Il lettore stolto (in campeggio)
Alzare gli occhi dal libro e vedere, oltre la instabile torre degli altri in attesa, la veranda della propria caravan montata proprio benino (beh, non benissimo, conosco amici che troverebbero mille difetti), con la VS alzata a sufficienza perché i lati della veranda spiovano con il giusto grado in modo sia da non aiutare la formazione di sacche in caso di pioggia sia di mantenere una corretta altezza per non girare piegati, è una bella soddisfazione, e si torna volentieri alle amate pagine (e non sudate carte perché si legge con leggerezza e aiutati da un costante brezza che gli ultimi giorni a Trezzo ce la sognavamo).
Qualche tempo fa avevo trascritto una citazione da Natalia Ginzburg “Le piccole virtù” che mi aveva colpito. Per curiosità ho cercato il libro nel nostro stupendo sistema bibliotecario e ovviamente l’ho trovato. Fausta curiosità, il libro è un gioiello che si legge in un giorno ma che dovrebbe fare parte della biblioteca personale per sempre. E’ composto da una serie di saggi. Il più intenso, a mio avviso, ma so di essere condizionato dalle esperienze personali, è proprio quello intitolato “piccole virtù”, che nella edizione che ho preso è messo per ultimo. Ben oltre la citazione di qualche settimana fa è opportuno andare. Non posso trascrivere l’intero saggio, lo consiglio per intero
Dedico a me questa frase: “Se il meglio del loro ingegno (i figli) non hanno l’aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti”
Del resto vorrò condivide con chi ha tempo da perdere per leggere queste righe altri brani, espunti a fatica perché l’anelito era di trascrivere il libro, dagli altri saggi
Lo farò un po’ per volta.
Ecco il primo
inverno in Abruzzo
C'è una certa monotona uniformità nei destini degli uomini. Le nostre esistenze si svolgono secondo leggi antiche e immutabili, secondo una loro cadenza uniforme ed antica. I sogni non si avverano mai e non appena li vediamo spezzati, comprendiamo a un tratto che le gioie maggiori della nostra vita sono fuori dalla realtà. Non appena li vediamo spezzati, ci struggiamo di nostalgia per il tempo che fervevano in noi. La nostra sorte trascorre in questa vicenda di speranze e nostalgie.
Mio marito morì a Roma nelle carceri di Regina Coeli, pochi mesi dopo che avevamo lasciato il paese. Davanti al l'orrore della sua morte solitaria, davanti alle angosciose alternative che precedettero la sua morte, io mi chiedo se questo é accaduto a noi (...) Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita è solo adesso che m'é sfuggito per sempre, solo adesso lo so.
Sto leggendo anche AMOS OZ: “Una storia di amore e di tenebra”, sorta di autobiografia dell’autore che non può che intrecciarsi con la storia della diaspora ebraica e della formazione dello stato di Israele. Per ora sono circa a pagina 160, e il romanzo, son la sua sottotraccia di umorismo ebraico, mi sta piacendo molto. C’è sempre qualcosa, nella cultura ebraica, che mi sembra sottointendere un richiamo arcaico.
JON KALMAN STEFANSSON invece ha scritto un romanzo LUCE D’ESTATE ED è SUBITO NOTTE ambientato nel fiordi occidentali d’Islanda. La prossima volta che visiterò l’Islanda, spero guidando la mia LAND ROVER DEFENDER con 2 air- camping sul tetto, non mancherò di visitare i fiordi occidentali, che sono remoti anche per l’Islanda stessa (infatti nella precedente visita ho dovuto saltarli per mancanza di tempo). Forse è questo il motivo che mi fa procedere nella lettura, visto che non riesco a entrare nel pathos della storia. Continuo a dirmi, adesso sospendo, e poi continuo. Meglio un libro letto in più che uno in meno.
CHI BUSSA ALLA NOSTRA PORTA è l’ultimo numero di LIMES. L’ho comprato qui a Cavallino. Mi sento un po’ confuso da una cacofonia di voci sul dramma della migrazione (dramma per i migranti, ché penso fossi io a dover abbandonare la mia casa e la mia famiglia lo vivrei come un dramma). Mi spaventa la nazificazione del linguaggio che cerca di spersonalizzare queste persone, nella massificazione o nella classificazione (“chiamiamoli clandestini”!) E infatti nell’editoriale Caracciolo evidenzia questo aspetto “Rimuoverlo. Almeno restringerlo in un ghetto che ce lo renda invisibile, E configgerlo in una definizione di specie – il marocchino, l’afghano, il somalo – a certificare che di fronte non abbiamo una persona, con la sua storia di vita, ma una molecola di un mondo inferiore che non vogliamo conoscere. Una razza, non un individuo. Un oggetto, non un umano. Cui imponiamo una maschera, mentre lui ce la toglie”.
Limes è una rivista intelligente e interessante. Profonda nell’analisi che richiede un po’ di sforzo nella comprensione e nella lettura. Una boccata di ossigeno dai 140 caratteri verdi, non perché vi si debbano trovare consolatorie conferme di ciò che si vorrebbe forse la realtà, ma perché fonda l’analisi su dati e ragionamenti.
Infine sto leggendo SALLY O’REILLY “IL CORPO NELL’ARTE CONTEMPORANEA”. Come tutto (beh, molto, moltissimo) dell’arte contemporanea, non sto capendo praticamente nulla. Mi lasciano molto perplesso le analisi e le valutazioni critiche proposte delle diverse forme d’arte (dai quadri, alle foto, alle performance) presentate. Però il corpo umano è un argomento che mi affascina moltissimo. In particolare il corpo femminile. E anche in queste forme d’arte per me incomprensibili, vedo che la preminenza dell’attenzione, dell’uso, della presentazione, riguarda il corpo femminile. Lo leggo d’inerzia, quasi divertendomi della mia ignoranza e della mia grettezza artistica. E mi stupisco di cosa facciano gli artisti e di cosa sia considerata arte.
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