a scopo di ostentazione ) é viva e in grado di offrire alle persone ricchezza di contenuti e bellezza.
I due eventi sono stati: la visita, ben guidata, alla mostra "tappeti di pietra, pareti di luce" sull'arte del mosaico a tematica religiosa e la performance "però mi vuole bene" in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La prima a cura del Decanato di Trezzo, la seconda a cura di Telefono Donne con Mariposa.
Non voglio qui esprimere un giudizio, peraltro superfluo, sul valore delle due iniziative.
Mi preme di più tentare un ragionamento per giustificare il "fil rouge" che ho la sensazione leghi le due iniziative.
Da una parte ammiriamo sublimi produzioni artistiche frutto delle abilità di raffinati maestri d'opera innegabilmente spinti oltre che dal l'orgoglio di manifestare la propria abilità anche dal sacro fuoco interiore che li spingeva, tramite l'opera, a glorificare il loro Dio e a trasmettere le conoscenze dottrinali in modo iconografico al popolo illetterato. Ma il sublime che ci ha avvolto non ci fa dimenticare che sui sagrati delle stesse chiese (magari in senso lato) veniva bruciati coloro che osavano esprimere un pensiero libero e diverso, come pure spesso quella Croce, la cui evoluzione iconografica ci é stata spiegata, accompagnava la spada che ha portato lutti e distruzione nelle popolazioni da evangelizzare o meglio da sfruttare.
Dall'altra parte siamo stati commossi e annichiliti dai racconti ( di vita vissuta, dall'altra parte, del mondo o del pianerottolo) di violenza e feminicidio. Solo la sottile ironia con cui le Signore ce li hanno proposti ha temperato la drammaticità degli eventi e attutito l'abiezione raccontata.
Pure questa abiezione, non nuova, non propria solo di questi tempi, di queste culture, non ha chiuso tutte le bocche, tacitato gli spiriti, annichilito l'anelito al cambiamento. Così ci si ribella, si denuncia, se ne parla, si educa a un giusto rapporto tra i generi. La speranza che anche nell'Afghanistan più profondo mai più un padre applauda alla lapidazione della figlia non ci abbandona e ci sprona nella lotta, nel sostegno a figure eroiche come Malala. Quindi in questo caso dall'abiezione, in un processo inverso, siamo passati all'ascolto speranza.
Ecco, in questa dicotomia, in questa capacità umana di contenere insieme il meglio e il peggio, la libertà e l'oppressione, la santità e la malvagità, il "fil rouge" che ai miei occhi lega le due esperienze che ho avuto la fortuna di vivere. La lotta dell'uomo per liberarsi dalle storture e la storia della vicenda umana, di progressi e di cadute, da Pericle in poi, parlando da figlio della Grecia, verso forme di relazioni sociali che vincolino a un rispetto reciproco che naturalmente non saremmo i grado di assicurarci, mi fanno rendere conto che veramente siamo soli su questa Terra, che nulla, salvo i lumi della ragione, ci può convincere che la salvezza della specie umana può essere garantita delle regole sociali che comprimano i naturali ferini spiriti di sopraffazione così ben descritti da De Sade.Ciò mette in crisi l’ideale di un Comunismo fondamentalmente anarchico nella cui società ciascuno da quello che può e ottiene quello che gli serve.
I due eventi sono stati: la visita, ben guidata, alla mostra "tappeti di pietra, pareti di luce" sull'arte del mosaico a tematica religiosa e la performance "però mi vuole bene" in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La prima a cura del Decanato di Trezzo, la seconda a cura di Telefono Donne con Mariposa.
Non voglio qui esprimere un giudizio, peraltro superfluo, sul valore delle due iniziative.
Mi preme di più tentare un ragionamento per giustificare il "fil rouge" che ho la sensazione leghi le due iniziative.
Da una parte ammiriamo sublimi produzioni artistiche frutto delle abilità di raffinati maestri d'opera innegabilmente spinti oltre che dal l'orgoglio di manifestare la propria abilità anche dal sacro fuoco interiore che li spingeva, tramite l'opera, a glorificare il loro Dio e a trasmettere le conoscenze dottrinali in modo iconografico al popolo illetterato. Ma il sublime che ci ha avvolto non ci fa dimenticare che sui sagrati delle stesse chiese (magari in senso lato) veniva bruciati coloro che osavano esprimere un pensiero libero e diverso, come pure spesso quella Croce, la cui evoluzione iconografica ci é stata spiegata, accompagnava la spada che ha portato lutti e distruzione nelle popolazioni da evangelizzare o meglio da sfruttare.
Dall'altra parte siamo stati commossi e annichiliti dai racconti ( di vita vissuta, dall'altra parte, del mondo o del pianerottolo) di violenza e feminicidio. Solo la sottile ironia con cui le Signore ce li hanno proposti ha temperato la drammaticità degli eventi e attutito l'abiezione raccontata.
Pure questa abiezione, non nuova, non propria solo di questi tempi, di queste culture, non ha chiuso tutte le bocche, tacitato gli spiriti, annichilito l'anelito al cambiamento. Così ci si ribella, si denuncia, se ne parla, si educa a un giusto rapporto tra i generi. La speranza che anche nell'Afghanistan più profondo mai più un padre applauda alla lapidazione della figlia non ci abbandona e ci sprona nella lotta, nel sostegno a figure eroiche come Malala. Quindi in questo caso dall'abiezione, in un processo inverso, siamo passati all'ascolto speranza.
Ecco, in questa dicotomia, in questa capacità umana di contenere insieme il meglio e il peggio, la libertà e l'oppressione, la santità e la malvagità, il "fil rouge" che ai miei occhi lega le due esperienze che ho avuto la fortuna di vivere. La lotta dell'uomo per liberarsi dalle storture e la storia della vicenda umana, di progressi e di cadute, da Pericle in poi, parlando da figlio della Grecia, verso forme di relazioni sociali che vincolino a un rispetto reciproco che naturalmente non saremmo i grado di assicurarci, mi fanno rendere conto che veramente siamo soli su questa Terra, che nulla, salvo i lumi della ragione, ci può convincere che la salvezza della specie umana può essere garantita delle regole sociali che comprimano i naturali ferini spiriti di sopraffazione così ben descritti da De Sade.Ciò mette in crisi l’ideale di un Comunismo fondamentalmente anarchico nella cui società ciascuno da quello che può e ottiene quello che gli serve.
venerdì 22 novembre 2013
LA VOLONTA' DI DIO COME EGLI LA INTENDE NON è MEDIABILE, NON PUO' ESSERE ADDOLCITA
Sto leggendo l'interessante libro INCHIESTA SU GESU' di Corrado Augias con Mauro Pesce.
