Seguiamo le vicende di questo composito gruppo di egiziani
che ruotano attorno all’ambiente universitario di Chicago con umana e commossa
partecipazione.
Ripercorrendo le vicende del libro mi sembra che l’autore
abbia voluto illuderci che l’unione o l’incontrarsi delle debolezze di queste
persone (diverse per cultura e provenienza ma nelle quali potremmo
riconoscerci) avrebbe potuto produrre risultati positivi, nella vita, nelle
aspirazioni, negli esiti degli sforzi culturali, politici o sentimentali.
Poi si introducono, nella trama, crepe che portano velocemente al
drammatico esito finale. Il potere appartiene a chi sa schiacciare gli altri
sotto il proprio scarpone, oppure da servo sa aggrapparsi ad esso vendendo se
stesso e chi sta vicino senza ritegno.
Non c’è speranza alla fine del libro. Il potere è un moloch
che asservisce o distrugge. E chi si fa servo fa terra bruciata attorno a sé,
può solo schiacciare chi è più piccolo, ma non creare una rete di rapporti
umani paritari. E non c’è salvezza per
chi non si benda gli occhi e si vuole illudere che tutto vada bene. Anche se
fugge dove sembra esserci democrazia e rispetto dei diritti, si accorge che
questi valgono se non toccano la sostanza del potere, in caso contrario potere
espresso in forma dittatoriale o potere con parvenza democratica parlano la
stessa lingua, si appoggiano e hanno gli stessi nemici.
E’ un libro che avvince, un bel romanzo ben scritto, disegna
figure che hanno la nostra simpatia e per la cui sorte rimaniamo addolorati.
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