Il pregiudizio favorevole con cui abitualmente “guardiamo”
verso Israele è, sicuramente, parzialmente dovuto alla ammirazione che abbiamo
per lo stato ebraico, per la sua società democratica (per i cittadini
israeliani ebrei), ma è anche dovuto
anche a una sorta di autodifesa (e di autocensura) dalla pretestuosa accusa di atteggiamento aprioristico
“anti-israele” ( o più sottilmente di antisemitismo) che condizionerebbe la
mente (ma più nella strategia di disinformazione che
nella realtà) in chi critica la politica militare e amministrativa israeliana
non nei criteri di autodifesa e legati alla sicurezza (arma abilmente usata dai
media a aprioristicamente sostenitori di Israele senza se e senza ma – anche quando
si ammantano di una aurea falsa di equidistanza e indipendenza di giudizio) ma nella prassi economica e oppressiva
quotidiana, dove è il banale desiderio di sfruttamento e di concussione di un
possibile concorrente economico a dettare le linee di azione e far valere la
forza prevaricatrice dell’occupante, del potente, del ricco, di colui che
compie gli atti e si fa le
leggi per dire che questi atti sono legittimi.
I potenti quindi hanno la strategia di delegittimare chi cerca di guardare la
realtà con una attenzione verso chi non ha voce, accusando questi di essere pregiudiziali e ottusi e cercando
di passare per vittime. E funziona.
Comunque sia, anche agli occhi di chi spera in uno stato
Palestinese laico e pulito, e aborre la corruzione e la deriva islamista degli
ultimi anni, la situazione appare evidente, c’è chi è oppresso (il popolo
palestinese) e chi opprime, la politica amministrativa e militare israeliana, e
c’è chi lo dice, come Gideon Levy
(giornalista di Ha’aretz) o Amira Hass ( e forse lo fanno anche per amore di
Israele).
L'articolo postato è tratto dal numero 957 di INTERNAZIONALE 13/19 LUGLIO
Nessun commento:
Posta un commento