Trovo questo paragrafo che desidero condividere nel capitolo "Gesù politico".
domanda Augias:
Gesù è stato descritto talvolta come un capo politico. Su quali elementi si basa questa ipotesi?
risponde e argomenta Pesce:
I vangeli di Matteo e Luca trasmettono frasi che esprimono il centro del suo messaggio, richiamano il conflitto che egli vuole portare nel mondo. Gesù vede che la realtà sociale del suo tempo contrasta con la volontà di Dio. Il suo scopo è dichiarare guerra a questo disordine per instaurare la giustizia che Dio vuole, in una parola il suo regno. Per questo egli è venuto a gettare il fuoco sulla terra, a portare la spada, a creare divisione all'interno delle famiglie. Questo conflitto, che si manifesta in una battaglia distruttrice dell'avversario, ha come scopo finale l'instaurazione dell'armonia fra gli uomini. Il conflitto è subordinato al conseguimento di una pace generale in terra d'Israele. Nel suo atteggiamento conflittuale Gesù NON SCENDE A COMPROMESSI, NON RINUNCIA MAI ALLA LOTTA. Può accettare di essere sconfitto, non di ammorbidire la sua strategia. NELLA SUA LOTTA POSSONO ESSERCI LA VITTORIA O LA SCONFITTA, MAI IL COMPROMESSO. La volontà di Dio come egli la intende non è mediabile, non può essere addolcita.
Si tratta di vedere se Gesù si sia servito, per realizzare questo suo scopo, della forza militare, delle leggi e delle istituzioni pubbliche, di quegli strumenti cioè che generalmente chiamiamo politici. La mia risposta è no, non lo ha fatto.
Interessante. Emozionante anche. Questo vuol dire penare che potenzialmente gli uomini possa essere un giorno saggi e capaci di riconoscere e servire "volontariamente" la verità e la giustizia. Quasi anarchico direi. Ma è così? La storia dell'uomo è solo un tragico errore dovuto all'ignoranza e a una condizione di minorità (illuministicamente parlando)? Quale è la "condizione naturale dell'uomo"?
Trovo questo paragrafo che desidero condividere nel capitolo "Gesù politico".
domanda Augias:
Gesù è stato descritto talvolta come un capo politico. Su quali elementi si basa questa ipotesi?
risponde e argomenta Pesce:
I vangeli di Matteo e Luca trasmettono frasi che esprimono il centro del suo messaggio, richiamano il conflitto che egli vuole portare nel mondo. Gesù vede che la realtà sociale del suo tempo contrasta con la volontà di Dio. Il suo scopo è dichiarare guerra a questo disordine per instaurare la giustizia che Dio vuole, in una parola il suo regno. Per questo egli è venuto a gettare il fuoco sulla terra, a portare la spada, a creare divisione all'interno delle famiglie. Questo conflitto, che si manifesta in una battaglia distruttrice dell'avversario, ha come scopo finale l'instaurazione dell'armonia fra gli uomini. Il conflitto è subordinato al conseguimento di una pace generale in terra d'Israele. Nel suo atteggiamento conflittuale Gesù NON SCENDE A COMPROMESSI, NON RINUNCIA MAI ALLA LOTTA. Può accettare di essere sconfitto, non di ammorbidire la sua strategia. NELLA SUA LOTTA POSSONO ESSERCI LA VITTORIA O LA SCONFITTA, MAI IL COMPROMESSO. La volontà di Dio come egli la intende non è mediabile, non può essere addolcita.
Si tratta di vedere se Gesù si sia servito, per realizzare questo suo scopo, della forza militare, delle leggi e delle istituzioni pubbliche, di quegli strumenti cioè che generalmente chiamiamo politici. La mia risposta è no, non lo ha fatto.
Interessante. Emozionante anche. Questo vuol dire penare che potenzialmente gli uomini possa essere un giorno saggi e capaci di riconoscere e servire "volontariamente" la verità e la giustizia. Quasi anarchico direi. Ma è così? La storia dell'uomo è solo un tragico errore dovuto all'ignoranza e a una condizione di minorità (illuministicamente parlando)? Quale è la "condizione naturale dell'uomo"?
domenica 17 novembre 2013
GERMANIA. SEMPRE COLPA DELLA GERMANIA. UN DIBATTITO
Dal Blog POSTDAMER PLATZ
Posted: 02 Nov 2013 02:18 AM PDT
L’importante è prendersela con la Germania. Una delle posizioni di maggior successo nell’Italia di oggi è dare la colpa alla Repubblica Federale Tedesca e alla sua Cancelliera le cui posizioni sono all’origine di tutti i nostri mali. Dal destino della controversa salma di Priebke all’accusa di esportazioni in eccesso, dall’introduzione del pedaggio autostradale fino all’austerità, invocare l’avvento di un imminenteQuarto Reich è diventato di moda, l’analisi più facile e semplice, anche perché, si sa, tutti i tedeschi sono nazisti. Simili semplificazioni sono diventate molto diffuse e popolari nel nostro Paese. Dai social network ai commenti sui principali organi di stampa nazionali è un proliferare continuo di accuse ai tedeschi di voler germanizzare l’Europa. Negli ultimi giorni ci hanno pensato due tradizionali medaglie d’oro dell’antigermanesimo a dare fiato alla facile vulgata antitedesca e antimerkeliana. Libero, il quotidiano di Feltri e Belpietro, con un bel titolo in prima pagina: “La Germania ci deruba”. Il riferimento era all’accusa degli Stati Uniti allaGermania di violare i trattati sul surplus commerciale. In altre parole, la Germania esporta troppo e toglierebbe quote di mercato ai partner europei. Invece di ringraziare Berlino di tenere a galla la barcollante economie europea, gli "amici" di Libero dicono addirittura “ecco le prove” del furto della Germania al nostro Paese. Naturalmente non poteva mancare anche un attacco all’Unione Europea: “L’Italia e gli altri partner tacciono, gli USA no: La Merkel è la vera causa della crisi europea”. Ilterrorismo psicologico antieuropeista è una buona strategia per alimentare un sentimento antieuro sul quale poter fondare magari un nuovo partito pronto per le imminenti elezioni europee. A rispondere alle critiche degli Stati Uniti al governo di Berlino ci ha pensato, tra gli altri, laSüddetusche Zeitung. La critica arriva nel momento sbagliato perché già dal prossimo bilancio federale i dati cambieranno e, secondo, la critica viene da un Nazione, gli USA, dove la Federal Reserve è costretta a stampare moneta per sostenere la crescita economica e contrastare la politica di austerità diWashington. Oggi è molto più critica la situazione economica e finanziaria degli Stati Uniti rispetto a quella dell’Europa. Se Libero attacca, il Giornale rilancia. Il quotidiano di Sallusti accusa Angela Merkel (quale novità!) di voler far pagare agli stranieri le autostrade tedesche – notizia ripresa, ovviamente, anche da Libero. Nell’articolo “Sulle autostrade tedesche pagano solo gli stranieri. E l’Europa obbedisce” di Antonio Borrelli si legge: “Frau Merkel ha individuato chi dovrà pagare i conti pubblici tedeschi: gli stranieri. No, non i clandestini. Neppure i turisti extracomunitari. Quelli da tassare sono i vicini di casa, quelli che un tempo erano i cittadini di un unico grande sogno senza