Se ciò avverrà, ricordiamo che quella sarà solo intelli-genza, niente di più: non coscienza, emozione, libero ar-bitrio, volontà. Noi esseri umani sentiamo fortemente di avere tutte queste cose, e altre ancora, e in una combina-zione talmente speciale da essere unica e irriproducibile. E anche se incontrassimo uno straniero cresciuto in una terra talmente lontana da non avere una singola parola in comune con noi, sentiamo che potremmo comunque ca-pirci. Tutto questo non è intelligenza, è umanità, e non ap-partiene ad alcuna macchina.
Gli esperimenti degli ultimi anni mostrano un numero crescente di compiti in cui siamo stati superati dalle no-stre macchine, molti dei quali erano considerati segni di intelligenza anche recentemente. Ma noi, tramite i valu-tatori dell'IA, continuiamo a rilanciare la sfida: «Sì, avete fatto anche questo, però...».
Mi piace che sia così, questo mostra chi siamo: speria-mo contro ogni speranza, crediamo contro ogni evidenza, talvolta preferiamo sognare invece di vedere chiaramen-te. Non è forse un dono riconoscere la nostra piccolezza nell'universo, pur trovando allo stesso momento un pro-fondo significato nelle nostre vite? Non è forse questo che ci rende umani? Sperare quando non c'è niente che lo giu-stifichi, avere fede contro ogni logica?
È questa la nostra forza e la nostra debolezza, una be-nedizione e una maledizione: immaginare che ci sia sem-pre un posto migliore oltre la prossima montagna, per continuare il cammino. Lottiamo per ciò che non pos-siamo raggiungere, pur sapendolo. E quando perdiamo quello che amiamo, o un sogno, affrontiamo il dolore allo stesso modo: lo neghiamo, negoziamo con gli dei, sogniamo vie d'uscita impossibili. E alla fine creiamo un altro sogno.
Insegniamo ai nostri figli che siamo speciali, superiori a ogni altro essere, non per arroganza, ma per coltivarne la forza d'animo, l'immaginazione che nutre l'animo umano, e la dignità. E continuiamo la nostra marcia, verso la no-stra meta, che davvero non conosciamo.
Dopo la sconfitta ad opera di AlphaGo, il campione Lee Sedol si scusò «di essere così debole». Non facciamo-lo. Una cosa ho imparato nel mio viaggio: non c'è niente di male ad essere deboli.
Certo che non siamo insuperabili, nemmeno in intelli-genza, in fondo lo abbiamo sempre saputo. Se incontria-mo qualcosa di superiore a noi? Lo affronteremo con la stessa speranza, fede, dignitosa resistenza.
E gli diremo fieri: «Sì, però...».
Nessun commento:
Posta un commento