Ho iniziato con questo rivolto all’Episcopato Brasiliano (un
po’ per caso un po’ perché rivolto all’apparato).
Ho trovato il primo capito semplicemente straordinario.
Mi chiedo: ma è una lezione alla sola Chiesa o è una lezione
all’umanità, intesa come quella parte che in qualche modo si pone alla ricerca
di risposte e soluzioni da proporre (non da imporre) ai propri “fratelli nel
cammino” della storia dell’uomo? E’ un abuso, un “fuori contesto” leggere
queste parole senza l’esperienza della trascendenza, senza “la Fede”?
Da una parte mi dico di no, se io ateo convinto e
definitivo, ho letto con commossa partecipazione ed entusiasmo crescente queste
semplici ma formidabili parole e mi ci sono ritrovato leggendo l’uomo e il mio
ideale (a mia utopia) dove Francesco scrive Dio.
Dall’altra parte mi chiedo se non sia sintomatico dello
smarrimento (mio e generale) di chi non crede che le uniche soluzioni alle domande
degli uomini che “ partono sempre dai loro bisogni” sia quelle definite e
imposte dai potenti (capitale, caste, malviventi…), ma non ne vede sorgere
altre, se non fallimenti.
E quindi chi crede che solo nell’uomo sta la soluzione deve
mangiare fino all’ultima oncia il sale e camminare sui sassi aguzzi senza appropriarsi
di parole di altri.
Ma anche se così fosse, sapere di camminare sul sentiero
accanto della Chiesa di Francesco è più piacevole. Non tutte le distanze
saranno destinate a scomparire, ma sicuramente i muri a crollare sì, partendo
da queste premesse.
Aparecida: chiave di lettura per la missione della Chiesa
In Aparecida, Dio ha offerto al
Brasile la sua propria Madre. Ma, in Aparecida, Dio ha dato anche una lezione
su Se stesso, circa il suo modo di essere e di agire. Una lezione sull’umiltà
che appartiene a Dio come tratto essenziale, e che è nel DNA di Dio. C’è
qualcosa di perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida; un
insegnamento che né la Chiesa in Brasile, né il Brasile stesso devono
dimenticare.
All’inizio
dell’evento di Aparecida c’è la ricerca dei poveri pescatori. Tanta fame e
poche risorse. La gente ha sempre bisogno di pane. Gli uomini partono sempre dei loro bisogni, anche
oggi.
Hanno
una barca fragile, inadatta; hanno reti scadenti, forse anche danneggiate,
insufficienti.
Prima
c’è la fatica, forse la stanchezza, per la pesca, e tuttavia il risultato è
scarso: un fallimento, un insuccesso. Nonostante gli sforzi, le reti sono
vuote.
Poi,
quando vuole Dio, Egli stesso subentra nel suo Mistero. Le acque sono profonde
e tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è arrivato di sorpresa,
chissà quando non Lo si aspettava più. La pazienza di coloro che lo attendono è
sempre messa alla prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché Dio è sorpresa:
un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche
invecchiata dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza.
Ecco
allora l’immagine dell’Immacolata Concezione. Prima il corpo, poi la testa, poi
il ricongiungimento di corpo e testa: unità. Quello che era spezzato riprende
l’unità. Il Brasile coloniale era diviso dal muro vergognoso della schiavitù.
La Madonna Aparecida si presenta con il volto negro, prima divisa, poi unita
nelle mani dei pescatori.
C’è
qui un insegnamento che Dio ci vuole offrire. La sua bellezza riflessa nella
Madre, concepita senza peccato originale, emerge dall’oscurità del fiume. In
Aparecida, sin dall’inizio, Dio dona un messaggio di ricomposizione di ciò che
è fratturato, di compattazione di ciò che è diviso. Muri, abissi, distanze presenti anche oggi sono destinati a scomparire.
La Chiesa non può trascurare questa lezione: essere strumento di
riconciliazione.
I
pescatori non disprezzano il mistero incontrato nel fiume, anche se è un
mistero che appare incompleto. Non
buttano via i pezzi del mistero. Attendono la pienezza. E questa non tarda
ad arrivare. C’è qualcosa di saggio che dobbiamo imparare. Ci sono pezzi di un mistero, come parti di un mosaico, che andiamo
incontrando. Noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa
vedere pian piano. Anche la Chiesa deve imparare questa attesa.
Poi,
i pescatori portano a casa il mistero. La
gente semplice ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del
mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal
cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto.
I
pescatori “agasalham”: rivestono il mistero della Vergine pescata, come
se lei avesse freddo e avesse bisogno di essere riscaldata. Dio chiede di
essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore. Poi è Dio
a sprigionare il calore di cui abbiamo bisogno, ma prima entra con l’astuzia di
colui che mendica. I pescatori coprono quel mistero della Vergine con il manto
povero della loro fede. Chiamano i vicini per vedere la bellezza trovata; si
riuniscono intorno ad essa; raccontano le loro pene in sua presenza e le
affidano le loro cause. Consentono così che le intenzioni di Dio si possano
attuare: una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad un’altra; una grazia
che prepara un’altra. Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della
sua forza.
C’è
da imparare tanto da questo atteggiamento dei pescatori. Una Chiesa che fa
spazio al mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in
modo che esso possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può
attrarre. La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli
risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella
propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare
i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo
fascino divino, da questo stupore dell’incontro. Parliamo di missione, di
Chiesa missionaria. Penso ai pescatori che chiamano i loro vicini per vedere il
mistero della Vergine. Senza la semplicità del loro atteggiamento, la nostra
missione è destinata al fallimento.
La
Chiesa ha sempre l’urgente bisogno di non disimparare la lezione di Aparecida,
non la può dimenticare. Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la
barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli
oceani. E tuttavia Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi,
mezzi poveri, perché sempre è Lui che agisce.
Cari
Fratelli, il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività
dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la
programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza
della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di
Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti.
Un’altra
lezione che la Chiesa deve ricordare sempre è che non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il
linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero, e, ovviamente,
non riesce ad entrare in coloro che pretendono dalla Chiesa quello che non
possono darsi da sé, cioè Dio. A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono
perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una
razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la
Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile “pescare” Dio nelle
acque profonde del suo Mistero.
Un
ultimo ricordo: Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio. La strada che
univa Rio, la capitale, con San Paolo, la provincia intraprendente che stava
nascendo, e Minas Gerais, le miniere molto ambite dalle Corti europee: un croceviadel Brasile Coloniale.
Dio appare negli incroci. La Chiesa in Brasile non può dimenticare tale
vocazione inscritta in sé fin dal suo primo respiro: essere capace di sistole e
diastole, di raccogliere e diffondere.
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