frontiere. Ecco, le frontiere sono tornate. Tutto questo con il probabile consenso dell'Europa. L’idea è semplice: far pagare le autostrade a tutti quelli che non sono tedeschi. … Il quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung rivela che il commissario europeo ai Trasporti Siim Kallas considera compatibile con le normative europee la proposta tedesca, specie se ci fosse almeno una forma di pagamento ridotta per i germanici, magari un contributo incluso nel bollo auto.” Tralasciando che ci si sarebbe aspettati almeno un cenno ad un dibattitto molto più complesso che c’è stato durante la recente campagna elettorale, tralasciando ancora che fino a prova contraria siamo noi italiani che facciamo pagare le autostrade ai tedeschi (in Germania infatti sono gratuite), tralasciando l’incomprensibile riferimento ai clandestini ed extracomunitari e tralasciando, infine, che non è stata una rivelazione della Süddeutsche Zeitung, la notizia è falsa. Non c’è stato alcun assenso dell’Unione Europea alla proposta della CSU (e mai accettata né dalla CDU di Merkel né dalla SPD, futuro alleato di governo) di introdurre il pedaggio autostradale per stranieri. Non è la prima volta che Libero e il Giornale attaccano gratuitamente la Germania. Resta indimenticabile l’eleganza del quotidiano di Sallusti al tempo dell’incidende della Costa Concodia. Per rispondere ad un articolo ironico dello Spiegel, titolò “A noi Schettino. A voi Auschwitz”. O ancora il ridicolo articolo La Merkel ci ruba i cervelli, che denota, evidentemente, l'ignoranza delle drammatiche condizioni di lavoro in Italia. Dare la colpa alla Germania è la migliore delle scuse per non voler vedere e affrontare i nostri problemi. Che si parli di debito pubblico, di instabilità politica, di inefficienza della giustizia, di disoccupazione, della morte di Priebke o della sporcizia delle strade, l’unica colpevole è sempre Angela Merkel, la Cancelliera da dipingere con i baffetti di Hitler, #tuttacolpadellagermania. twitter@uvillanilubelli Libero e Giornale sbagliano, ma la Germania è miope Posted: 05 Nov 2013 12:40 AM PST Ricevo e pubblico una replica di Giuseppe De Lorenzo (che i lettori di questo blog già conoscono) al mio articolo Sempre colpa della Germania. Non sarà tutta colpa della Germania, certo, e probabilmente i titoli di Libero e de Il Giornalesono volutamente gonfiati perché indirizzati ad un lettore spesso critico nei confronti della linea tedesca e dell’Unione Europea. Accettiamo, dunque, la tesi che le posizioni dei due quotidiani sianoesagerate e magari troppo plateali. Ma, anche questo va sottolineato, è pratica diffusa di molti giornali “prendersela con qualcuno” per vendere più copie: Scalfari fu l’inventore di questo sistema e sugli attacchi a Craxi prima e Berlusconi poi ha costruito il primato italiano del suo giornale. Detto questo, se nascondere il dramma della situazione economica italiana dietro le colpe dellaGermania è certamente inutile, oltre che cieco, non è però possibile nemmeno fare l’opposto, cioè chiudersi gli occhi davanti ad un fatto che riguarda non solo l’Italia, ma l’intera zona euro: laGermania, con le scelte di austerity, di intransigenza verso i debitori e i paesi in difficoltà, rischia di indebolire la tenuta dell’Eurozona. Ed è parere, oltre che degli Usa (secondo quanto riportato in questi giorni), anche di numerosi economisti. Rievochiamo qui, a modi di esempio, le posizioni del NobelPaul Krugman, secondo cui le scelte di Berlino hanno aggravato la spirale recessiva e difficilmente porteranno l’Unione fuori dal fango della crisi. Che, ormai, dura da molto, troppo tempo. Gli Stati Uniti accusano la Merkel di esportare troppo, violando i trattati del surplus commerciale. Ebbene, mi sembra sbagliato affermare – come fai te - che, invece, bisognerebbe “ringraziare Berlino di tendere a galla la traballante economia Europea”. Perché se è vero che la crescita delle esportazioni tedesche permette alle statistiche sull’Europa presa nel suo insieme di non sfigurare troppo, è altrettanto vero che questo significa riduzione della competitività per le aziende degli altri partner (evidentemente svantaggiati dall’impossibilità di svalutare l’euro per sostenere l’export) e maggior afflusso di capitali nei territori tedeschi. Togliendoli – di fatto – alle altre nazioni europee, che invece devono rispondere alla crisi diminuendo le importazioni e i consumi interni, così da poter sostenere il debito. Senza addentrarci sulle accuse del Tesoro americano alla Germania, è forse utile ricordare un po’ di storia economica per capire il perché del sentimento antieuropeista e antitedesco che sta crescendo. Quando nel secondo dopoguerra la situazione economica dell’Europa era drammatica e i consumi dei cittadini dei paesi appena usciti dalla guerra praticamente prossimi allo zero, la scelta degli Stati Uniti fu quella del “creditore responsabile”: tassandosi ed intraprendendo il famoso piano Marshall favorì la ripresa del mercato europeo. I motivi di tale scelta erano anche economici: se l’Europa non si fosse ripresa, gli Usa avrebbero perso un mercato fondamentale, di cui la sua economia non poteva fare a meno. Allo stesso modo, la Germania ha incentivi di natura economica nell’evitare il collasso dell’eurozona: un ritorno alle monete nazionali non è certo ben visto a Berlino. Quindi, a detta di molti economisti, le scelte future della Germania dovrebbero essere molto distanti dalle politiche tenute sino ad ora e avvicinarsi, invece, a quelle fatte dagli Stati Uniti dopo il ’45. Che nel caso attuale significa sostenere l’importazione, favorendo così l’export dei partner europei, e allentare la presa sull’inflazione, che permetterebbe a paesi come Italia e Grecia di ridurre il valore del proprio debito e – ancora una volta – incentivare le esportazioni. La crisi dell’eurozona non è tutta da addossare sulle spalle dei tedeschi e, ovviamente, laGermania può essere additata come la causa di tutti i mali italiani, che sono invece sistemici e di più lunga data: corruzione, debito pubblico, disoccupazione e instabilità politica. Ma se indietro non si può tornare, si deve guardare avanti ed evitare errori del passato. La Germania non può più abbassare la testa e portare avanti l’ariete dell’austerity a tutti i costi. Giuseppe De Lorenzo |
GERMANIA. IL TESORO IMPERIALE DI HITLER
Dal Blog POSTDAMER PLATZ
Posted: 04 Nov 2013
11:00 AM PST
E' di ieri la
notizia del ritrovamento di opere d'arte a Monaco. Per l'occasione propongo la
lettura di un vecchio articolo uscito per Il Sole
24 Ore. Si tratta di una recensione di Marco Carminati ad un bel
libro di Sydney Kirkpatrick sulle rocambolesche vicende del recupero del Tesoro
imperiale che Hitler portò a Norimberga e che i nazisti tentarono di far
sparire alla fine della guerra.
