Ripropongo il breve testo di Pietro
Ichino che sollecita a cessare un utilizzo banalizzante del
Crocifisso negli ambienti pubblici (e per lui anche in altre
occasioni più private comunque ostentanti). Ho evitato il più
possibile di entrare in un dibattito a mio avviso stucchevole. Da
Ateo e da convinto assertore della necessaria laicità senza se e
senza ma dello Stato in tutte le sue espressioni, paradossalmente non
ho obiezioni al mantenimento dello status quo, con migliaia di
Crocifissi appesi ai più svariati muri. Ormai, prego non considerare
l'affermazione blasfemica (nutro una sconfinata ammirazione per la
figura di Gesù Cristo) ma solo sarcastica verso i sostenitori
dell'ostensione, si noterebbe di più se lo si togliesse, come quando
si toglie un quadro dopo molti anni e rimane sulla parete ormai
scurita la macchia bianca coperta fino ad allora. Invece ormai la
presenza solo formale, ignorata, del simbolo religioso lo rende
insignificante e invisibile. Da Ateo e anticlericare sono contento,
ma un po' mi spiace.
Scrive Ichino:
Non
le istituzioni pubbliche, non gli atei, non i laicisti dovrebbero
essere in prima fila nel rivendicare la rimozione dei crocefissi dai
luoghi pubblici, ma coloro che conoscono e coltivano come un’eredità
preziosa il significato dell’evento che quelle raffigurazioni
rappresentano
E' una
affermazione così semplicemente vera, pura parresia, che sicuramente
irriterà molti in modo direttamente proporzionale a quanto sale
mette su una ferita di ipocrisia e di necessità di marchiare il
territorio che non rende onore a chi ha Fede. E infatti sarà
ignorata, ma è bene che sia stata fatta.
Lascio la parola
ad Ichino, molto più autorevole e importante di me. Una sola
annotazione: lascerei in pace il Papa Francesco, che ha ben altri e
universali problemi. Sono i cattolici italiani (o gli italiani
complessivamente) ad essere interrogati
“Fossi in Papa Francesco, lancerei un appello forte contro l’inflazione dell’immagine del supplizio di Gesù: vedo in essa un vero e proprio peccato contro il secondo comandamento
.Quello
della croce è uno dei supplizi più orrendi che si possono
infliggere a una persona, rivoltante nella sua crudeltà. Per i
cristiani l’enormità del sacrificio cui Gesù si è offerto, che
la loro Chiesa rivive ogni anno nella passione del venerdì di
Pasqua, è il segno tangibile della potenza di un messaggio
straordinario di fraternità; ma proprio questo è il motivo per cui
quel sacrificio non può essere banalizzato. Invece, il riprodurre
dovunque l’immagine di quel supplizio atroce, nelle aule
scolastiche come nelle corsie di ospedale, nei ciondoli appesi al
collo come sui comodini accanto al giaciglio, ha proprio l’effetto
di banalizzarlo, di edulcorarlo e così deprivarlo del suo
significato profondamente drammatico. Quando a qualcuno
quell’immagine viene somministrata in tutte le salse, posta per ore
ogni giorno davanti agli occhi fin dalla più tenera età negli asili
e poi nelle scuole di ogni ordine e grado, essa non può non perdere
il proprio contenuto sconvolgente originario. Fossi in Papa
Francesco, lancerei un appello forte contro questa inflazione
blasfema dell’immagine del crocefisso, che col rappresentare invano
il volto di Dio in terra costituisce un vero e proprio peccato contro
il secondo comandamento. Non le istituzioni pubbliche, non gli atei,
non i laicisti dovrebbero essere in prima fila nel rivendicare la
rimozione dei crocefissi dai luoghi pubblici, ma coloro che conoscono
e coltivano come un’eredità preziosa il significato dell’evento
che quelle raffigurazioni rappresentano.”
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