giovedì 2 agosto 2012

ISRAELE-PALESTINA E LA LIBERTA' DI COMUNICARE


Il pregiudizio favorevole con cui abitualmente “guardiamo” verso Israele è, sicuramente, parzialmente dovuto alla ammirazione che abbiamo per lo stato ebraico, per la sua società democratica (per i cittadini israeliani ebrei), ma  è anche dovuto anche a una sorta di autodifesa (e di autocensura)  dalla pretestuosa accusa di atteggiamento aprioristico “anti-israele” ( o più sottilmente di antisemitismo) che condizionerebbe la mente   (ma più nella strategia di disinformazione che nella realtà) in chi critica la politica militare e amministrativa israeliana non nei criteri di autodifesa e legati alla sicurezza (arma abilmente usata dai media a aprioristicamente sostenitori di Israele senza se e senza ma – anche quando si ammantano di una aurea falsa di equidistanza e indipendenza di giudizio)  ma nella prassi economica e oppressiva quotidiana, dove è il banale desiderio di sfruttamento e di concussione di un possibile concorrente economico a dettare le linee di azione e far valere la forza prevaricatrice dell’occupante, del potente, del ricco, di colui che compie gli atti e si fa le leggi per dire che questi atti sono legittimi.
I potenti quindi hanno la strategia  di delegittimare chi cerca di guardare la realtà con una attenzione verso chi non ha voce, accusando questi  di essere pregiudiziali e ottusi e cercando di passare per vittime. E funziona.
Comunque sia, anche agli occhi di chi spera in uno stato Palestinese laico e pulito, e aborre la corruzione e la deriva islamista degli ultimi anni, la situazione appare evidente, c’è chi è oppresso (il popolo palestinese) e chi opprime, la politica amministrativa e militare israeliana, e c’è chi lo dice, come  Gideon Levy (giornalista di Ha’aretz) o Amira Hass ( e forse lo fanno anche per amore di Israele).
L'articolo postato è tratto dal numero 957 di INTERNAZIONALE 13/19 LUGLIO 

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