Le reliquie
di Hitler del regista Sidney Kirkpatrick è davvero un libro avvincente. Narra una storia veramente accaduta, la
rocambolesca avventura del recupero dalle rovine dell'ultima guerra mondiale di
un tesoro unico al mondo: i gioielli della Corona del Sacro Romano
Impero. Se oggi possiamo ammirare queste
meraviglie nelle sale dell'Hofburg di Vienna, lo dobbiamo a un uomo
speciale, un autentico "ufficiale gentiluomo" che con tenacia e
intelligenza investigativa riuscì a sottrarre questo mirabolante tesoro dalle
grinfie degli ultimi irriducibili nazisti.
Il suo nome era Walter Horn. Era uno storico dell'arte e un cittadino tedesco fuggito negli Stati
Uniti con l'avvento del nazismo.
Durante la guerra fu ben felice di
entrare a far parte delle armate alleate in Europa, e visto che conosceva il
tedesco alla perfezione venne assegnato a un particolare incarico: quello di
interrogare i prigionieri tedeschi per verificare se sapessero qualcosa della
fantomatica "arma segreta" di cui Hitler andava vantandosi e alla quale sarebbe
stata affidata la riscossa del nazismo.
Il 23 febbraio 1945, dopo aver
interrogato 35 prigionieri, il tenente Horn si trovò davanti il soldato
semplice tedesco Fritz Hüber. Horn gli pose le domande di rito sulle
armi segrete ma si rese subito conto che anche quest'innocuo e smarrito
militare non poteva sapere nulla. Fu invece Hüber, a fine interrogatorio, a
introdurre un nuovo argomento: «Le interessano per caso l'arte e gli oggetti
artistici?».
La faccia di Horn si
aprì in un grande sorriso: quel militare tedesco non poteva sapere che lui, da borghese, era un professore di storia dell'arte all'università
di Berkeley, che era scappato dallaGermania nazista dopo aver
studiato arte ad Amburgo, Monaco e Berlino, essere stato allievo diErwin
Panofsky e essersi specializzato in Italia addirittura con Bernard
Berenson.
«Certo che mi interessa l'arte!» disse Horn. «Ma che
cosa ha da dirmi in proposito?».
«So dove si trovano nascosti i gioielli del Tesoro
del Sacro Romano Impero» rispose candidamente Hüber.
Horn, stupefatto, accantonò i moduli d'interrogatorio sulle armi segrete e si
predispose ad ascoltare e a trascrivere quella testimonianza. Hüber raccontò che
il Tesoro del Sacro Romano Impero era stato prelevato per ordine di Hitler
dall'Hofburg di Vienna la sera prima dell'annessione del l'Austria nel 1938 e portato nella chiesa
di Santa Cristina a Norimberga. Il dittatore tedesco era convinto che quelle
reliquie avessero poteri sovrannaturali. La corona imperiale, il globo, lo
scettro, la spada imperiale, la spada usata per le investiture dei cavalieri,
ma soprattutto la punta della Sacra Lancia di Longino (quella con cui si credeva fosse stato trapassato il costato di Cristo) non
potevano essere considerati semplici oggetti dinastici. Essi rappresentavano la
fonte stessa del potere sulla terra: chi avesse posseduto queste reliquie
avrebbe potuto dominare il mondo. Hitler e i nazisti la pensavano
così, per cui portarono le reliquie del l'Impero a Norimberga, la città che le
aveva ospitate per secoli fino agli inizi dell'Ottocento.
E quando scoppiò la guerra, fecero subito in modo di metterle al sicuro. Himmler ordinò di scavare un bunker nella viva roccia sotto il castello di Norimberga e di nascondere lì i gioielli imperiali.L'accesso al bunker era segretissimo, celato da un anonimo negozio d'antiquariato posto nelle strette viuzze ai piedi della rupe. «Se il posto era così segreto, perché lei ne è a conoscenza?» interruppeHorn. «Perché mio padre e mia madre hanno avuto l'incarico di controllare la ventilazione e la pulizia del bunker» rispose Hüber. A questo punto, il tenente Horn passò la notte a redigere un dettagliato rapporto dell'interrogatorio e lo spedì al Quartier Generale di Patton. Il rapporto non cadde nel vuoto. Appena finita la guerra, nel luglio del 1945, il tenente Horn venne chiamato a Francoforte. Qui gli venne comunicato che, grazie al suo rapporto, il bunker di Norimberga era stato identificato e trovato stracolmo di opere d'arte. Era stato anche rinvenuto gran parte del Tesoro del Sacro Romano Impero. Gran parte, non tutto: due delle diciassette casse che contenevano il tesoro erano vuote, e una mancava all'appello. La nuova missione di Horn sarebbe stata quella di recarsi a Norimberga e ritrovare al più presto le parti mancati del tesoro, possibilmente prima dell'inizio del processo ai criminali nazisti, quando il mondo intero avrebbe puntato gli occhi sulla città tedesca. Horn avrebbe avuto quindi solo tre mesi di tempo per portare a termine questa "missione impossibile", nel desolante contesto di una Germania invasa dagli alleati e distrutta dalla guerra. Quando seppe quali erano i pezzi del tesoro che mancavano all'appello, Horn ebbe una crisi di sconforto: mancavano proprio la corona imperiale tempestata di pietre preziose, il globo d'oro, lo scettro, la spada dell'imperatore e la spada delle investiture. Con sua somma sorpresa, invece, la Sacra Lancia di Longino non era stata sottratta. Di primo acchito ebbe un brivido: solo gli oggetti preziosi erano spariti dal bunker, mentre la Sacra Lancia di Longino, pur così importante dal punto di vista simbolico ma di poco valore venale, stata stata tralasciata. Che cosa significava tutto ciò? Che i pezzi più preziosi erano stati trafugati per essere smembrati e venduti? Horn non volle neppure pensarci, ma questa poteva essere un'ipotesi. Arrivato a Norimberga visitò subito il bunker e cominciò a interrogare Johann Fries e Heinz Schmeissner, i più stretti collabori del sindaco nazista Willy Liebel (morto negli ultimi giorni della guerra) giungendo a mettere insieme le prime informazioni. Venne fuori che, pochi mesi prima,Himmler in persona aveva ordinato di prelevare i gioielli dal bunker per impedire che cadessero in mano agli alleati. Ma dove li aveva nascosti? Le testimonianze si fecero vaghe e contradditorie, e si arrivò ad affermare che i gioielli erano stati collocati in casse di metallo, caricati sull'auto di Himmler e fatti inabissare con essa nel Lago Zell in Austria. Horn sospettò che in questa storia qualcosa non quadrava. Ed ebbe un'intuizione. I testimoni interrogati erano stati tutti ex nazisti: non è che, con questi racconti, stessero depistando le indagini per nascondere la verità? Horn capì che era proprio così. Messi davvero sotto torchio e minacciati di venir processati accanto a Göring e a Speer come autentici criminali nazisti, Fries e Schmeissner vuotarono finalmente il sacco. Non era statoHimmler ma loro stessi a sottrarre il tesoro dal bunker, che ora non si trovava in fondo a un lago ma ancora a Norimberga, nel sottosuolo di una scuola elementare vicino a Pannier Plaza. Perché avevano fatto ciò? La risposta fu agghiacciante: quel tesoro doveva diventare il simbolo della riscossa nazista e di un nuovo grande ordinamento, il Quarto Reich. Le cose – per fortuna – non andarono come quegli esaltati avrebbero voluto: Fries e Schmeissner finirono in galera e il tesoro del Sacro Romano Impero tornò intatto nella sua sede di Vienna.
E quando scoppiò la guerra, fecero subito in modo di metterle al sicuro. Himmler ordinò di scavare un bunker nella viva roccia sotto il castello di Norimberga e di nascondere lì i gioielli imperiali.L'accesso al bunker era segretissimo, celato da un anonimo negozio d'antiquariato posto nelle strette viuzze ai piedi della rupe. «Se il posto era così segreto, perché lei ne è a conoscenza?» interruppeHorn. «Perché mio padre e mia madre hanno avuto l'incarico di controllare la ventilazione e la pulizia del bunker» rispose Hüber. A questo punto, il tenente Horn passò la notte a redigere un dettagliato rapporto dell'interrogatorio e lo spedì al Quartier Generale di Patton. Il rapporto non cadde nel vuoto. Appena finita la guerra, nel luglio del 1945, il tenente Horn venne chiamato a Francoforte. Qui gli venne comunicato che, grazie al suo rapporto, il bunker di Norimberga era stato identificato e trovato stracolmo di opere d'arte. Era stato anche rinvenuto gran parte del Tesoro del Sacro Romano Impero. Gran parte, non tutto: due delle diciassette casse che contenevano il tesoro erano vuote, e una mancava all'appello. La nuova missione di Horn sarebbe stata quella di recarsi a Norimberga e ritrovare al più presto le parti mancati del tesoro, possibilmente prima dell'inizio del processo ai criminali nazisti, quando il mondo intero avrebbe puntato gli occhi sulla città tedesca. Horn avrebbe avuto quindi solo tre mesi di tempo per portare a termine questa "missione impossibile", nel desolante contesto di una Germania invasa dagli alleati e distrutta dalla guerra. Quando seppe quali erano i pezzi del tesoro che mancavano all'appello, Horn ebbe una crisi di sconforto: mancavano proprio la corona imperiale tempestata di pietre preziose, il globo d'oro, lo scettro, la spada dell'imperatore e la spada delle investiture. Con sua somma sorpresa, invece, la Sacra Lancia di Longino non era stata sottratta. Di primo acchito ebbe un brivido: solo gli oggetti preziosi erano spariti dal bunker, mentre la Sacra Lancia di Longino, pur così importante dal punto di vista simbolico ma di poco valore venale, stata stata tralasciata. Che cosa significava tutto ciò? Che i pezzi più preziosi erano stati trafugati per essere smembrati e venduti? Horn non volle neppure pensarci, ma questa poteva essere un'ipotesi. Arrivato a Norimberga visitò subito il bunker e cominciò a interrogare Johann Fries e Heinz Schmeissner, i più stretti collabori del sindaco nazista Willy Liebel (morto negli ultimi giorni della guerra) giungendo a mettere insieme le prime informazioni. Venne fuori che, pochi mesi prima,Himmler in persona aveva ordinato di prelevare i gioielli dal bunker per impedire che cadessero in mano agli alleati. Ma dove li aveva nascosti? Le testimonianze si fecero vaghe e contradditorie, e si arrivò ad affermare che i gioielli erano stati collocati in casse di metallo, caricati sull'auto di Himmler e fatti inabissare con essa nel Lago Zell in Austria. Horn sospettò che in questa storia qualcosa non quadrava. Ed ebbe un'intuizione. I testimoni interrogati erano stati tutti ex nazisti: non è che, con questi racconti, stessero depistando le indagini per nascondere la verità? Horn capì che era proprio così. Messi davvero sotto torchio e minacciati di venir processati accanto a Göring e a Speer come autentici criminali nazisti, Fries e Schmeissner vuotarono finalmente il sacco. Non era statoHimmler ma loro stessi a sottrarre il tesoro dal bunker, che ora non si trovava in fondo a un lago ma ancora a Norimberga, nel sottosuolo di una scuola elementare vicino a Pannier Plaza. Perché avevano fatto ciò? La risposta fu agghiacciante: quel tesoro doveva diventare il simbolo della riscossa nazista e di un nuovo grande ordinamento, il Quarto Reich. Le cose – per fortuna – non andarono come quegli esaltati avrebbero voluto: Fries e Schmeissner finirono in galera e il tesoro del Sacro Romano Impero tornò intatto nella sua sede di Vienna.
S. D.
Kirkpatrick, Le reliquie di Hitler.
I saccheggi nazisti e la riconquista
dei gioielli della Corona del Sacro
Romano Impero, Odoya, Bologna,
pagg. 314, € 22,00
Marco
Carminati
GERMANIA. I TEDESCHI MAI COSì FELICI
Dal Blog POSTDAMER PLATZ
Posted: 05 Nov 2013
04:44 AM PST
I tedeschi
sono sempre più felici. Lo dice l'Atlante della felicità delle
Poste tedesche che viene pubblicato ogni anno. Alla base della soddisfazione per la
propriacondizione esistenziale ci sono le buone condizioni economiche e
la bassa disoccupazione. In confronto ai trenta Paesi europei, dal 2006 a oggi,
la Germania migliora constantemente la propria posizione. Al quindicesimo posto
nel 2006, al nono nel 2011, oggi è all'ottavo.
Spagna, Grecia e Portogallo, che sono tra i Paesi più infelici, in
particolare la Grecia è all'ultimo posto.
Se si guarda alla Repubblica
Federale, si scopre che la differenza tra ex Germania Est e ex Germania
Ovest, la differenza si riduce costantemente.
La regione tedesca più felice è lo Schleswig-Holstein, all'estremo nord della Repubblica Federale. Al secondo posto c'è Amburgo e al terzo la Bassa
Sassonia. Agli ultimi tre posti della classifica
della felicità ci sono la Turingia, la Sassonia-Anhalt e all'ultimo
posto il Land del Brandeburgo.
Uno dei punti principali presi in
considerazione dalla ricerca è legata ai cittadini di origine straniera. Secondo il Deutsche Post Glücksatlas 2013 questi sono molto soddisfatti della
propria vita in Germania, quasi alla pari rispetto alla popolazione
complessiva. Per sapere i criteri e per leggere ulteriori dettagli sulla
ricerca potete consultare il sito
ufficiale.
MINISTRO BONINO SU BATTAGLIA CONTRO MGF
DA AFRICANEWS
Posted: 23 Oct 2013 02:18 AM PDT
La base da cui partire è la risoluzione
Onu 67/146, approvata nel dicembre del 2012. L’obiettivo è rendere vigente e
omogenea la sua applicazione, ponendo così fine all’orribile pratica
delle mutilazioni genitali femminili (Mgf).
Sono questi i due grandi pilastri entro
i quali va inquadrata la conferenza internazionale “Action to achieve commitments
in UNGA Resolution 67/146. Intensifyng global efforts for the elimination of
female genital mutilations” organizzata a Roma dall’United Nations Population
Fund (UNFPA) in collaborazione con il Ministero degli Esteri,
l’United Nations International Children Emergency Fund (UNICEF) e
l’Associazione Italiana donne per lo sviluppo (Aidos). E ad aprire la
conferenza è stato proprio il capo della diplomazia italiana, Emma Bonino, da
anni in prima linea per il bando delle mutilazioni genitali femminili. “La
risoluzione dà un messaggio globale che ora dobbiamo applicare”, è stato
l’invito lanciato dal Ministro dall’Auditorium Parco della Musica, che ospita
l’iniziativa.
Bonino, Italia continuerà battaglia a
Mgf con responsabilità
La conferenza arriva in un momento
cruciale per la battaglia alle Mgf. Una battaglia che, ha spiegato il Ministro
Bonino, ora deve concentrarsi su quattro direttrici: stimolare gli Stati a
soddisfare gli impegni presi nella risoluzione; adottare strutture normative e
politiche per la parità di genere; creare partnership e risposte
multi-settoriali, trovare risorse aggiuntive per istituzioni e Ong. L’Italia,
da parte sua, ha stanziato 8 milioni di euro dal 2008 per il Programma
congiunto UNFPA-UNICEF sulle mutilazioni genitali femminili. E, nonostante la
delicata congiuntura economica, il Governo non intende attenuare il proprio
sostegno. L’Italia “ha affrontato questa battaglia con responsabilità e intende
continuare a farlo“, ha rimarcato la titolare della Farnesina invitando la società
civile ad aiutare il Paese a mantenere il proprio sostegno per il bando della
pratica. Anche perché, oggi l’Italia “vive in un periodo difficile per la crisi
economica e mantenere gli impegni non è facile neanche davanti l’opinione
pubblica“, ha ricordato il Ministro ribadendo al tempo stesso come quella
contro le Mgf sia una battaglia per i diritti umani “che non ha frontiere”. Una
battaglia per la quale il capo della diplomazia italiana intende mettere anche
il suo “personale impegno di attivista di lungo corso“.
UNFPA, con trend attuale a rischio 30
milioni di bambine nei prossimi 10 anni
Quella delle Mgf è infatti una minaccia
che ancora incombe su una vasta gamma di donne in tutto il mondo. Secondo
quanto evidenziato dall’UNFPA oltre 125 milioni di donne sono state mutilate in
più di 80 Paesi in Africa e Medio oriente e si calcola che, entro dieci anni, a
rischiare di subire questa pratica siano circa 30 milioni di ragazze, se il
trend attuale continua. L’obiettivo da perseguire, secondo l’UNFPA, è di
aumentare del 10% annuo il tasso di abbandono di questa pratica, rispetto
all’1% attuale, e per questo occorre che la comunità internazionale raddoppi
gli sforzi. Anche perché la tendenza si può invertire e negli ultimi anni
qualcosa si è mossa perfino nelle regioni con le più alte concentrazioni di
Mgf. In 29 paesi dell’Africa e del Medio Oriente, oggi, le bambine hanno minori
possibilità di essere mutilate rispetto a trent’anni fa mentre sono già dodici
i Paesi che hanno promosso leggi in materia dopo la risoluzione Onu. Quaranta
Stati, infine, hanno adottato leggi per penalizzare la pratica.
L’esempio del Burkina Faso: invertire la
rotta è possibile
Insomma, il percorso è lungo ma non
impossibile e a testimoniarlo a Roma è arrivata, Chantal Campaoré, First Lady
di quel Burkina Faso che, grazie anche alla sinergia con l’Ong, ha già
invertito la rotta. Ora l’esempio burkinabé può fare da apripista in un
continente complesso come l’Africa. E il momento potrebbe essere quello giusto.
Questo è un “anno di rinascimento culturale per noi” e “le cattive pratiche da
abolire sono in cima alla lista”, è la promessa del Commissario per gli Affari
Sociali dell’Unione Africana Mustapha Kaloko.
Fonte: esteri.it
CONTRO LA MUTILAZIONE GENITALE FEMMINILE- DA AFRICANEWS
DA AFRICANEWS
http://www.africanews.it/
Posted: 23 Oct 2013 04:08 AM PDT
Ex ministro della salute in Nigeria,
Osotimehin Babatunde è direttore generale del UNFPA, il fondo della Nazioni
Unite per la popolazione. Ieri, 22 ottobre 2013, è stato a Roma per la conferenza
internazionale sulle mutilazioni genitali femminili.
Quelle che seguono sono le risposte date
ad africanews.it via
mail. Il direttore del UNFPA ha scelto di non rispondere a due domande,
riportate qui sotto, giudicandole “personali”.
In poche parole come spiegherebbe ad un
pubblico occidentale le mutilazioni genitali femminili (MGF)?
Le Mutiliazioni genitali
femminili [MGF] è la pratica che consiste nella rimozione parziale o
totale della parte esterna dei genitali femminili o nel mutilare l’organo
femminile per ragioni non sanitarie. Viene praticata sulle ragazze e le donne
di diverse età ma per lo più praticata sulle bambine tra l’infanzia e i 15 anni
a seconda della comunità o del gruppo etnico che la pratica. L’usanza è spesso
praticata da addetti tradizionali senza anestesia, usando le forbici, le lame
di rasoio o i vetri rotti, e spesso comporta seri problemi medici e in molti
casi anche la morte della donna o della ragazza. Più recentemente, in alcuni
paesi, viene anche praticata da personale medico preparato, tra cui fisiatri,
infermieri e ostestriche. Dov’è usanza popolare, spesso si crede che sia un
requisito per il matrimonio e che sia necessario al controllo della sessualità
delle donne. Le MGF sono una pratica culturale dannosa, una forma di violenza
contro le donne e una violazione dei diritti umani.
Si tratta di un’altra invenzione
dell’occidente per distrarre i paesi del sud del mondo dai veri temi che
impediscono il loro vero sviluppo?
Il tema delle MGF non è solo una
preoccupazione dell’Occidente. L’anno scorso, il 20 dicembre 2012, con un forte
sostegno da parte degli stati africani, l’Assemblea generale delle Nazioni
Unite ha adottato una risoluzione (A/RES/67/146) che esorta gli Stati Membri ad intensificare
gli sforzi globali per la sua eliminazione. L’Assemblea ha riconosciuto che le
MGF sono un abuso irreparabile, irreversibile dei diritti umani delle donne e
delle bambine, e una minaccia per la loro salute. Gli Stati sono stati esortati
a condannare tutte le pratiche dannose che riguardano le donne e le ragazze, e
a prendere tutte le misure, comprese le leggi, per proteggere le donne e le
ragazze da questa forma di violenza. Oggi abbiamo 21 paesi africani che hanno
legiferato affinché vengano abbandonate le MGF. Politiche e piani nazionali di
azioni per affrontare le difficoltà sono stati adoperati in più di 28 paesi
africani. Quindi il riconoscimento dei danni di questa pratica è una realtà per
molti governi africani.
Come medico, quali conseguenze
comportano le mutilazioni genitali femminili?
Le MGF costituiscono un danno per la
salute sessuale e riproduttiva, con conseguenze devastanti a breve e a lungo
termine sulla vita delle donne e delle bambine. La procedura è rischiosa ed è
una minaccia alla vita della bambina sottoposta a questa pratica per tutta la
durata della sua esistenza.
A breve termine, coloro che hanno subito
queste mutilazioni devono far fronte ad emorragie, a dolori lancinanti, a
shock, al tetano o alla sepsi (infezione batterica), ascessi, patologie ai
tessuti e fratture pelviche, ritenzione urinaria, ferite aperte nella zona
genitale e patologie nei tessuti limitrofi ai genitali. La morte può essere
causata dall’emorragia o dalle infezioni, compreso il tetano o altri shock.
Le conseguenze a lungo termine
riguardano ricorrenti infezioni della vescica e del tratto urinario (che
possono provocare danni ai reni), cistiti ed ascessi ed esiti materni e
neonatali negativi (infertilità, maggiori rischi e complicazioni durante il
parto, necessità di successivi interventi). Le donne che hanno subito tale
pratica devono anche affrontare un significativo maggiore rischio di parti
cesarei e soffrono di patologie post parto maggiormente rispetto alle donne che
non hanno subito le MGF. I tassi di decesso dei bambini durante e
immediatamente dopo il parto sono sensibilmente più alti per i bebé nati da
madri che hanno subito tale pratica. Le MGF possono anche provocare conseguenze
psicologiche negative. C’è un costo elevato per i budget dei sistemi sanitari
pubblici e per lo sviluppo dell’Africa.
Perché dite che le MGF impediscono la
vita sociale delle donne e il loro contributo allo sviluppo delle comunità in
cui vivono?
È molto difficile per le donne e le bambine,
che hanno subito le MGF, avere una normale vita sociale. Non soffrono solamente
per le conseguenze sulla loro salute, ma devono affrontare anche i traumi
psicologici, l’isolamento, disturbi d’ansia, disfunzioni sessuali,
sentimenti di rabbia, sensi di colpa, vergogna o inadeguatezza e disfunzioni
dovute allo stress post traumatico.
Nel momento in cui le donne non possono
contribuire alla forza lavoro perché sono debilitate nella loro salute e per i
relativi problemi sociali derivanti dalle MGF, il loro contributo alla comunità
e la potenziale produttività dell’economia del paese non può realizzarsi
pienamente.
Cosa fa in concreto l’Unfpa per
sradicare le MGF in una generazione?
UNFPA, in stretta collaborazione con
l’UNICEF, si trova in prima linea per accellerare l’abbandono di questa pratica
dannosa in tutta l’Africa attraverso il Programma Congiunto sulle MGF, che è il
più ampio programma del mondo per accellerare la lotta contro quest’usanza.
Quindici Stati membri, che saranno presto 17 con l’aggiunta della Nigeria e
dello Yemen, hanno adottato il programma. Inoltre alle comunità viene fornita
assistenza finanziaria e tecnica oltre agli sforzi nazionali già identificati
come portatori di cambiamenti sociali positivi. UNFPA e i suoi partners forniscono
un forte sostegno al rafforzamento dei quadri legislativi e politici necessari
per l’eliminazione delle MGF. Stanno anche rafforzando l’assistenza sessuale e
riproduttiva e la risposta giuridica così come l’accellerazione dei cambiamenti
nelle norme sociali e culturali verso l’abbandono delle MGF a livello
nazionale, regionale e locale.
Come calcolate una generazione? 90 anni
o 50 anni?
Una generazione è di 25 anni. Vogliamo che la prossima generazione di bambine sia liberata da questa dannosa usanza.
Una generazione è di 25 anni. Vogliamo che la prossima generazione di bambine sia liberata da questa dannosa usanza.
Quando era ministro della salute nella
sua Nigeria, cos’ha fatto a questo riguardo?
*** NESSUNA RISPOSTA ***
Perché questo tema delle MGF le sta a
cuore?
In quanto africano, in quanto medico e
in quanto direttore dell’UNFPA il tema delle MGF mi sta a cuore perché è una
missione per salvare vite umane, soprattutto di donne e bambine, in modo che
abbiano delle esistenze sane e appaganti. Chiunque dovrebbe avere a cuore
questa nociva pratica perché le MGF sono un irreparabile, irreversibile abuso
dei diritti umani delle donne e delle ragazze ed una minaccia alla loro salute.
Le nostre previsioni mostrano che entro
il 2030, 86 milioni di giovani ragazze in tutto il mondo potrebbero dover
affrontare qualche forma di MGF se il trend attuale rimanesse invariato.
Alcune persone della sua famiglia hanno
subito questo tipo di violenze?
*** NESSUNA RISPOSTA ***
Per alcuni non si tratta di violenze ma
di sacrosante tradizioni. Cosa risponde?
Tutti sono d’accordo che le MGF sono una
pratica tradizionale che continua a persistere in molti paesi, nonostante il
fatto che gli sforzi per abbandonare quest’usanza continuino da quasi un
secolo. Tutti gli stati africani e la comunità mondiale concordano nel
sostenere che le MGF sono una forma di violenza ed una forte violazione dei diritti
umani delle donne e delle bambine. La tragedia è che più di 140 milioni di
ragazze e di donne ad oggi ancora in vita sono state sottoposte a questa
pratica. Quest’usanza dannosa dev’essere fermata come violazione dei diritti
delle donne e delle bambine. Dobbiamo proteggere la salute e i diritti delle
donne e delle ragazze da questa forma di violenza.
L’Unfpa è contro le tradizioni popolari
locali, come le MGF?
UNFPA rispetta e sostiene le usanze
locali positive tuttavia è contraria alla pratica delle MGF perché si tratta di
una violazione dei diritti delle donne e delle bambine tra cui: il diritto ad
essere libere da qualsiasi forma di discriminazione contro le donne; il diritto
all’integrità fisica e mentale, compreso il diritto alla libertà dalla violenza;
il diritto allo standard medico più alto possibile; il diritto a non essere
sottoposte a torture o crudeltà, trattamenti disumani o degradanti; il diritto
alla vita e i diritti delle bambine.
CORRUZIONE. C'è CHI DICE NO
DAL SITO "AVVISO PUBBLICO"
“Come i cittadini possono risanare lo Stato”. Intervista ad Alberto Robiati, co-autore del libro “C’e’ chi dice no”.
I
cittadini possono fare qualcosa contro la corruzione, le mafie e il malaffare?
Anche se molte volte prevale lo scoramento o, peggio ancora, l’indifferenza,
pare proprio di sì. Avviso Pubblico ha intervistato lo scrittore e giornalista
Alberto Robiati, fondatore dell’associazione “I signori Rossi”, specialista in
formazione relazionale e change management, che ha recentemente scritto un
libro insieme a Stefano Di Polito e Raphael Rossi intitolato“C’è chi dice no. La rivoluzione dei Signori Rossi. Come i cittadini
possono risanare lo Stato” (edito
da Chiarelettere).
1. Chi sono i Signori Rossi?
Sono persone comuni. In particolare sono le persone oneste
e corrette; dunque, almeno secondo noi, sono la maggioranza dei cittadini. Il
problema è che, come noto, la maggioranza è silenziosa. Quindi noi ci siamo posti
l'obiettivo di lavorare per renderla manifesta. I “Signori Rossi” sono per noi
una risposta civica al dilagare, silenzioso e nascosto, della corruzione.
Attraverso il Manifesto dei Signori Rossi sosteniamo e stimoliamo ogni singolo
individuo e ogni movimento di cittadini attivi (per esempio tutti quei gruppi
nati per presidiare un bene comune). I Signori Rossi mirano a sostenere una
rete di, ci auguriamo numerosissime, azioni locali che sappiano creare un
risveglio nella coscienza civica collettiva, per tornare ad avere voglia di
occuparsi della cosa pubblica, di prendersi cura dello Stato.
2. Possiamo esserlo tutti?
Sì, possiamo esserlo tutti! Rossi è tra i cognomi più
diffusi in Italia, può rappresentare il cittadino comune. Corretto e onesto.
Rossi è anche il cognome di Raphael, co-autore con me e Stefano Di Polito del
libro “C'è chi dice no”. Dall'esperienza personale di Raphael, che da
amministratore pubblico ha denunciato una tangente, abbiamo tratto stimolo per
rappresentare un modello nuovo, positivo, creativo, etico, per contrastare un
malcostume diffuso nella Pubblica Amministrazione. Vogliamo creare una nuova
percezione attorno alla correttezza. Non è vero che siamo circondati da
corrotti e scorretti, come spesso si sente dire, o come spesso si vuole far
credere. Siamo molti a praticare la correttezza quotidianamente e a
pretenderla, specie dai nostri governanti e amministratori. Ma saremo in grado
di ottenere risultati davvero concreti, pervasivi ed efficaci, solo quando
oltre a essere una maggioranza, ci sentiremo anche tale. Per questo è
importante che la voce circoli forte e veloce e che i corretti si manifestino!
3. Quando e perché è nata l'idea di scrivere un libro?
Abbiamo voluto lasciare questa traccia perché, attraverso
la testimonianza di quanto fatto, proponiamo una strada possibile, se pure tra
numerose difficoltà e ostacoli. Volevamo raccontare un'esperienza positiva, o
come la definiamo noi una “avventura civica”. Rianimare la coscienza etica
della maggioranza delle persone, innescare una serie di azioni per amplificarne
la portata mediatica, sono tutti ingredienti necessari per un antidoto alla corruzione.
La diretta conseguenza è la costituzione di presidi civici di persone
interessate al proprio territorio e ai propri beni comuni, che esercitano un
controllo sociale e, laddove possibile, una cooperazione civica, intorno alle
aziende pubbliche (vero bacino di corrotti e corruttori). Il libro racconta
tutto questo e fa una serie di proposte ai cittadini, agli amministratori
pubblici, ai giornalisti, alla società civile, agli opinion leader, agli
imprenditori e al mondo delle aziende. Non si tratta di utopie, ma di idee
dedotte dalle nostre esperienze concrete.
4. Per essere “corretti e non corrotti” da dove bisogna
iniziare?
Dal proprio quotidiano. Ciò che proponiamo è una sorta di
“rivoluzione” personale, una specie di “chiamata” alla propria coscienza
civica. Un invito a risvegliare la voglia, o in alcuni casi il bisogno, di
impegno sociale. Certo, è necessaria la convinzione che i beni comuni siano una
risorsa essenziale per lo sviluppo della società. E di conseguenza bisogna
conoscerli e impararne i meccanismi, come fanno tanti cittadini nei piccoli
comuni di tutta Italia quando partecipano ai consigli comunali. Si informano,
studiano, dibattono, si confrontano. E poi prendono posizione, decidono e
propongono. Questo tipo di partecipazione informata, colta, matura, competente,
è la garanzia che può proteggere il nostro Paese da chi invece pensa che ciò
che è di tutti sia di nessuno, dunque buono per il saccheggio. Quest'opera di
partecipazione non può che essere collettiva. Dobbiamo tornare a nutrire la
nostra capacità di metterci insieme agli altri e darci da fare per obiettivi
condivisi. Dobbiamo educarci alla cooperazione e alla partecipazione, per
esempio vivendo e sostenendo le tantissime associazioni già attive ovunque in
Italia, che hanno a cuore una sola cosa: il bene comune e il nostro Paese.
5. Nel vostro libro avete parlato anche di Avviso Pubblico. Qual
è secondo lei il ruolo e il valore che hanno associazioni come la nostra?
Avviso
Pubblico ha il merito di mettere in rete enti locali che vogliono condividere
pratiche virtuose e di proporre formazione su temi specifici, come il contrasto
alla corruzione e alla criminalità organizzata. Ad associazioni come Libera e
Avviso Pubblico abbiamo immediatamente pensato di rivolgerci quando ci siamo attivati
come cittadini e come professionisti dando vita all'iniziativa dei Signori
Rossi. Sul nostro sito www.signorirossi.it abbiamo voluto rappresentare il
network di soggetti che promuovono come noi la cultura etica. Il senso
profondo, appunto, è la rete, il fatto di mettersi insieme, e perseguire scopi
comuni. Ed è con soggetti come Avviso Pubblico che miriamo, in futuro, a
rafforzare servizi come SOS Corruzione, attivato sul nostro sito e gestito in
modo del tutto volontario da esperti del tema. Un domani, ci auguriamo che,
grazie all'aiuto di persone competenti e appassionate come don Luigi Ciotti di
Libera e Pierpaolo Romani di Avviso Pubblico, questo tipo di servizio venga
tramutato in uno sportello istituzionale, gestito direttamente all'interno
degli enti locali, come servizio pubblico rivolto a tutti i cittadini.
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